Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
- Автор:
- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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«Perciò, gli ho tolto la pelle, ho tagliato qualche ramo per tenerla tesa, un vecchio palo telefonico mi è stato sufficiente per unirli tutti. Poi, una volta tesa la pelle, mi sono bastate un po’ di corde e di carrucole per muovere il drago…»
«Tu, Trurl? Ricorrere a tattiche così umilianti? Non ci credo! Che cosa speri di ottenere? Se non ti hanno pagato la prima volta…»
«Non hai capito?» chiese Trurl, scuotendo la testa. «Travestito così, incasso il tributo! Ho già raccolto più di quanto non riuscirei a spendere».
«Oh, ma certo!» Finalmente, Klapaucius aveva capito tutto. Ma si affrettò ad aggiungere: «Però, non è giusto costringere quella povera gente a…»
«E chi la costringe?» ribatté Trurl. «Io mi sono limitato a girare qua e là per le montagne, e la sera a urlare un poco. Ma in realtà sono completamente esausto».
Così dicendo, si sedette accanto a Klapaucius. «Perché, per aver urlato?»
«Urlato? Che cosa hai capito? Ogni sera devo trascinare tutti quei sacchi d’oro, dalla caverna designata… fino a quella punta lassù!» Indicò una vetta lontana. «Ho costruito una piattaforma di decollo, è proprio su quel monte. Provaci tu, a trasportare su quelle mulattiere montane, dal tramonto all’alba, parecchi quintali di mercanzie, e capirai quello che intendevo dire! E quel drago non era una bestia ordinaria… la sola pelle peserà due tonnellate, e io devo trascinarla in giro tutto il giorno, ruggendo e pestando i piedi, poi devo trasportare pesi per tutta la notte. Non immagini quanto sia lieto di vederti. Non sarei riuscito ad andare avanti ancora per molto».
«Ma… il drago… quello falso, intendo dire… perché non è scomparso quando ho abbassato la probabilità fino al punto dei miracoli?» chiese Klapaucius.
Trurl sorrise.
«Non ho voluto correre rischi» spiegò. «Poteva arrivare qualche stupido cacciatore, o addirittura lo stesso Basilisco, e così, sotto la pelle di drago, ho inserito degli schermi a prova di probabilità. Ma vieni con me, ho ancora dei sacchi di platino… li ho lasciati per ultimi perché erano i più pesanti. E capita proprio a puntino, visto che ora puoi darmi una mano…»
LA QUARTA FATICA OVVERO COME TRURL COSTRUI’ UN FEMMEFATALATRONE PER SALVARE IL PRINCIPE PATAGONZIO DALLE PENE D’AMORE E COME SUCCESSIVAMENTE DOVETTE RICORRERE A UN CANNONEGGIAMENTO BAMBOCCESCO
Una volta, nel bel mezzo della notte, mentre Trurl dormiva saporitamente, qualcuno cominciò a battere con violenza contro la porta di casa sua, come se avesse intenzione di buttarla giù dai cardini.
Ancora intontito dal sonno, Trurl tirò il chiavistello e scorse, sullo sfondo delle stelle ormai impallidite, un’enorme astronave, che assomigliava a un immenso pan di zucchero o a una piramide volante.
Dal colosso, atterrato proprio sul giardinetto di fronte a casa sua, uscivano file di andromedari carichi di grossi pacchi, percorrevano una spaziosa rampa e venivano verso di lui. Poi, parecchi robot, vestiti col turbante e la toga e dipinti di nero, scaricavano i pacchi davanti alla sua porta.
Tra tutti, lavoravano così in fretta che Trurl, prima ancora di accorgersene, era già chiuso dietro una parete di pacchi sempre più alta. Però, tra le file di pacchi, rimase un passaggio, e da quel varco si avvicinò un cavaliere elettrico, di aspetto davvero memorabile: aveva occhi ingioiellati che brillavano come comete, antenne radar buttate all’indietro, alla spavalda, e un’elegante stola tempestata di diamanti.
L’appariscente personaggio si portò le dita al copricapo rinforzato e con voce stentorea, ma coltivata come il fruScio della seta, chiese: «Ho l’onore di parlare con sua signoria Trurl, il nobile Trurl, l’illustre costruttore Trurl?»
«Be’, sì… perché non entrate… non aspettavo visite… voglio dire, mi ero addormentato…» si scusò Trurl, tremendamente imbarazzato, e corse a mettersi un accappatoio, perché indossava soltanto una camicia da notte e neanche delle meno stazzonate. Il magnifico cavaliere elettrico, tuttavia, non parve notare alcunché di disdicevole nella tenuta di Trurl. Toccandosi di nuovo il cappello, che ronzava e vibrava sulla sua monolitica fronte, entrò con grazia in casa del costruttore. Questi si scusò, andò a fare qualche approssimativa abluzione dell’alba e poi si affrettò a ritornare in salotto.
Ormai, all’esterno, il cielo cominciava a rischiararsi, e presto i primi raggi di sole illuminarono i turbanti dei robot, che intonavano in coro l’antico e dolente canto del loro servaggio, «Banana Star Boat», fermi in triplice fila attorno alla piramidale astronave e alla casa. Trurl si sedette di fronte all’ospite, che batté un paio di volte le scintillanti palpebre e infine così parlò:
«Il pianeta da cui vengo a voi, Ser Costruttore, è oggi piombato nel più buio Medioevo. Ah, supplico Vostra Eccellenza di perdonare il nostro arrivo inopportuno, che tanto incomodo vi ha recato; ma dovete capire, a bordo non avevamo modo di sapere come — nella particolare posizione della degna sfera planetaria che la vostra casa si degna di occupare — la notte regnasse ancora suprema e contrastasse il sorgere dell’alba».
S’interruppe per schiarirsi la voce, con un rumore quasi musicale, simile a quello di un dito passato sull’orlo di un bicchiere di cristallo. Poi proseguì: «Sono stato inviato alla Vostra Sublime Persona dal mio signore e padrone, Sua Altezza Reale Protuberone Asteristico, Re e sovrano dei pianeti gemelli Afelio e Perielio, monarca ereditario di Anuria, imperatore di tutti i Monodamiti, Biprossici e Tripartigi, granduca d’Amadorinto, Gorgonzir ed Esquaccia, conte di Esculapia, Algorissimo e Flora del Fortran, Paladino Scudierato e Spadonato della Mazza Maggiore, barone di Bhm, Wrp e Clarafoncatello, oltre che reggente straordinario dell’esarcato di Ida, Pida, e Ad Infinida… sono stato da lui mandato, come dicevo, a invitare a suo munifico nome la Vostra Grazia Risplendente affinché si rechi in visita nel nostro regno, dove sarà il nostro lungamente atteso Salvatore della Corona, il solo che possa redimerci dal generale avvilimento causato dalla tre volte sventurata infatuazione di Sua Altezza Reale, l’erede al trono, il Principe Patagonzio».
«Ma in realtà non pensavo di…» lo interruppe Trurl. L’inviato reale, però, si limitò ad agitare la mano, per indicare che non aveva ancora finito, e, ripreso fiato, soggiunse: «In cambio del grazioso prestito del vostro condiscendente orecchio e del soccorso a noi fornito nel farci superare la nostra calamità nazionale, Sua Altezza Reale Protuberone qui vi promette, assicura e solennemente giura che cospargerà Vostra Costruttorezza di onori e ricchezze tali che la Vostra Celebre Fulgidità non riuscirebbe mai a consumarli tutti, neppure se dovesse continuare a scialacquarne fino all’ultimo dei suoi giorni. E adesso, come anticipo, o come si dice, come caparra, io vi nomino…»
Così parlando, il cavaliere si alzò, estrasse la spada e disse — e a ogni titolo da lui pronunciato appoggiò la spada, di piatto, prima sull’una e poi sull’altra spalla di Trurl — in tono ufficiale:
«…conte di Otte, Grotte e Finotte, margravio emerito di Trundle e Sklar, portatore a Otto Stelle del Gran Collare dell’Ordine Gramelosiniano, barone di Bondacalonda e di Cigitesimo, governatore di Mussi e Pitussi, visconte dell’Ordine dei Non Mi Piego, elemosiniere «in perpetuum» dei regni di Enica, Menica e Minemica, con tutti i relativi privilegi e diritti, compresa una salva di ventuno cannonate al risveglio mattutino e al rientro serale, uno squillo di tromba alla fine del pasto e la Croce al Merito Esponenziale, scolpita a mano, d’ebano, schisto e marzapane, autenticata e bollata. E come testimonianza del suo regale favore, il mio signore e feudatario vi manda i piccoli presenti che mi sono permesso di posare davanti alla vostra abitazione».
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