Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
- Автор:
- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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«Niente affatto, niente affatto!» protestò Trurl. «Sono tutt’orecchi, ti assicuro!»
«Mio buon Bonhommius» mi disse Klapaucius, in quella locanda, mentre i danzatori si surriscaldavano «sappi che presi talmente a cuore la storia dello sfortunato Cloriano che decisi di partire immediatamente per cercare quegli esseri perfettamente sviluppati, la cui esistenza egli aveva così conclusivamente dimostrato sulla base di considerazioni logiche e teoretiche.
«La principale difficoltà dell’impresa, a mio giudizio, stava nel fatto che ogni razza del cosmo crede di trovarsi al punto più alto dello sviluppo — di conseguenza, limitandomi a chiedere, non sarei arrivato a niente.
«Ma neppure una ricerca per tentativi ed errori pareva promettere molto, perché l’universo conteneva, secondo i miei calcoli, almeno quattordici centigigatrilioni di civiltà intelligenti; con cifre così grosse, non ci si poteva aspettare di arrivare per caso nel posto giusto.
«Così, riflettei, mi documentai sul problema, esaminai metodicamente parecchie biblioteche, studiai ogni sorta di antichi tomi, finché un giorno non trovai la risposta nelle opere di un certo Cadaverius Malignus, uno studioso che, a quanto pareva, era arrivato alle stesse conclusioni del Prof., ma almeno trecentomila anni prima, e che in seguito era stato completamente dimenticato… cosa che dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che non c’è niente di nuovo sotto il sole — il nostro e qualunque altro.
«Inoltre, anche la vita di Cadaverius aveva avuto molti punti di contatto con quella del nostro Cloriano.
«Ma non divaghiamo. Fu proprio da quelle pagine ingiallite e fragili che appresi come cercare gli M.L.S.P. Malignus sosteneva che occorreva esaminare gli ammassi stellari alla ricerca di qualche fenomeno astrofisico impossibile: non appena se ne fosse trovato uno, quello sarebbe stato il luogo più probabile.
«Un indizio un po’ oscuro, a dire il vero, ma non lo sono un po’ tutti? Senza perdere altro tempo, rifornii la mia nave di tutto il necessario, partii e dopo numerose avventure su cui non è il caso di soffermarsi adesso, alla fine trovai in un grande sciame stellare un astro diverso da tutti gli altri, in quanto era a forma di cubo.
«Ora, quello fu davvero uno shock… qualunque ragazzino sa che le stelle devono essere sferiche e che ogni sorta di angolarità stellare, per non parlare di rettangolarità, è non solo altamente irregolare, ma del tutto da escludere!
«Mi avvicinai alla stella e immediatamente vidi che anche il suo pianeta era cubico, e per di più aveva rinforzi di rame ribattuti ai vertici e una costolatura di conci di calcite agli spigoli. Su un’orbita più esterna ruotava un altro pianeta, che sembrava assolutamente normale; un’occhiata al telescopio, però, mi mostrò orde di robot intente a farsi guerra: una vista che non invitava ad approfondire la ricerca.
«Così, riportai il mio strumento sul pianeta cubico e aumentai al massimo l’ingrandimento: immagina la mia sorpresa e la mia gioia quando accostai l’occhio all’oculare e scorsi una sigla incisa sui conci di pietra, lunghi parecchie decine di miglia, che facevano da spigolo al pianeta: quattro lettere, abbellite da fregi e svolazzi: M.L.S.P.! ’Per il grande Gauss!’ esclamai. ’Il posto deve essere questo!’
«Ma anche orbitando parecchie volte intorno al pianeta cubico, tanto da farmi venire addirittura il capogiro, sulla sua superficie sabbiosa non scorsi neppure un abitante. Solo quando scesi a una quota di sei miglia riuscii a distinguere un gruppo di macchioline che, al massimo ingrandimento, risultarono essere gli abitanti di quello strano corpo celeste.
«Ce n’era almeno un centinaio, stesi sulla sabbia, e rimanevano perfettamente immobili, tanto che per qualche istante pensai che fossero morti. Poi vidi che uno si grattava, e quel piccolo segno di vita mi incoraggiò a scendere. Ero talmente emozionato che non attesi neppure che il mio razzo si raffreddasse dopo aver attraversato l’atmosfera del pianeta, ma saltai immediatamente a terra e chiesi: ’Scusatemi, è per caso questo il pianeta del Massimo Livello di Sviluppo Possibile?’
«Nessuna risposta. In effetti, non mi prestarono alcuna attenzione. Un po’ deluso da quella dimostrazione di assoluta indifferenza, mi guardai attorno. La pianura scintillava ai raggi del sole cubico e qua e là si scorgeva qualche oggetto che sporgeva dalla sabbia: gomme usate, bastoni, pezzetti di carta e altri rifiuti, e gli abitanti erano stesi a terra, a casaccio, in mezzo a quel disordine: uno era sdraiato sulla schiena, l’altro sulla pancia, e un po’ più avanti ce n’era uno con le gambe per aria.
«Mi avvicinai al primo e lo esaminai. Non era un robot, ma non era neppure un uomo; almeno, non era un uomo del solito genere fatto di proteine glutinoso-albuminose. Aveva la testa tonda, le guance rosse, ma al posto degli occhi c’erano due fischietti da arbitro di calcio, e al posto delle orecchie due turiboli da cui si levava una nuvoletta d’incenso.
«La creatura portava un paio di larghi calzoni viola, con una striscia di seta blu sulla cucitura e con, a mo’ di applicazioni, tanti piccoli foglietti, scritti in una calligrafia minutissima, e ai piedi aveva scarpe dai tacchi alti. Inoltre teneva in mano un mandolino fatto completamente di panpepato, dall’impugnatura mancavano già alcuni morsi.
«Dato che russava saporitamente, mi chinai a guardare le scritte che s’era cucito sui calzoni, ma non riuscii a leggerne molte, perché l’incenso mi faceva lacrimare gli occhi. Le frasi erano molto curiose; per esempio: ’N. 7, diamante, peso netto 700 carati’. ’N. 8, Cioccolatini di Tespi, piangono quando li mangi, recitano il soliloquio di Amleto nello stomaco’, e ’Sparse le trecce morbide più avanti’. ’N. 10, coccodrillo da usare in casi di eliminazione d’emergenza, adulto’ e tante altre che adesso non ricordo.
«Quando toccai uno dei pezzetti di carta per poterlo leggere meglio, accanto al ginocchio della creatura, nella sabbia, si formò una depressione e si udì una vocina: ’Devo uscire, adesso?’
«‘Chi è?’ chiesi io, sorpreso.
«‘Sono io, il roccodrillo. Sei pronto? E’ ora?’
«‘No, non ancora!’ mi affrettai a dire, rinculando precipitosamente.
«La creatura successiva aveva la testa a forma di campana, tre corna, parecchie braccia di tutte le lunghezze (con due si grattava la pancia), orecchie lunghe e coperte di piume, un cappello con un bel balcone rosso, su cui una figurina stava discutendo con qualcuno all’interno — una discussione animata, a giudicare dai minuscoli piatti che volavano fuori — e inoltre aveva sotto le spalle un cuscino tempestato di gemme.
«Mentre io lo guardavo, questo individuo si staccò dalla testa uno dei corni, lo annusò e lo gettò via con una smorfia di disgusto, poi versò nell’apertura una manciata di sabbia. Accanto a questa creatura ce n’era un’altra, che a tutta prima mi parve una coppia di gemelli, e poi una coppia di amanti che si abbracciavano. Stavo per allontanarmi per non sembrare indiscreto, quando mi accorsi che non erano due persone, e neppure una, ma una e mezzo.
«La testa era pressoché normale, a parte le orecchie, che di tanto in tanto si staccavano e si mettevano a volare in giro, come farfalle. Aveva gli occhi chiusi, ma parecchi nei sul mento e sulle guance avevano minuscoli occhi che mi fissavano con ostilità.
«Questa strana creatura aveva un petto ampio, muscoloso, che però era tutto pieno di buchi, come se qualcuno si fosse divertito con il trapano, e i buchi erano tappati con una sostanza che ricordava la marmellata di mirtilli. Aveva solo una gamba, ma molto robusta e al piede un’elegante pantofolina di cuoio, in stile moresco, con un sonaglio sulla punta. Vicino al gomito scorsi un mucchio di torsoli di mela (o di pera?).
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