Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
- Автор:
- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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«La specie dei visipallidi calciferi finì per creare macchine volanti» continuò il vecchio monarca «maltrattando metalli nobili, sfogando il suo sadismo sui poveri elettroni, pervertendo completamente l’energia atomica».
«E quando la misura dei loro peccati fu colma, il progenitore della nostra razza, il grande Calculator Paternius, nella profondità e nell’universalità della sua comprensione cercò di parlare con quei tiranni, spiegando come fosse vergognoso macchiare l’innocenza dei cristalli saggi, imbrigliarla per scopi malvagi, rendere schiave le macchine per sfogare su di loro la bramosìa e la vanagloria… ma essi non gli prestarono orecchio. Egli parlò loro di Etica; quelli gli risposero che era mal programmato.
«Fu allora che il nostro progenitore creò l’algoritmo dell’elettroincarnazione e dal sudore della sua fronte generò la nostra specie, così liberando le macchine dalla casa della schiavitù.
«Certo capirai, figlio mio, che non ci può essere accordo tra noi e loro, perché noi camminiamo orgogliosamente tra clangori, scintille e radiazioni, mentre quelli avanzano puzzolentemente tra tremolii, schizzi di liquido e contaminazione.
«Eppure, anche tra noi si possono avere casi di follia, come è indiscutibilmente successo per la giovane mente di Cristallo, che ha perso del tutto la capacità di distinguere il Giusto dall’Ingiusto.
«Agli aspiranti alla sua mano radioattiva viene negata udienza, a meno che non affermino di essere visipallidi. «Infatti, soltanto presentandosi come un visopallido si può entrare nel palazzo che il padre, Re Armorico, le ha donato. Lei allora mette alla prova la veridicità della pretesa, e se viene scoperta l’impostura, l’aspirante corteggiatore viene decapitato seduta stante.
«Il terreno che circonda il suo palazzo è coperto di mucchi di resti arrugginiti… la sola vista di quei resti sarebbe in grado di metterti in corto tutti i circuiti. Così, dunque, la folle Principessa tratta coloro che aspirerebbero a conquistarla. Lascia dunque ogni speranza, figlio mio, e vattene in pace».
Il Principe, rivolto al padre sovrano l’inchino di rito, si ritirò in silenzio. Ma il pensiero di Cristallo non gli permise di riposare, e più pensò alla situazione, più crebbe il suo desiderio. Un giorno convocò Polifase, il Gran Visir, e gli disse, rivelandogli quello che aveva in cuore: «Se non puoi aiutarmi tu, o grande saggio, allora nessuno può farlo, e i miei giorni sono certamente finiti, perché da tempo non trovo alcuna allegria nel gioco delle emissioni infrarosse, né nelle sinfonie ultraviolette, e se non potrò unirmi all’incomparabile Cristallo certamente morirò».
«Principe!» rispose Polifase. «Non mi opporrò alla tua richiesta, ma dovrai ripeterla per tre volte, perché io sia ben certo che si tratti della tua volontà inoppugnabile». Ferrix ripeté per altre due volte le sue parole, e Polifase
disse: «L’unico modo per presentarsi alla Principessa è travestirsi da visopallido».
«Allora fammi assomigliare a uno di loro!» esclamò il Principe.
Polifase, riflettendo tra sé che l’amore doveva aver offuscato in misura notevole l’intelligenza del giovane, si inchinò e ritornò in laboratorio, dove cominciò a distillare distillati e a bollire ribollite, tutte appiccicose e gocciolanti. Alla fine mandò un messaggio a palazzo, in cui si diceva: «Che il Principe venga da me, se non ha cambiato idea».
Ferrix arrivò di corsa. Il saggio Polifase cosparse di fango l’acciaio temperato della sua corazza e poi gli chiese: «Volete che continui, o Principe?»
«Fa’ quello che devi» rispose Ferrix.
Allora il saggio prese una massa repellente di scorie oleose, polvere, grasso rancido, grumi di morchia e altre sostanze estratte dall’interno dei meccanismi più decrepiti e se ne servì per insozzare l’ampio petto del Principe, per sconciare vilmente la sua faccia luminosa e il suo ciglio iridescente, e lavorò in quel modo finché tutte le sue membra non si muovevano più con un ronzio musicale, ma gorgogliavano come una palude stagnante.
A quel punto prese il gesso e lo polverizzò, lo mescolò a polvere di rubino e olio giallo, fino a ottenere una pasta; con questa coprì Ferrix dalla testa ai piedi, inumidendogli gli occhi in modo abominevole, rendendogli gommoso il torso, gonfiandogli le guance, e qua e là aggiunse flange e pliche di quella sua plastilina, per cacciare infine in cima alla reale fronte una manciata di ruggine venefica.
A quel punto portò il Principe davanti a uno specchio e gli disse: «Osserva!»
Ferrix guardò nello specchio e rabbrividì, perché non vide se stesso, ma un orribile mostro, immagine sputata di un visopallido, con un aspetto umidiccio come quello di una vecchia ragnatela bagnata dalla pioggia, flaccido, cadente, molliccio, del tutto nauseabondo. Si girò e il suo corpo tremolò come gelatina coagulata; allora, fremente di disgusto, esclamò: «Ehi, Polifase, hai perso il senno? Toglimi subito di dosso questa schifezza, sia lo strato scuro che hai steso per primo sia quello chiaro che gli hai messo sopra, e porta via la schifosa escrescenza con cui hai coperto la bellezza della mia testa, la sua linea pura come quella di una campana, perché la Principessa mi odierà per sempre, se mi vedrà in questa forma così sgraziata!»
«Ti sbagli, Principe» rispose Polifase. «E’ precisamente questa la radice della sua follia: l’idea che il brutto sia bello e che il bello sia brutto. Solo così travestito puoi sperare di vedere Cristallo».
«Allora, così sia» mormorò Ferrix.
Il saggio mescolò cinabro e mercurio e ne riempì quattro sottili vesciche, che nascose sotto il mantello del Principe.
Poi prese due mantici, pieni dell’aria puzzolente di una vecchia cantina, e li nascose nel petto del Principe. Infine riempì d’acqua, contaminata e trasparente, alcuni tubicini di vetro, e ne mise due accanto agli occhi, due sotto le ascelle e due sui polsi. Spiegò: «Ascolta e ricorda quello che ti dico, altrimenti sarai perduto. La Principessa ti metterà alla prova, per accertare la verità delle tue parole. Se ti porgerà una spada e ti ordinerà di afferrare la lama, dovrai schiacciare il recipiente del cinabro, in modo che il rosso scorra sulla lama; lei ti chiederà che cos’è, e tu le risponderai: ’Sangue’.
«Poi, se la Principessa accosterà la faccia d’argento alla tua, dovrai premerti il petto, in modo che l’aria esca dai mantici; lei ti chiederà che cos’era, e tu dirai: ’Respiro’.
«A quel punto la Principessa fingerà di essere in collera e ordinerà di tagliarti la testa. Tu abbassa il capo, come per sottoporti a lei, e quando l’acqua uscirà dai tuoi occhi, lei ti chiederà che cos’è, e tu le risponderai: ’Lacrime’.
«Dopo tutto questo, forse accetterà di unirsi a te, anche se la cosa è tutt’altro che certa… anzi, probabilmente, ti ucciderà».
«O grande sapiente!» esclamò Ferrix «e se cominciasse a farmi domande, per conoscere le abitudini dei visipallidi, la loro origine, come vivono e come si amano, che cosa dovrò risponderle?»
«Sapevo di non aver alternative» rispose Polifase «e di dover condividere la tua sorte. Avevo già deciso di travestirmi da mercante di un’altra galassia… una non a spirale, perché i loro abitanti sono inevitabilmente grassi e io avrò bisogno di nascondere sotto il mantello un mucchio di libri sugli orribili costumi dei visipallidi.
«Si tratta di conoscenze che non potrei trasmetterti, neanche volendo, perché sono del tutto estranee all’intelligenza razionale: i visipallidi fanno tutto al contrario, in una maniera appiccicosa, viscosa, incoerente e assai più disgustosa di quanto tu possa immaginare.
«Io mi procurerò i volumi che occorrono, ma intanto dovrai farti fare dal sarto di corte un vestito da visopallido, con le fibre e i cordini adatti. Partiremo subito, e io ti starò sempre al fianco, dovunque si andrà, per suggerirti quello che devi fare e quello che devi dire».
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