Stanislaw Lem - Cyberiade

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Ma gli anni passarono, e si parlava di me soltanto per chiamarmi Cloriano il Pazzo o il Povero Clorio. Quando giunse il quarantesimo anniversario della mia nascita, constatai che le masse non si decidevano ancora a scoprirmi.

Così, scrissi una tesi sugli M.L.S.P., ossia la razza avente la civiltà più progredita dell’universo.

Come, dici di non averne mai sentito parlare? Ma, se è solo per questo, neanch’io la conosco, e non l’ho mai vista, né mi aspetto di vederla; ho ricavato la sua esistenza in base a considerazioni puramente deduttive, in un modo strettamente logico, inevitabile e teoretico.

Infatti — così procede la mia dimostrazione — se l’universo contiene molte civiltà a vari stadi di sviluppo, la maggioranza sarà più o meno a uno stadio medio, mentre alcune civiltà saranno rimaste indietro e altre saranno riuscite a portarsi avanti.

Ma ogni volta che si ha una distribuzione statistica, per esempio dell’altezza in un gruppo di individui, ce n’è soltanto uno che corrisponde al valore massimo, e la maggioranza insiste su valori prossimi alla media; analogamente, nell’universo, esiste una sola civiltà che ha raggiunto l’M.L.S.P… il Massimo Livello di Sviluppo Possibile.

I suoi abitanti, gli M.L.S.P., hanno conoscenze che noi non possiamo neppure immaginare. Ho detto tutto questo in quattro volumi, pagando di tasca mia la carta patinata e il ritratto dell’autore sul frontespizio, ma anche quei volumi hanno fatto la fine degli altri che li hanno preceduti. Un anno fa ho riletto l’intera opera da cima a fondo, e ho pianto, tanto erano brillanti le sue deduzioni, così piene del respiro dell’Assoluto… no, e impossibile descrivere la bellezza di quell’opera.

Poi, a cinquant’anni, per qualche tempo arrivai al massimo! Vedi, di tanto in tanto acquistavo le opere di altri saggi, che accumulavano grandi ricchezze e ottenevano il successo, per conoscere gli argomenti di cui trattavano. Be’ scrivevano della differenza tra il prima e il poi, della bellezza del trono del Tiranno, con i suoi braccioli aggraziati e le sue gambe ben tornite, e trattati sulle buone maniere, e descrizioni particolareggiate di questo e quello, e in quei libri nessuno parlava direttamente di sé, ma in qualche modo si capiva che Phrensius aveva paura di Schneekon, e viceversa, mentre tutt’e due erano ammirati dai Logariti. Poi c’erano i tre famosi fratelli Voltaici: Voltore lodava Vantore, Vantore lodava Vanitoso, e questi lodava Voltore.

Leggendo le loro opere, all’improvviso venni colto da un’ira trascinante e le distrussi, strappando con le unghie e con i denti le loro pagine… finché non smisi di singhiozzare, poi, asciugate le lacrime, mi misi a scrivere «L’evoluzione della Ragione come fenomeno a doppio ciclo».

Infatti, come spiegavo in quel saggio, robot e visipallidi sono uniti tra loro da un vincolo reciproco. Prima, dall’accumularsi di fango viscido su una spiaggia marina, nascono creature viscose, appiccicose e bianche, fatte di albumine. Dopo un tempo lunghissimo, queste imparano a dare vita al metallo e fabbricano Automi per avere degli schiavi.

Con il tempo, però, il fenomeno si inverte e gli Automi, liberatisi degli Albuminoidi e scordatisi della loro origine, finiscono per condurre esperimenti in cui cercano di sapere se nelle sostanze gelatinose possa sopravvivere la coscienza e la risposta, come si sa, è affermativa, perché le proteine dell’albumina possono ospitarla. Poi, dopo milioni di anni, i visipallidi sintetici scoprono di nuovo i metalli e il ciclo si ripete per l’eternità.

Come vedi, ho così risolto il vecchio interrogativo se venga prima il robot o il visopallido. Presentai questa opera all’Accademia: sei volumi rilegati in cuoio, e il costo della loro pubblicazione consumò gli ultimi resti della mia eredità. C’è bisogno che ti dica che anche quell’opera passò sotto silenzio?

Avevo più di sessant’anni, mi stavo avviando verso i settanta, e la speranza di raggiungere la gloria durante la mia vita stava progressivamente svanendo. Che cosa potevo fare, allora? Cominciai a pensare alla posterità, alle future generazioni che un giorno mi avrebbero scoperto e che si sarebbero inginocchiate nella polvere davanti al mio nome.

Ma che beneficio ne avrei tratto, mi domandai, dato che non sarei stato presente? Perciò fui costretto a concludere, in accordo con i miei insegnamenti contenuti in quarantaquattro volumi — oltre che con i prolegomeni, i paralipomeni e le appendici da me scritti — che non ne avrei tratto alcun beneficio.

Così, con il cuore che ribolliva di amarezza, mi accinsi a scrivere il mio «Testamento per i discendenti», in cui intendevo prenderli a calci e coprirli di sputi, svillaneggiarli, insultarli e maledirli quanto possibile, e il tutto nel modo più scientifico e rigoroso.

Perché? mi chiedi. Pensi che fosse ingiusto, che avrei fatto meglio a indirizzare la mia indignazione contro i miei contemporanei, i quali non avevano saputo riconoscere la mia genialità?

Bah! Rifletti, o degno straniero! Quando il mio «Testamento» sarà esaltato dalla fama futura, e ogni sua sillaba brillerà di grandezza, i contemporanei saranno ormai polvere, e come potranno essere raggiunti dalle mie maledizioni?

No, se facessi come dici tu, i loro discendenti studierebbero le mie opere con spirito perfettamente equanime, e di tanto in tanto osserverebbero, con un sospiro calmo e superiore: «Ahimè! Con che calma, con che eroismo il maestro ha sopportato la sua crudele oscurità! Com’era giustificata la sua rabbia contro i nostri antenati, e, nello stesso tempo, com’è nobile da parte sua averci lasciato in eredità, nonostante tutte le offese, i frutti della sua saggezza!»

Ecco, è esattamente quello che direbbero! E poi? Gli idioti che mi hanno sepolto vivo non devono essere puniti? La tomba deve poterli riparare dalla mia collera e dalla mia vendetta? La sola idea mi fa ribollire tutto l’olio! Che i figli possano leggere in pace le mie opere, sgridando educatamente, da parte mia, i loro genitori?

Niente affatto! Il minimo che possa fare è mostrargli la lingua da lontano, dal passato! Devono sapere, coloro che venereranno il mio pensiero e che innalzeranno monumenti dorati alla mia memoria, che in cambio io voglio che… gli si sloghino i giunti, gli scoppino le valvole, gli si brucino le trasmissioni, perdano i dati che hanno nelle loro memorie, e la ruggine li ricopra da cima a fondo, se non sanno fare altro che onorare le salme esumate dal cimitero della storia!

Forse sarà già nato tra loro un nuovo saggio, ma essi, troppo occupati a faticare come schiavi sui frammenti dei miei messaggi alla lavandaia, non si accorgeranno di lui! Che sappiano, dico io, che sappiano, una volta per tutte,

che li condanno cordialmente, e che sinceramente li disprezzo, che li considero baciascheletri, leccacadaveri, sciacalli professionisti, perché si nutrono di carogne e non sanno riconoscere la saggezza quando è ancora viva!

E, nel pubblicare le mie «Opere Complete» — le quali dovranno includere questo «Testamento», la mia maledizione finale sulle loro future teste — che quei vili tanatomiti e necrofiti siano almeno privati della possibilità di congratularsi con se stessi per il fatto che Cloriano Teoretico il Prof., l’impareggiabile pensatore che ritrasse il domani infinito, apparteneva alla loro risma!

E quando si inchineranno sotto il mio monumento, che sappiano come io abbia augurato loro soltanto il peggio che l’universo ha da offrire, e come la forza del mio odio, proiettata contro il futuro, fosse uguagliata solamente dalla sua impotenza!

Sappiano che li ripudio per sempre e che ho scagliato su di loro soltanto il mio disprezzo e i miei anatemi!

Per tutto questo lungo concione Klapaucius aveva cercato invano di calmare l’infuriato sapiente. Nel pronunciare le ultime frasi, però, il vecchio era balzato in piedi e ora, minacciando con il pugno le generazioni a venire, scaricò una serqua di insulti sorprendentemente pungenti (sorprendente era soprattutto il fatto che Cloriano li conoscesse: dove poteva averli imparati, avendo sempre condotto una vita così esemplare?) Poi, schiumante e fumante, ruggì e batté i piedi sul pavimento, e, con una pioggia di scintille, crollò a terra, morto per un travaso di bile.

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