Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
- Автор:
- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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Lo stesso giorno, il mostro era ricomparso, come se niente fosse successo, e — ahinoi — aveva saccheggiato e distrutto villaggi e fattorie, più feroce e crudele di prima.
Vari punti di questa storia suscitarono le perplessità di Klapaucius, che tuttavia, d’altro canto, trovò difficile credere che il buon Re mentisse. Così, fece in fretta lo zaino — mettendovi ogni sorta di strumenti sterminatori di draghi — e parti per le montagne dell’Est, dove le cime coperte di neve s’ergevano maestose.
Non dovette attendere molto, per incappare nelle prime orme di drago e cogliere un inconfondibile tanfo di zolfo. Ma proseguì senza timore, le armi pronte a colpire e l’occhio incollato al quadrante del suo contatore di draghi.
Per molto tempo la lancetta rimase sullo zero, ma a un certo punto cominciò a fare piccoli scatti nervosi, finché, lentamente, come in dissidio con se stessa, strisciò lentamente fino al numero 1. Ormai non ci potevano essere dubbi: l’Echinosauro era vicino.
Questo stupì Klapaucius, e non poco, perché gli era impossibile credere che il suo rinomato collega, teorico di vaglia, avesse commesso un errore di calcolo talmente grossolano da non riuscire a eliminare radicalmente il drago. Inoltre, era inconcepibile che Trurl se ne fosse tornato al palazzo reale e avesse preteso il pagamento per qualcosa che non aveva fatto.
Poco più tardi, Klapaucius si imbatté in un gruppo di abitanti del luogo.
Erano chiaramente terrorizzati: continuavano a guardarsi attorno e cercavano di rimanere uniti. Curvi sotto pesanti carichi tenuti in equilibrio sulle spalle e sulla testa, salivano sulla montagna, in fila indiana. Klapaucius raggiunse quella specie di processione e chiese al primo della fila che cosa stessero facendo.
«Signore!» rispose il poveretto, un piccolo funzionario governativo, che indossava una giubba piena di strappi, tenuta ferma in vita da una lunga sciarpa, «E’ il tributo che portiamo al drago».
«Tributo? Ah, certo» fece Klapaucius. «E da cosa è costituito, questo tributo?»
«Né più né meno di quello, signore, che il drago ci ha ordinato di portare: banconote, monete d’oro, pietre preziose, oggetti d’antiquariato, profumi d’importazione e altri generi di lusso».
Questo era davvero incredibile, pensò il costruttore, perché i draghi non avevano mai chiesto quel genere di tributi, soprattutto non i profumi — non c’era profumo che potesse mascherare il loro puzzo di zolfo — e anche se era tradizione che dormissero su mucchi di monete e di gemme preziose, non s’era mai visto un drago che accettasse la cartamoneta o gli assegni, al posto dell’oro.
«E non chiede di portargli giovani vergini, buon uomo?» volle sapere Klapaucius.
«Vergini? Nossignore, anche se una volta… A carrettate, gliele dovevamo portare. Ma questo prima che arrivasse il forestiero, quel signore che andava a curiosare dietro le rocce, con le sue scatole piene di strani aggeggi, tutto da solo…»
A quel punto il degno abitante del luogo s’interruppe e fissò a bocca aperta gli strumenti e le armi portate da Klapaucius, e in particolare il grosso contatore di draghi, che continuava a ticchettare piano, con la lancetta rossa che si muoveva a scatti sul quadrante bianco.
«Che mi prenda un colpo» continuò il Degno, abbassando il tono di voce «se non ne aveva uno uguale a quello di Vostra Signoria! Sì, con l’orologino e tutto il resto…»
«C’era una svendita» spiegò Klapaucius, per non destare i sospetti dell’uomo. Si rivolse agli altri: «Ma ditemi, brava gente, sapete che cosa sia successo a quello straniero?»
«Che gli è preso, chiedi? Non lo sappiamo, signore. Sarà stato la scorsa settimana, vero, Mastro Gyles? Una settimana fa, e non un giorno di più».
«Proprio così» intervenne il menzionato Mastro Gyles. «Hai proprio ragione, giusto. Una settimana fa, esattamente. Massimo due».
«Certo! Allora, è arrivato qui, Vostra Grazia, e ha diviso con noi il nostro umile pane, una persona educatissima, niente da dire, proprio un gentiluomo, e ci ha pagato bene, ha fatto tante domande, poi si è seduto per terra, ha tirato fuori un mucchio di aggeggi con sopra l’orologio, e si è messo a scrivere una serie di numeri su un libriccino che teneva in tasca, ha tirato fuori un come si chiama, un ternometro…»
«Termometro?»
«Sì, proprio un termometro! Ha detto che serviva per i draghi, e ha cominciato a cacciarlo dappertutto, e poi scriveva nel suo libro. Alla fine ha preso i suoi apparecchi, li ha messi nello zaino, ha detto addio a tutti e se n’è andato dove più gli pareva. Non l’abbiamo più visto, Vostro Onore, ma quella notte abbiamo sentito il tuono, signore, da molto lontano, fin dal Monte Mardigras… quello che sembra un falco, laggiù, signore; noi lo chiamiamo la Vetta di Piffus in onore del nostro amato sovrano, mentre il monte vicino, quello che sembra una persona che si piega per mostrarti il didietro, è il Poggio della Bambola, perché la leggenda…»
«Grazie, basta con le montagne, degno amico» lo interruppe Klapaucius. «Dicevi di aver sentito dei tuoni nella notte. Che cosa è successo, poi?»
«Poi? Proprio niente, signore. La capanna ha fatto un salto che sono perfino caduto dal letto, ma ci sono abituato, non ti spaventare, perché la bestia veniva sempre a battere contro la casa, certi colpi di coda da far volare via una persona… come quando il fratello di Mastro Gyles, qui, è finito nel buco della latrina perché la brutta bestia le è preso voglia di grattarsi la schiena contro lo spigolo del suo tetto…»
«Vieni al punto, buon uomo, vieni al punto!» esclamò Klapaucius. «Hai sentito il tuono, sei cascato dal letto, e poi?»
«E poi niente, come ho già detto, credevo di essere stato chiaro» spiegò il Degno. «Non ho sentito più niente, e se ci fosse stato qualcosa lo avrei sentito, te lo garantisco. Poi non abbiamo più sentito niente, né subito né più tardi, vero, Mastro Gyles?»
«Proprio. Hai detto proprio giusto, sì».
Con un inchino a mo’ di ringraziamento, Klapaucius si tirò indietro, e l’intera processione continuò a inerpicarsi per l’erta, china sotto il peso del tributo.
Il costruttore suppose che andassero a metterlo in qualche caverna indicata dalla bestia, ma non stette a chiedere i particolari; la testa gli girava già a sufficienza per aver ascoltato le spiegazioni del locale rappresentante del Re e di Mastro Gyles. Comunque, aveva sentito uno dei locali dire a un altro che il drago aveva scelto «un punto a metà strada tra noi e lui».
Klapaucius si rimise in marcia, orientandosi in base alle indicazioni del dragonometro che teneva al collo, appeso a una catenina. Quanto al contatore, la lancetta si era fermata su esattamente otto decimi di drago.
«Che diavolo sarà, un drago frazionario?» si chiese, durante il cammino, fra una sosta e l’altra. Di tanto in tanto, infatti, era costretto a fermarsi per riposare, perché il sole picchiava forte e l’aria era così rovente che anche le rocce finivano per abbagliare. Non c’era neppure un filo di vegetazione, neppure un arbusto, solo fango cotto dal sole, roccia e massi a perdita d’occhio.
Trascorse un’ora, il sole ormai si abbassava nel cielo, e Klapaucius camminava ancora in mezzo a distese di ciottoli, fra passi montani dirupati, stretti canaloni e pareti profonde, ai cui piedi regnavano il gelo e l’oscurità. La lancetta dell’indicatore salì lentamente a nove decimi, tremolò e si bloccò.
Klapaucius aveva posato lo zaino su una roccia e stava cercando la cintura anti-drago, quando l’indicatore parve impazzito; subito, il Nostro afferrò l’estintore di probabilità e si guardò attorno. Dato che in quel momento si trovava in cima a un’altura, poté vedere tutto il canalone sottostante, e laggiù scorse un movimento.
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