Stanislaw Lem - Cyberiade

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Cyberiade: краткое содержание, описание и аннотация

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«Klapaucius era un po’ deluso dal fatto che l’Altruizina funzionasse soltanto sugli umani, cosa che significava che i robot avrebbero dovuto continuare a sopportare la loro sfortuna in questo mondo. Io, però, gli ricordai il dovere di solidarietà tra tutti gli esseri pensanti e la necessità di aiutare i nostri fratelli organici. C’erano da risolvere alcuni problemi pratici, ma entrambi fummo d’accordo su una cosa: il lavoro di dare la felicità non si poteva rimandare.

«Così, mentre Klapaucius faceva preparare allo Gnostotrone una buona dose di sostanza, scelsi un pianeta geomorfo, popolato da umani, a un giorno di viaggio.

«Come benefattore intendevo rimanere anonimo, e di conseguenza il mio illustre mèntore mi consigliò, una volta arrivato sul pianeta, di assumere forma umana, cosa che, come certo sai, è tutt’altro che semplice. Eppure, anche in questo caso il grande costruttore superò difficoltà soverchianti e presto fui pronto per la partenza, con una valigia per mano.

«La prima valigia conteneva quaranta chilogrammi di Altruizina in polvere, nell’altra c’erano pigiama, biancheria, nasi, capelli, occhi finti di scorta e così via. L’aspetto con cui mi presentavo era quello di un giovanotto ben proporzionato con folti baffi e frangetta.

«Ora, Klapaucius cominciò ad avere qualche dubbio sull’opportunità di applicare l’Altruizina su una scala così ampia, e anche se io non condividevo le sue riserve, gli promisi di fare una prova su piccola scala non appena arrivato su Terraria (così si chiamava il pianeta). Io non vedevo l’ora di iniziare la grande seminagione della pace e della fratellanza universali: così, dissi arrivederci a Klapaucius e mi affrettai a partire.

«Per condurre la prova, mi recai, subito dopo il mio arrivo, in una piccola cittadina, dove presi alloggio in una locanda gestita da un vecchio che non mi pareva particolarmente sveglio. Mentre portavano il mio bagaglio dal carro alla mia stanza, riuscii a gettare un pizzico di polvere nel pozzo in mezzo al cortile.

«Intanto, c’era una grande confusione, con ragazze che correvano avanti e indietro portando secchi di acqua calda; l’oste le insultò tutte; poi sentii arrivare un altro carro: ne uscì un vecchio con una borsa di cuoio nera, da medico… ma, invece di recarsi in casa, si recò nella stalla, da cui giungevano i gemiti più disperati.

«Come venni a sapere dalla cameriera, una bestia terraria appartenente all’oste — una mucca, mi disse — si stava riproducendo proprio in quel momento. La notizia mi preoccupò notevolmente: non avevo mai preso in considerazione la presenza animalesca. Ma ormai non potevo fare nulla: perciò mi chiusi nella mia stanza, in attesa che succedesse qualcosa.

«E non dovetti aspettare molto. Stavo ascoltando il rumore della catena del pozzo che scorreva nella carrucola — laggiù prendevano ancora l’acqua dal sottosuolo — quando la mucca muggì di nuovo… e questa volta le fecero eco parecchie altre voci.

«Immediatamente, il veterinario uscì di corsa dalla stalla, urlando e tenendosi in mano la pancia, seguito dalle cameriere e dal locandiere. Scossi dalle doglie della mucca, lanciarono un grande grido e fuggirono in tutte le direzioni… per poi tornare subito indietro, perché a una certa distanza il dolore spariva.

«Parecchie volte corsero verso la stalla e altrettante volte dovettero ritornare indietro, piegati su se stessi per il dolore delle contrazioni. Afflitto da quello sviluppo imprevisto, mi dissi che era necessario andare in città, se si voleva provare il farmaco nel modo migliore, perché laggiù non c’erano animali.

«Così, rifeci le valigie e andai a pagare il conto, ma nessuno mi dava retta, perché tutti soffrivano per le doglie dell’animale. Quando arrivai al mio carro, trovai cavalli e cocchiere sofferenti dei dolori del parto e perciò decisi di raggiungere a piedi la città.

«Stavo passando su un piccolo ponte, quando, come volle la mia sfortuna, mi sfuggi di mano la valigia e, cadendo, si aprì in modo da rovesciare nel fiume tutta la mia scorta di polvere. Io rimasi a guardare, ammutolito, mentre la corrente si impadroniva dei miei quaranta chilogrammi di Altruizina e li scioglieva. Ormai non c’era più niente da fare, perché il dado era tratto: quel fiume riforniva di acqua potabile la città.

«Quando raggiunsi l’abitato era già sera, e le luci erano accese; le strade erano piene di gente; io trovai un piccolo albergo, un luogo da dove osservare gli effetti della sostanza, anche se per il momento non parevano essercene.

«Stanco per aver viaggiato tutto il giorno, andai subito a dormire, ma venni svegliato in piena notte da un coro di grida davvero orrende. Buttai via le coperte e mi alzai: la mia stanza era illuminata dalle fiamme dell’edificio di fronte, a cui era stato appiccato fuoco.

«Quando scesi in strada, inciampai in un cadavere ancora caldo. Lì accanto, sei delinquenti tenevano fermo un vecchio, che gridava disperatamente aiuto, e gli strappavano dalle mascelle un dente dopo l’altro, con un paio di pinze… finché un unanime grido di trionfo non annunciò che finalmente avevano trovato quello che cercavano: il dente cariato che li aveva fatti impazzire a causa delle trasmissioni psicotrope. Poi, molto più sollevati, lasciarono nel fossato, più morto che vivo, il vecchio ormai sdentato.

«Tuttavia, non era stato quell’episodio a svegliarmi, ma ciò che stava accadendo in una taverna dall’altra parte della strada. Pareva che un sollevatore di pesi, ubriaco, avesse dato un pugno al compagno, e che, avendo sentito immediatamente il dolore del colpo, si fosse davvero arrabbiato e avesse preso a dargliele di santa ragione.

«Intanto, gli altri avventori, non meno indignati, si erano uniti alla mischia, e il cerchio di azione e reazione era arrivato a tali proporzioni da destare metà di coloro che dormivano nel mio albergo.

«Questi si erano armati di bastoni, scope e altre armi improprie, e, in camicia da notte, si erano uniti alla battaglia, piombando in massa tra le bottiglie rotte e i tavolini rovesciati, finché, a causa di un lume a petrolio caduto in terra, non era scoppiato l’incendio.

«Assordato dalle sirene dei carri dei pompieri — oltre che dai gemiti dei feriti — corsi via, e dopo un paio di isolati mi trovai in mezzo a una piccola folla che si era raccolta davanti a una graziosa casetta bianca con cespugli pieni di rose nel giardino.

«A quanto capii, all’interno c’erano due sposini che consumavano la prima notte di nozze. La ressa era incredibile, la gente spingeva per avvicinarsi di più, e in mezzo al gruppo scorsi uomini in divisa militare, altri in abito talare, perfino studentelli delle medie inferiori; i più vicini infilavano la testa nelle finestre, altri saltavano sulle spalle di quest’ultima e gridavano: B allora? Che cavolo aspetti? Smettila di cincischiare, sbrigati a concludere!’ e altre frasi del genere.

«Un vecchio signore, troppo debole per farsi largo a forza di gomitate, piagnucolava che lo lasciassero passare: a quella distanza non riusciva a provare niente, perché l’età gli aveva indebolito le facoltà mentali.

«Le sue perorazioni, però, non vennero ascoltate da nessuno — nella folla, alcuni erano persi in un trasporto deliziato, altri gemevano di piacere, mentre altri fumavano voluttuosamente.

«Dapprima i parenti degli sposini avevano cercato di allontanare gli intrusi, ma presto erano stati travolti anch’essi dall’ondata generale di concupiscenza e si erano uniti al coro di scurrilità, incoraggiando la giovane coppia ad audacie sempre maggiori. Nel triste spettacolo, una parte di primo piano era svolta dal nonno dello sposo, che cercava di sfondare, con la sua sedia a rotelle, la porta della camera.

«Terrorizzato, mi affrettai a fare ritorno in albergo, e per strada mi imbattei in parecchi gruppi, alcuni intenti a combattere, altri ad abbracciarsi con lascivia. Eppure questo non era niente, rispetto a quel che vidi in albergo.

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