Stanislaw Lem - Cyberiade

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Il dignitario, desideroso di insinuare un seme di dubbio nel cuore del Re, disse a Mordileone che il suo amichetto meccanico passava una notte dopo l’altra sveglio, a studiare la lettera sospetta. Il Re rise e disse di saperlo benissimo, perché glielo aveva riferito il Consigliere stesso. Il dignitario invidioso se ne andò via con la coda tra le gambe e riferì subito l’accaduto al Grande Maresciallo.

«Oh!» esclamò il venerabile crittografo. «L’ha davvero detto al Re? Che sfacciato traditore! Inoltre, deve certamente trattarsi di un codice diabolico, se osa parlarne così apertamente!»

E ordinò ai suoi uomini di raddoppiare gli sforzi. Trascorsa però una settimana senza risultati, venne chiamato il massimo esperto in scritture segrete, il rinomato scopritore del linguaggio dei segni invisibili, professor Crausticus. Questo studioso, esaminato il documento incriminato, oltre alla documentazione del lavoro già svolto dai militari, annunciò che avrebbe applicato il sistema per prove ed errori, servendosi di computer con capacità di calcolo astronomiche.

E così fece; risultò che la lettera poteva essere interpretata in 318 modi diversi.

Le prime cinque varianti erano le seguenti:

«La dirigenza da Bakersville è arrivata in orario, ma al pappagallo [da ospedale] è saltata una valvola.

Rotola la zia dalla locomotiva sotto forma di cotolette.

Oggi il burro non si sposa, / Perché manca la gazosa.

Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato

Con un po’ di tortura, puoi estrarre da una fragola qualsiasi cosa.

Secondo il grande studioso, l’ultima variante era quella che portava al codice: con trecentomila calcoli, trovò che sommando tutte le lettere della missiva, sottraendo la distanza del pianeta dal sole e sommandovi il numero di ombrelli prodotto l’anno precedente, una volta estratta la radice cubica si arrivava a una parola: «crusafix». Nella guida telefonica c’era un solo cittadino che avesse un nome simile: un certo Crucifax, ma Crausticus sostenne che le poche lettere cambiate erano un ultimo tentativo per confondere gli analizzatori, e Crucifax venne arrestato.

Convinto a parlare grazie a qualche interrogatorio di sesto grado, l’accusato confessò di aver complottato con Trurl e che il piano prevedeva di fornirgli delle puntine da disegno avvelenate e un martello con cui uccidere il Re. Il Grande Maresciallo dei Codici si affrettò a portare a Re Mordileone queste innegabili prove di tradimento; tuttavia, il sovrano poneva una tale fiducia nel suo Consigliere da permettergli addirittura di giustificarsi.

Il Consigliere non negò che la missiva si potesse leggere in tanti modi, riordinandone le lettere; lui stesso, per esempio, aveva scoperto la possibilità di altre centomila varianti. Questo, però, non dimostrava niente, perché — spiegò il Consigliere — era possibile riordinare le lettere di qualsiasi testo e cavarne un senso compiuto: il procedimento si chiamava «anagramma» e se ne occupava la teoria delle combinazioni e delle permutazioni.

No, protestò il Consigliere, Trurl voleva liberarsi di lui facendo credere che esistesse un messaggio segreto in una lettera che in realtà non ne conteneva affatto, mentre quel povero Crucifax, Dio lo sapeva, era innocente e la sua confessione era un’invenzione degli esperti del Quartier Generale, che avevano sempre avuto una grande abilità nell’incoraggiare gli accusati a collaborare, per non parlare delle loro macchine da interrogatorio, la cui potenza arrivava a varie migliaia di kilofruste.

Il Re non apprezzò affatto le critiche mosse alla sua Polizia e chiese al Consigliere che cosa intendesse dire, ma questi attaccò a parlare di anagrammistica e di steganografia, codici e cifrari, simbolo e segno, probabilità e teoria dell’informazione, e presto arrivò a un tale livello di incomprensibilità che il Re perse la pazienza e lo fece gettare nella cella più profonda delle sue segrete.

Proprio allora arrivò una cartolina postale di Trurl con le seguenti parole:

«Caro Consigliere,

non scordarti delle viti rosse… potrebbero venirti utili.

Tuo Trurl».

Immediatamente il Consigliere venne messo sulla ruota di tortura, ma non volle ammettere niente e continuò con ostinazione a ripetere che era tutto un piano di Trurl; quando gli chiesero delle viti rosse, giurò di non averne nessuna e di non sapere che cosa fossero.

Naturalmente, per condurre un’indagine completa, era necessario aprire il Consigliere. Il Re diede il permesso, i fabbri si misero all’opera, le piastre si spaccarono sotto le loro martellate, e presto vennero portate al Re due viti sporche di olio, che, innegabilmente, erano dipinte di rosso. Così, anche se il Consigliere era stato completamente demolito nel corso del procedimento, il Re fu certo di avere fatto la cosa giusta.

Un settimana più tardi, Trurl si presentò al portone del palazzo e chiese udienza. Stupito da una simile faccia tosta, il Re, invece di far uccidere immediatamente il costruttore, ordinò di ammetterlo alla presenza reale.

«O Re!» disse Trurl, non appena entrò nella sala delle udienze e si trovò in mezzo a due file di cortigiani. «Vi ho costruito un Consigliere Perfetto e voi l’avete usato per defraudarmi del mio compenso, pensando — e non erroneamente — che l’intelligenza che gli avevo dato fosse uno scudo perfetto contro ogni attacco, e che perciò ogni mio tentativo di vendicarmi sarebbe stato vano. Ma nel darvi un Consigliere intelligente, io non ho certamente dato l’intelligenza a voi, ed è su questo che mi sono basato, perché occorre essere dotati di buon senso per riconoscere i consigli sensati. Non c’era nessun sistema ragionevole — per quanto astuto, sofisticato, complesso — che permettesse di distruggere il Consigliere. Lo si poteva fare soltanto con un metodo rozzo, primitivo, stupido oltre ogni dire.

«Non c’era nessun messaggio cifrato nella lettera; il vostro Consigliere è rimasto fedele fino all’ultimo; delle viti rosse che hanno portato alla sua eliminazione, non sapeva niente. Vedete, per caso erano cadute in una lattina di vernice mentre costruivo il Consigliere, per caso mi è ritornato in mente il particolare, e l’ho utilizzato.

«In questo modo la stupidità e il sospetto hanno neutralizzato la saggezza, e la fedeltà, e voi stesso siete stato la causa della vostra caduta. Ora mi darete le cento borse d’oro che mi dovete, e altre cento per il tempo che ho dovuto perdere per incassarle. Se non lo farete, voi e tutta la vostra corte morirete, perché non avete più, al vostro fianco, il Consigliere che poteva difendervi da me!»

Con un ruggito di rabbia, il Re ordinò alle guardie di fare a pezzi l’insolente, ma le loro alabarde passarono attraverso il corpo del costruttore come se fosse fatto d’aria, e le guardie indietreggiarono, inorridite. Trurl rise e disse: «Colpite quanto vi pare… questa è solo un’immagine ottenuta con proiezioni telecomandate. In realtà io sono in orbita attorno al vostro pianeta, su una nave, e se non avrò l’oro che mi spetta scaglierò i miei missili mortali contro il palazzo».

E, prima ancora che avesse finito di parlare, una terribile esplosione fece tremare l’intera costruzione; i cortigiani fuggirono di qua e di là, in preda al panico, e il Re, che si sentiva quasi mancare per l’ira e la vergogna, dovette pagare a Trurl il suo compenso, fino all’ultima moneta d’oro, e altrettanto come multa.

Klapaucius, quando Trurl stesso, al suo ritorno, gli ebbe raccontato l’accaduto, gli chiese perché avesse impiegato un sistema così primitivo e — nelle sue stesse parole — stupido, invece di mandare una lettera che contenesse davvero un messaggio in codice.

«La presenza di un messaggio era più facilmente spiegabile, da parte del Consigliere, che la sua assenza» rispose l’astuto costruttore. «E’ sempre più facile giustificarsi di avere commesso un errore che dimostrare la propria innocenza. In questo caso, la presenza di un messaggio cifrato avrebbe fatto rientrare nella routine la questione del contenuto della lettera; la sua assenza, invece, ha portato a ogni genere di complicazioni.

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