Stanislaw Lem - Cyberiade

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«Il mio stupore crebbe ancora quando, più avanti, scorsi un robot con la testa umana e con un bricco, a forma di samovar in miniatura, che gli bolliva allegramente sulla narice sinistra, e una figura che dormiva su un letto di frutta candita, e un’altra con una vetrina nella pancia, in cui si poteva ammirare una collezione di statuine di cristallo.

«Guardando meglio, vidi che le statuine erano mobili e stavano recitando una specie di commedia, ma talmente oscena che, dopo una sola occhiata, corsi via, rosso come un peperone.

«Ero talmente confuso che non feci attenzione a dove mettevo i piedi; così inciampai e caddi, e quando mi rialzai vidi un altro abitante di quello strano pianeta: completamente nudo, si grattava la schiena con un lungo bastoncino d’oro, e pareva provarne un grande piacere, anche se era senza testa.

«La testa era a pochi passi di distanza, con il collo piantato nella sabbia; intenta a pulirsi i denti con la lingua. Aveva il mento a scacchi, l’orecchio destro della forma e del colore di un cavolo (fiore), mentre quello sinistro era del tutto normale, a parte che c’era infilata una carota con un’etichetta: TIRARE.

«Senza riflettere, tirai, e la carota venne via. In fondo, però, era legata con un cordino: continuai a tirare, e dietro il cordino spuntò un’altra etichetta con la scritta: FUOCHINO, FUOCHERELLO. Tirando ancora, e continuando a tirare, all’estremità del cordino c’era finalmente una boccetta per medicine con l’etichetta: SIAMO CURIOSI, VERO?

«Tutto questo mi disorientò al punto che per qualche tempo persi la cognizione di dove mi trovassi. Ma infine ripresi un po’ la padronanza di me e cominciai a guardarmi intorno, alla ricerca di qualcuno con cui poter comunicare quanto bastava per rispondere a un paio di domande. Un possibile candidato, pensai, era un tizio molto grasso, seduto a terra, che mi girava la schiena ed era assorto su qualcosa che teneva sulle ginocchia — almeno aveva solo una testa, due occhi, due braccia e così via. Perciò mi avvicinai a lui e cominciai: ’Scusatemi, ma, se non vado errato, lorsignori sono talmente fortunati da avere raggiunto il Massimo Livello di Sviluppo Possibile…’

«La frase mi morì sulle labbra. L’indigeno dava l’impressione di non avermi ascoltato affatto, perché era completamente preso dalla cosa che aveva sulle ginocchia, e che risultava essere la sua stessa faccia, staccata in qualche modo dal resto della testa. La faccia sospirò piano quando lui la prese per il naso. Per un momento, rimasi paralizzato dallo stupore… ma solo per un momento, perché, subito dopo, ritrovai tutta la mia curiosità e mi dissi che dovevo scoprire a qualsiasi costo quello che stava succedendo.

«Corsi da un indigeno all’altro, parlai con loro, li interrogai, alzai la voce, insistetti, implorai, ragionai, li minacciai addirittura, ma senza ottenere alcun risultato.

«Esasperato, giunsi perfino ad afferrare per il braccio il tiratore di naso e con orrore scoprii che veniva via e che glielo avevo strappato, anche se la cosa non parve dargli alcuna preoccupazione: si limitò a frugare nella sabbia e ne trasse un altro braccio, esattamente uguale a quello che aveva perso — a parte le unghie laccate di arancione — vi soffiò sopra per togliere gli ultimi granelli di sabbia e poi se lo attaccò al moncherino.

«Incuriosito, chinai lo sguardo per osservare il primo braccio, ma mi affrettai a lasciarlo cadere quando si mise a schioccare le dita davanti ai miei occhi.

«Ormai il sole stava tramontando, già due dei suoi vertici erano scomparsi al di sotto dell’orizzonte, l’aria si era raffreddata e gli abitanti di M.L.S.P. cominciavano a prepararsi per la notte: si grattavano, sbadigliavano, facevano i gargarismi; uno tirava fuori una coperta adorna di smeraldi, un altro si staccava metodicamente naso, orecchie e gambe e li metteva in fila.

«Continuai a camminare nel buio, ancora per qualche tempo, poi ci rinunciai, con un sospiro, e anch’io mi stesi sulla sabbia per dormire. Cercando di trovare una posizione comoda, guardai le stelle del cielo e mi chiesi quale poteva essere la mia prossima mossa.

«‘Senza dubbio’ mi dissi ’questo dev’essere il pianeta di cui parlavano sia Cadaverius Malignus sia Cloriano Teoretico il Prof., dove abita la civiltà più progredita dell’universo, una civiltà di poche centinaia di individui che, né uomini né robot, se ne stanno sdraiati per tutto il giorno in un deserto disseminato di ogni sorta di rifiuti e non fanno altro che grattarsi la schiena e tirarsi il naso. No, ci deve essere qualche terribile segreto dietro tutto questo, e io non mi fermerò finché non l’avrò scoperto!’

«Poi pensai: ’Deve trattarsi davvero di un segreto terribile, per giustificare non soltanto la forma cubica del sole e del pianeta, ma anche le statuine pornografiche all’interno di un corpo e i messaggi insultanti nell’orecchio di un altro!

«‘Ho sempre pensato che se io, un semplice robot, posso dedicare la mia vita allo studio e alla ricerca di conoscenze, il tipo di fermento intellettuale che doveva regnare tra queste creature maggiormente sviluppate… anzi, le più sviluppate dell’universo_ doveva essere elevatissimo!

«‘Eppure, queste creature, qualunque cosa facciano, non passano certamente il tempo in conversazioni elevate: non si degnano neppure di rispondere alle domande. Perciò, dovrò costringerle a farlo, ma come?

«‘Forse, se darò loro fastidio, se romperò le scatole, per così dire, diventerò talmente irritante che accetteranno qualsiasi cosa, pur di liberarsi di me!

«‘Naturalmente, c’è qualche rischio: potrebbero irritarsi, e, senza dubbio, potrebbero distruggermi con la stessa facilità con cui si schiaccia una mosca…

«‘Ma no, non posso credere che siano disposti a ricorrere alla violenza — e poi, devo sapere! Bene, diamoci da fare!

«Nell’oscurità, mi alzai e cominciai a gridare con quanto fiato avevo in gola, poi mi misi a fare salti e capriole, presi a calci la sabbia e gliela scagliai negli occhi, danzai e cantai fino a rimanere senza voce, feci parecchi piegamenti sulle braccia e sulle ginocchia, infine mi misi a correre in mezzo a loro come un cane impazzito.

«Gli abitanti del pianeta mi girarono le spalle e sollevarono coperte e cuscini per proteggersi, e infine, quando ero giunto alla mia centesima capriola, sentii una voce che mi diceva, dentro la testa: ’Che commenti farebbe il tuo buon amico Trurl, se potesse vederti adesso, se potesse vedere come passi il tempo sul pianeta che ha raggiunto il Massimo Livello di Sviluppo Possibile, dove abita la Civiltà Più Progredita dell’Intero Universo?’

«Ma io non mi curai del suggerimento e continuai a urlare e a battere i piedi, incoraggiato da quello che si dicevano tra loro:

",Pss!’

«‘Che cosa vuoi?’

’Lo senti?’

«‘Come potrei evitare di sentirlo? Mi ha praticamente spaccato la testa con uno dei suoi calci’.

«‘Puoi sempre cambiarla’.

’Sì, ma non posso dormire’.

«‘Come?’

«‘Ho detto che non posso dormire!’

«‘E’ curioso’ sussurrò un terzo.

«‘E’ «tremendamente» curioso’.

«‘Questo è davvero troppo. Dobbiamo fare qualcosa’.

«‘Cosa?’

«‘Non so… cambiargli la personalità?’

«‘No, sarebbe immorale’.

«‘Senti come grida!’

«‘Aspettate, ho un’idea…’

«Bisbigliarono qualcosa tra loro mentre io continuavo saltare e a fare un baccano del diavolo (concentrando gli sforzi soprattutto sull’area da cui provenivano i bisbigli). Poi, proprio mentre ero finito con la testa contro la pancia di qualcuno, tutto divenne nero e l’istante successivo mi trovai sulla mia nave, già in volo nello spazio.

«Le gambe mi facevano male per tutta quella ginnastica; ma in ogni caso non sarei riuscito a muovermi, perché sedevo in mezzo a una pila di tromboni, vasetti di marmellata verde, orsacchiotti di pezza, «glockenspiel» con campanelline d’argento, monete d’oro, copriorecchie in filo dorato, braccialetti e spille con un luccichio così intenso da costringermi a socchiudere le palpebre.

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