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Stanislaw Lem: Cyberiade

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Stanislaw Lem Cyberiade

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«Quando finalmente riuscii a divincolarmi da tutti quei tesori e mi trascinai a un boccaporto, vidi che le costellazioni erano completamente diverse — non c’era la minima traccia di qualcosa di simile a un sole cubico!

«Poi, con qualche breve calcolo, scoprii che avrei dovuto viaggiare per seimila anni alla massima velocità per fare ritorno dagli M.L.S.P. Si erano liberati di me, certamente. E se fossi ritornato da loro, non avrei ottenuto niente: questo era chiaro; mi avrebbero allontanato di nuovo, con la loro telecinesi spaziale istantanea, o quello che era.

«E così, mio caro Bonhommius, ho deciso di affrontare il problema in modo completamente diverso…»

«E con queste parole, gentilissimo e nobilissimo signore» disse Bonhommius «il famoso costruttore Klapaucius terminò la sua storia…»

«Non sarà finita lì, spero!» esclamò Trurl.

«No, ha detto molte altre cose, o mio benefattore! E qui sta la mia sfortuna!» rispose il robot, con grande turbamento. «Quando gli chiesi che cosa avesse deciso di fare, si chinò verso di me e disse…

’Il problema pareva davvero senza soluzione, a tutta prima, ma ho trovato un modo. Tu dici di essere vissuto come eremita ermetico e sei soltanto un semplice robot, privo di particolari conoscenze, e perciò non ti annoierò con spiegazioni legate all’arte misteriosa della generazione cibernetica.

«‘Per dirla in parole semplici, perciò, ci sarà sufficiente costruire un dispositivo digitale, un computer capace di dare un modello informazionale di qualunque cosa esista. Programmato nel modo giusto, ci fornirà un’esatta simulazione di una creatura al Massimo Livello di Sviluppo Possibile, e noi potremo interrogarla e ottenere da lei le risposte!’

«‘Ma come è possibile costruire un simile strumento?’ chiesi io. ’E come puoi essere sicuro, o illustre Klapaucius, che la sua risposta non consista nell’allontanarci con lo stesso sistema istamatico e iperstiziale, o quello che è, impiegato dai veri M.L.S.P. sulla tua riverita persona?’

«‘Lascia fare a me’ disse Klapaucius. ’E non temere, caro Bonhommius, perché io scoprirò il grande mistero degli M.L.S.P. e tu scoprirai il modo migliore per mettere a frutto la tua naturale avversione per il male!’

«Puoi immaginare, gentile signore, la grande gioia da me provata nell’udire quelle parole, e l’ansia con cui aiutai Klapaucius a realizzare il suo piano.

«Come presto scoprii, la macchina digitale da lui costruita non era altro che il famoso Gnostotrone descritto da Cloriano Teoretico il Prof. prima di morire, una macchina capace — letteralmente — di contenere l’intero universo nelle sue innumerevoli memorie. (Klapaucius, però, non era soddisfatto del nome, e di tanto in tanto ne proponeva qualcun altro: l’Omniac, il Pansofoscopio, il COPTO — Computer Ontologico per Tutti gli Obiettivi — o il Mahatmatico 500, per citarne alcuni.)

«In esattamente un anno e sei giorni, la grande macchina venne completata, ed era così enorme che dovemmo costruirla a Flafundria, la luna cava dei Filisti… e una formica all’interno di un transatlantico non si sentiva perduta come noi nelle viscere di quel gigante binario, tra i suoi infiniti cavi di collegamento, i suoi deviatori e trasformatori escatologici, i suoi raddrizzatori agiopneumatici e i suoi resistori tentazionali.

«Confesso che i miei capelli erano tutti ritti e le lamelle del mio alternatore persero un battito, quando il mio illustre maestro mi fece accomodare alla console centrale di comando, e mi lasciò faccia a faccia con quella tremenda, gigantesca costruzione.

«Le luci che si rincorrevano sui suoi pannelli non erano diverse dalle stelle del firmamento; dappertutto c’erano insegne che avvisavano PERICOLO: SUPREMAMENTE INEFFABILE! e i potenziometri, con le lancette che ruotavano follemente, indicavano come i campi logici e semantici salissero a inusitati livelli di intensità.

«Sotto i miei piedi si agitava un mare di saggezza preternaturale e pretermeccanica: una saggezza che si diffondeva come un incantesimo lungo interi parsec di circuiti e su mega-ettari di magneti, ruotava e mi circondava da ogni lato, cosicché, nella mia vergognosa ignoranza, mi sentivo come una semplice molecola di polvere.

«Superai quella debolezza soltanto ripensando alla mia vita, tutta dedicata al servizio del bene, e alla mia passione per la verità e la bellezza, concepita fin da quando ero una semplice scintilla nell’oscilloscopio del mio costruttore.

«Così rafforzato, riuscii a balbettare la prima domanda: ’Parla, che genere di macchina sei?’

«Dai suoi tubi rosseggianti si levò un vento caldo; e sulle ali di quel vento giunse una voce, un sussurro di tuono che mi segnò fino al cuore, come un marchio rovente. La voce disse: ’Ego sum Ens Omnipotens, Omnisapiens, in Spiritu Intellectronico Navigans, luce cybernetica ira saecula saeculorum litteris opera omnia cognoscens, et caetera, et caetera’.

«Tale fu la mia paura, nel sentire questa risposta, che non riuscii più a continuare l’interrogatorio, finché Klapaucius non ridusse la FEM (Forza Epistemotrice) a un millesimo del suo voltaggio precedente, regolando i teostati.

«Allora chiesi allo Gnostotrone se era disposto a usarmi la gentilezza di rispondere a domande relative al Massimo Livello di Sviluppo Possibile e al segreto della sua civiltà.

«Tuttavia, Klapaucius mi spiegò che non era quello il modo di procedere: occorreva invece chiedere al Computer Ontologico di costruire, nel proprio interno d’argento e di cristallo, il modello di un abitante del pianeta cubico, e nello stesso tempo di dotare il modello di un’adeguata dose di loquacità. Così fatto, eravamo pronti a iniziare.

«Io, però, tremavo e paventavo e non riuscivo a parlare. Così, fu Klapaucius che prese il mio posto davanti alla console centrale di comando e chiese: ’Che cosa sei?’

«‘Ho già risposto’ ribatté la macchina, evidentemente seccata.

«‘Voglio dire, sei uomo o robot?’ spiegò Klapaucius.

’E che differenza c’è, secondo te?’ commentò la macchina.

«‘Ascolta, se intendi rispondere alle mie domande con un’altra domanda, non arriveremo da nessuna parte’ disse Klapaucius, secco. ’Sai che cosa voglio. Parla!’

«Anche se il tono da lui usato nel parlare alla macchina mi allarmò, parve funzionare, perché la macchina disse: ’A volte gli uomini costruiscono robot, e a volte i robot costruiscono uomini. Che importa, in realtà, se una persona pensa con un circuito metallico o con un mucchio di protoplasma? Quanto a me, posso assumere la forma che voglio e la sostanza che voglio — ovvero, le potevo assumere, perché non perdiamo più il nostro tempo in questi giochetti’,

«‘Già’ commentò Klapaucius. ’Allora, perché ve ne state a dormire tutto il giorno e non fate niente?’

’E che cosa dovremmo fare, esattamente?’ ribatté la macchina.

«A queste parole, Klapaucius si irritò e disse: ’Come faccio a saperlo? Noi dei bassi livelli di sviluppo facciamo ogni genere di cose’.

«Te facevamo anche noi, ai nostri tempi’.

«‘E ora non più?’

«‘Ora non più’.

«‘Perché no?’

«Qui l’M.L.S.P. computerizzato si rifiutò di rispondere, dicendo di avere già sopportato sei milioni di interrogazioni come quella, senza che lui e gli interroganti ne traessero un qualsiasi vantaggio. Ma dopo che Klapaucius ebbe alzato la loquacità e regolato qualche leva, il computer rispose:

‘Un trilione di anni fa, eravamo una civiltà come tutte le altre — credevamo nella trasmissione delle anime, nella Vergine Matrice, nell’infallibilità di PI quadro, consideravamo la preghiera come un feedback rigenerativo per il Massimo Programmatore e così via. Poi comparvero gli scettici, gli empiristi e gli accidentalisti, e in nove secoli arrivammo alla conclusione che Lassù non c’era Nessuno, e che di conseguenza le cose non accadevano perché erano predestinate da qualche scopo o da qualche piano superiore, ma… be’ accadevano e basta’.

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