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Stanislaw Lem: Cyberiade

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Stanislaw Lem Cyberiade

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«O Principessa!» rispose Ferrix. «Noi abbiamo opportuni apparati costruiti in base al principio dell’accoppiamento con feed-back rigenerativo, anche se, naturalmente, il tutto avviene in un ambiente umido.

«Gli apparati di cui parlo sono veri miracoli tecnologici, ma anche il peggiore degli idioti sarebbe in grado di usarli. Se dovessi descrivere con esattezza il procedimento, però, sarebbero necessarie parecchie ore, perché si tratta di argomenti estremamente complessi.

«Tuttavia, ammetto che si tratta di metodi ben strani, considerato anche come non siamo stati noi a inventarli, ma piuttosto siano stati loro, per così dire, a inventarsi da soli. Comunque, sono perfettamente funzionali e nessuno se n’è mai lamentato, che io sappia».

«Sì» esclamò Cristallo «sei davvero un visopallido! Quello che dici sembra sensato, anche se in realtà non ha alcun senso. Infatti, come si può essere un cimitero senza esserlo, o programmare i figli senza programmarli? Sì, sei davvero un visopallido, Mylak, e dunque, se lo desideri, mi unirò a te in un collegamento matrimoniale a circuito chiuso e tu salirai sul trono con me… una volta superata un’ultima prova».

«E di che prova si tratta?» chiese Ferrix.

«Devi…» cominciò la Principessa, ma all’improvviso venne colta di nuovo dal sospetto e chiese: «Prima dimmi che cosa fanno i tuoi fratelli, la notte».

«La notte si sdraiano qua e là, piegando le braccia e storcendo le gambe, e l’aria entra ed esce dal loro corpo, rumorosamente, con un suono che ricorda da vicino l’affilatura di una sega arrugginita».

«Bene, ecco la prova: dammi la mano» ordinò la Principessa, Ferrix gliela diede, e lei la strinse; allora, come gli aveva insegnato il saggio, Ferrix gridò a voce spiegata. Lei gli chiese perché l’avesse fatto.

«Per il dolore!» rispose Ferrix

A questo punto, la Principessa non ebbe più dubbi sulla sua visopallidità e ordinò di dare inizio alla cerimonia matrimoniale.

Ma, proprio in quel momento, l’astronave del conte Cyberhazy, grande elettore del regno, faceva ritorno dalla sua spedizione interstellare alla ricerca di un visopallido (il perfido conte voleva entrare nelle grazie della Principessa). Polifase, molto allarmato, corse da Ferrix e disse: «Principe, l’astronave di Cyberhazy è appena arrivata, e ha portato alla Principessa un vero visopallido… l’ho visto io stesso. Dobbiamo fuggire finché possiamo, perché ogni futura mascherata diventerà impossibile, una volta che la Principessa vi abbia visti insieme: la sua mucillaginità è molto più mucillaginosa e il suo madore è molto più madido! Il nostro sotterfugio verrà scoperto subito e noi perderemo la testa!»

Ferrix, però, non poteva accettare una fuga così vergognosa, perché la sua passione per la Principessa era più forte che mai. Disse: «Meglio morire, che perderla!»

Cyberhazy, invece, saputo che ci si stava preparando per le nozze, era scivolato sotto le finestre della stanza dei Nostri e aveva ascoltato tutto; corse difilato al palazzo, tutto ribollente di fellonesca gioia, e annunciò a Cristallo: «Siete stata ingannata, Vostra Altezza, perché il cosiddetto Mylak è un normale robot e non un visopallido, ecco il vero visopallido!»

E indicò la creatura che era entrata dopo di lui. Questa gonfiò il petto peloso, batté gli occhi umidi e disse: «Io, sì, visopallido!»

La Principessa chiamò subito Ferrix, e quando lo vide davanti a lei a fianco della creatura del conte, l’inganno risultò ovvio.

Ferrix, anche se era sporco di fango, polvere e gesso, cosparso di olio, pieno di gorgoglii acquatici a ogni movimento, non poteva certo nascondere la sua statura da cavaliere elettrico, né la magnifica postura, l’ampiezza delle spalle d’acciaio, il passo sonante.

Invece, il visopallido del conte Cyberhazy era un vero mostriciattolo: a ogni suo passo si aveva l’impressione che qualche massa gelatinosa dovesse staccarsi da lui, la sua faccia era come un pozzo pieno di melma, il suo corrosivo respiro annebbiava ogni superficie lucida, e qualche pezzo di ferro dolce, situato nei paraggi, si stava già arrugginendo. In quel momento la Principessa capì finalmente quanto fossero ributtanti i visipallidi… quando parlavano, era come se un verme rossiccio cercasse di uscir loro dalla bocca. Aveva visto la luce, ma l’orgoglio le impediva di ammetterlo. Così, disse: «Che lottino tra loro, e il vincitore avrà la mia mano».

Ferrix sussurrò al saggio: «Se io attacco quella schifosa creatura e la faccio a pezzi, riducendola al fango da cui è sorta, la nostra mascherata si rivelerà a tutti, perché la creta che mi ricopre cadrà a terra e si vedrà l’acciaio. Come devo fare?»

«Principe» disse Polifase «non attaccare, limitati a difenderti».

I duellanti scesero nel cortile del palazzo, ciascuno armato di spada, e il visopallido saltò su Ferrix come uno schizzo di acqua putrida a volte schizza da una palude, e gli saltellò attorno, gorgogliando, ansimando, ritirandosi, finché non menò un fendente fortissimo. La lama tagliò il gesso e si spezzò contro l’acciaio: il visopallido, trascinato dalla veemenza del suo stesso movimento, urtò violentemente contro il Principe, si schiacciò e si ruppe, cadde a terra maciullato e non si mosse più.

Il gesso, però, una volta tagliato, si staccò dalle spalle di Ferrix e cadde, rivelando agli occhi della Principessa la sua vera natura; il Principe tremò, in attesa della fine. Poi, nello sguardo cristallino della figlia del Re, scorse l’ammirazione, e comprese fino a che punto fosse cambiata.

Così si unirono in un’unione matrimoniale, permanente e reciproca — un legame che per alcuni era gioia e felicità, per altri infelicità fino alla morte — e regnarono a lungo e bene, programmando un’innumerevole progenie.

La pelle del visopallido portato dal conte Cyberhazy venne fatta impagliare e collocata nel museo reale, a eterno ricordo dell’episodio. E’ visibile ancor oggi laggiù: una sorta di spaventapasseri coperto di finissimo pelo rado. Molti che si vantano di saperla lunga dicono che è tutto un trucco e che non esistono i visipallidi — cimiteri che non sono cimiteri, programmatori che non programmano, con il naso che sembra fatto di pasta e gli occhi di resina.

Be’, forse la storia è tutta un’invenzione: si raccontano tante favole. Eppure, anche se non dovesse essere vera, ha una sua piccola morale e una briciola di buon senso; ed è piacevole da ascoltare, e dunque meritava di essere narrata.

FINE.

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