Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
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- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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Sappi, o forestiero, che io sono un sapiente, un sapiente per sapienti, il primo dei filosofi, perché la mia principale passione e professione, per tutta la vita, è sempre stata l’ontologia, e il mio nome (che un giorno brillerà più delle stelle) è Cloriano Teoretico il Prof.
Sono nato in una famiglia umîle, e fin dalla prima infanzia ho sentito un’irresistibile attrazione per il pensiero astratto. A sedici anni ho scritto la mia prima opera, «Lo Gnostotrone», in cui si proponeva la teoria generale delle divinità a posteriori, divinità che dovevano essere aggiunte all’universo in un secondo tempo, da parte delle civiltà progredite, poiché, come si sa, la Materia viene sempre per prima e non c’era nessuno, all’inizio, che potesse pensare. Chiaramente, a quell’epoca, all’Alba della Creazione, l’assenza di pensiero regnava suprema, com’è ovvio quando si dà un’occhiata al nostro Cosmo!
(A quel punto, il vecchio saggio fu preso dall’ira e batté vigorosamente i piedi, ma presto si stancò e riprese a parlare.)
Semplicemente, spiegavo la necessità di costruire degli dèi a posteriori, perché non ce n’erano a priori. In effetti, ogni civiltà che si dedica all’intelligenza elettronica non cerca altro che di costruire un Omniac — un calcolatore universale — che, con la sua infinita misericordia, possa raddrizzare le correnti del male e tracciare il cammino della rettitudine e della vera sapienza.
Ora, in quel mio primo lavoro, includevo anche il progetto del primo Gnostotrone, oltre a diagrammi sulla sua onnipotenza in uscita, misurata in unità chiamate geovah. Un geovah corrispondeva a un miracolo in un raggio di un miliardo di parsec.
Non appena il mio trattato venne pubblicato (a mie spese), io corsi in strada, sicuro che la gente mi avrebbe portato trionfalmente sulle spalle, incoronato di ghirlande, coperto d’oro, ma nessuno, neppure un cybernetista zoppo, venne a complimentarsi con me.
Allarmato ancor prima che deluso da un simile oblio, immediatamente mi misi a scrivere un’opera in due volumi, «Il flagello della ragione», in cui dimostravo che ogni civiltà ha davanti a sé due sole strade, ossia morire per la troppa agitazione o morire per la troppa compassione.
E mentre percorrono l’una o l’altra strada, le civiltà divorano l’universo, trasformando la materia planetaria e stellare in assi del cesso, portamantelli, ruote, bocchini per sigarette e cuscini, e si comportano così perché, incapaci di capire l’universo, cercano di cambiare quella Incomprensione in Qualcosa di Comprensibile e non si fermeranno finché nebulose e pianeti non saranno stati trasformati in lettini, vasi da notte e bombe, il tutto nel nome dell’Ordine Sublime, perché solo un universo con pavimenti, impianti idraulici, etichette e cataloghi è accettabile e rispettabile.
Nel secondo volume, intitolato «Advocatus materiae», dimostravo come la Ragione — un’entità avida, mai contenta è soddisfatta soltanto quando riesce a incatenare un geyser cosmico, o a imbrigliare uno sciame atomico… per esempio, per produrre un unguento per togliere le pustole.
Fatto questo, la Ragione corre a occuparsi del successivo fenomeno naturale, intenzionata ad aggiungerlo, come una testa impagliata, alla sua amata collezione di spoglie scientifiche.
Ma, ahimè, anche questi miei due eccellenti volumi vennero accolti con il massimo disinteresse da parte del mondo; allora mi dissi che per arrivare al successo occorrevano pazienza e perseveranza.
Avendo difeso, prima, la Ragione contro l’universo (assolvendo la Ragione da ogni colpa, in quanto la Materia permette ogni sorta di abominio soltanto perché è priva di mente) e poi l’universo contro la Ragione (da me completamente demolita, oserei dire), per un’ispirazione improvvisa scrissi «Il sarto esistenziale», in cui dimostravo in via definitiva l’assurdità di avere più di un filosofo, in quanto ciascuno mira a elaborare una filosofia propria, che calza a lui solo, come un guanto o un vestito su misura.
E poiché quel lavoro venne del tutto ignorato, subito ne scrissi un altro, in cui presentavo tutte le possibili ipotesi sull’origine dell’universo: per prima l’opinione che esso non esista affatto, per seconda che sia il risultato di tutti gli errori commessi da un certo Demiurgo, il quale si era accinto a creare il mondo senza la minima idea di come procedere; terza, che il mondo è in realtà l’allucinazione di qualche Supercervello divenuto folle in maniera infinita ma circoscritta; quarta, che è un’idea asinina materializzatasi per burla; quinta, che è materia che pensa, ma con un coefficiente di intelligenza spaventosamente basso… poi mi misi ad aspettare le reazioni, prevedendo attacchi veementi, dibattiti accesi, notorietà, allori, denunce, lettere degli ammiratori e minacce anonime.
Invece, anche questa volta, niente di niente. Incredibile. Allora pensai: be’, forse non ho letto a sufficienza le opere degli altri pensatori, e così, procuratomi le loro opere, feci la conoscenza dei più famosi: Phrensius Whiz, Buffon von Schneckon, fondatore del movimento Schneckonista, e poi Turbulo Turpitus Catafalicum, Ithm di Logar e, naturalmente, Lemuel il Pelato.
Eppure, in tutte quelle opere non scoprii niente di importante. Intanto, anche i miei libri venivano gradualmente venduti, e perciò ne dedussi che qualcuno li leggeva: se così era, presto o tardi se ne sarebbe parlato. In particolare, non dubitavo che il Tiranno mi avrebbe chiamato, con la richiesta di dedicarmi esclusivamente a rendere immortale il suo glorioso nome.
Naturalmente, gli avrei detto con sdegno che il mio unico padrone era la verità e che per essa ero disposto a sacrificare la vita. Allora il Tiranno, desideroso di ricevere le lodi che la mia mente superiore poteva formulare, avrebbe cercato di conquistarmi con parole suadenti e forse anche con sacchi di monete tintinnanti, ma, vedendomi deciso e incrollabile, avrebbe dichiarato (dietro suggerimento dei suoi consiglieri) che se mi occupavo dell’universo dovevo occuparmi anche di lui, perché anch’egli era una parte della Totalità Cosmica.
Offeso da questa presa in giro gli avrei risposto con qualche battuta tagliente, e lui mi avrebbe messo alla tortura. Perciò, rafforzai il mio corpo in anticipo, per poter sopportare — con filosofica indifferenza — anche il peggio.
Eppure, passarono i giorni e i mesi, ma non ricevetti mai una parola dal Tiranno… mi ero preparato invano al martirio. L’unico a occuparsi di me fu uno scribacchino chiamato Noxion, il quale scrisse, in uno squallido giornale del pomeriggio, che un certo Cloriano, senza dubbio un burlone, aveva esposto un’infinità di trovate bizzarre in un suo libro intitolato spiritosamente «Lo Gnostotrone, o il supremo Onnipotenziometro, ovvero Un’ocata nel futuro».
Corsi alla mia biblioteca… ed era proprio così: il tipografo aveva scritto «ocata» invece di «occhiata».
Il mio primo impulso fu quello di ucciderlo, poi prevalse la ragione. «Il mio tempo verrà! " dissi a me stesso. «Non può essere che una persona dispensi a destra e a manca, giorno e notte, perle di saggezza eterna, finché la mente viene accecata dalla Luce della Comprensione Finale… e che non succeda niente! No, arriverò alla fama e al plauso, alla cattedra d’avorio, al titolo di Primo Mentore, all’affetto della gente, a una mia scuola, in un boschetto ombroso, ad allievi che raccolgono ogni mia parola, a una folla osannante!»
Infatti, o straniero, ogni intellettuale sogna queste cose. Certo, ti diranno che il loro unico sostegno è la Conoscenza, e la loro unica gioia è la verità, che non fanno per loro gli orpelli di questo mondo, i nastri, le medaglie e i premi, l’abbraccio della folla, l’oro, la gloria, l’applauso. Tutte balle, mio caro signore, tutte balle! Tutti vogliono le stesse cose, e la sola differenza tra loro e me è che io, almeno, ho la grandezza di spirito di ammettere simili fragilità, apertamente e senza vergogna.
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