Stanislaw Lem - Cyberiade

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«Infatti, entrambi sappiamo che le lettere di qualsiasi testo possono essere ricombinate a piacimento, ossia anagrammate, in modo da dare un’infinità di testi diversi. Però, per chiarire la cosa, occorrerebbero dimostrazioni che, pur essendo del tutto corrette, tendono a rivelarsi un po’ complicate… dimostrazioni che, secondo me, il Re non era in grado di seguire, non essendo abbastanza intelligente. Una volta, si è detto che per spostare un pianeta basta trovare un buon punto d’appoggio; io, per scalzare una mente perfetta, ho dovuto cercare qualcosa su cui fare leva, ed è stata la stupidità».

PRIMO INTERMEZZO

OVVERO

DELLA SFERICITA’

La prima macchina aveva terminato il suo racconto; fece un profondo inchino a Re Genius e al gruppo degli ascoltatori, poi, educatamente, si ritirò in un angolo della caverna.

Il Re disse di essere rimasto soddisfatto della narrazione e chiese a Trurl: «Dimmi, mio buon costruttore, la macchina racconta solo quello che tu le hai insegnato o la fonte delle sue conoscenze è indipendente da te? Inoltre, permettimi di osservare che la storia che abbiamo udito, per quanto istruttiva e interessante, mi pare incompleta, perché non sappiamo che cosa sia successo in seguito ai Moltitudiani e al loro ignorante Re».

«Vostra Maestà» disse Trurl «la macchina riferisce solo verità, poiché ho accostato alla mia testa, prima di venire qui, il suo aspiratore di informazioni, permettendole di attingere ai miei ricordi. Ma l’ha fatto da sé, e non so quali miei ricordi abbia scelto; perciò non si può dire che le abbia intenzionalmente insegnato qualcosa, e neppure che la sua fonte di informazioni sia esterna a me.

«Quanto ai Moltitudiani, la storia, effettivamente, non ci ha detto niente del loro destino successivo; ma anche se tutto si può raccontare, non tutto si adatta alla storia. Supponiamo che quanto sta avvenendo qui, in questo momento, non sia la realtà, ma solo una favola — una favola di ordine superiore — che racchiude la storia raccontata dalla macchina: un ascoltatore potrebbe chiedersi perché voi e i vostri compagni avete forma sferica, dato che la sfericità non riveste alcuno scopo nella narrazione e sembrerebbe un abbellimento del tutto superfluo…»

I compagni del Re si meravigliarono per la perspicacia del costruttore e il Re stesso disse, con un largo sorriso: «C’è un notevole fondo di verità in quello che dici. Per quanto riguarda la nostra forma, ti racconterò come è andata. Molto, molto tempo fa, il nostro aspetto — ossia, l’aspetto dei nostri antenati — era del tutto diverso, perché erano nati per volontà di certe creature piene di acqua, e dall’interno spugnoso; creature pallide, che li avevano costruiti a loro immagine e somiglianza. Così i nostri antenati avevano braccia, gambe, testa, e un tronco che univa tutte quelle appendici. Ma una volta che si furono liberati dei loro creatori, sentirono la necessità di eliminare perfino quella traccia della loro origine: così, ogni generazione ha trasformato la propria forma esteriore, finché non si è arrivati alla forma di una sfera perfetta. E perciò, bene o male che sia, adesso siamo sfere».

«Vostra Maestà» rispose Trurl «una sfera ha caratteristiche positive e nello stesso tempo negative, dal punto di vista del costruttore. Ma in genere è preferibile che una creatura intelligente non possa cambiare la propria forma, perché una simile libertà è in realtà un tormento. Chi è costretto a rimanere quello che è, può maledire il suo destino, ma non può cambiarlo; viceversa, chi può trasformarsi non ha nessun altro che se stesso da biasimare per i suoi insuccessi, soltanto se stesso da ritenere responsabile della propria insoddisfazione. Tuttavia, non sono venuto qui, o Re, per farvi una lezione sulla Teoria Generale dell’Autocostruzione, ma per mostrarvi le mie macchine narratrici. Volete ascoltare la prossima?»

Il Re acconsentì e, dopo avere brindato alla macchina con bicchierini della migliore ambra grigia ionizzata, la compagnia tornò a sedere e si mise comoda. La seconda macchina si avvicinò, s’inchinò al Re e disse: «O Possente Re! Ecco una storia, anzi un vero nido di storie, con armadi e suppellettili, del costruttore Trurl e delle sue meravigliose avventure non lineari!»

LA STORIA DELLA SECONDA MACCHINA

OVVERO

IL BENEFATTORE DEL PIANETA

Accadde un giorno che il Grande Costruttore Trurl venisse convocato dal Re Tirapollici Terzo, sovrano di Tyrannia, il quale voleva imparare da lui come raggiungere la perfezione della mente e del corpo. Trurl gli rispose come segue:

Una volta atterrai sul pianeta Legaria e, come faccio sempre, mi fermai in un’osteria, deciso a restare nella mia stanza finché non avessi conosciuto meglio la storia e le abitudini dei Legariani. Era inverno, fuori soffiava il vento e nel buio edificio non c’era nessuno, finché, all’improvviso, non sentii bussare al portone.

Guardando fuori, vidi quattro figure incappucciate, che scaricavano da un automezzo blindato un mucchio di grosse valigie nere; poi gli incappucciati entrarono nell’albergo. L’indomani, verso mezzogiorno, dalla stanza vicina giunsero i suoni più strani: fischi, colpi di martello, ansimi, vetri rotti, e in mezzo a tutti quei rumori si levava una voce in chiave di basso profondo, che gridava senza interruzione: «Più svelti, figli della vendetta, più svelti! Versate gli elementi, muovete quel setaccio! Senza scuotere! L’imbuto, adesso! Riempite bene!

«Bene, e adesso fabbricatemi lo scampaschiuma, lo schivapinze, lo strizzafori, l’unità mnemonica edulcorata, quel maledetto figlio di un cacciavite che è andato a nascondersi codardamente nella fossa! Ma neppure la morte riuscirà a proteggerlo dalla nostra giusta collera! Passatemelo subito, con quel suo cervello svergognato e le sue gambette striminzite! E ora, tu con quelle pinze, pensiamo al naso! Di più, di più… dobbiamo poterlo afferrare bene, per l’esecuzione! E voi, forza sui mantici, miei fidi! Mettetelo nella morsa! E adesso piantate quei chiodi sulla sua faccia di bronzo! Una seconda fila, bene… Così… perfetto! Forza con quel martello! Uno-due, uno-due! E tirate quei nervi… non deve svenire troppo presto, come quello di ieri! Deve sorbire la nostra vendetta fino all’ultima sorsata, all’ultimo centello, all’ultimo zinzino! Uno-due! Ehi-ho, ehi-ho!»

La voce continuò a ruggire in questo modo, e le fecero eco i colpi di martello sull’incudine e il soffio dei mantici, finché non si udì un forte starnuto, e da quattro gole si levò un grido di trionfo. Subito dopo, sentii un breve trepestio, qualche sbuffo soffocato, rumore di colpi, e infine il cigolio di una porta che veniva aperta.

Guardando da una fessura della porta, vidi gli sconosciuti uscire dalla stanza e — anche se la cosa sembrava incredibile — adesso erano cinque!

Si avviarono tutti verso la scala e scesero in cantina: si chiusero a chiave e vi rimasero a lungo. Quando ne uscirono — solo in quattro — era ormai pomeriggio inoltrato e tutti avevano un’aria stanca ed erano silenziosi come se fossero stati a un funerale.

L’indomani, alla stessa ora, ossia verso mezzogiorno, i martelli ripresero a battere, i mantici a soffiare, e la voce terribile a gridare in chiave di basso: «Avanti, figli della vendetta! Più in fretta, miei elettrici fidi! Spalla alla ruota! Versate i protoni, gli ioni! E adesso coraggio, portiamo via quel maniaco dalle orecchie a sventola, quell’aspirante mago, quel maledetto miscredente e imbroglione incorreggibile, fatemelo prendere per il suo collo mal lavato e fatemelo portare, scalciante, a una morte certa e definitiva! Avanti con quei mantici, ho detto!»

E ancora una volta, alla fine di tutto, si udì un forte starnuto, ci fu un breve tafferuglio, e tutti lasciarono la stanza, in punta di piedi.

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