Stanislaw Lem - Cyberiade

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In effetti, i pacchi impedivano già di scorgere il cielo, e la stanza era buia anzichenò. Il cavaliere aveva terminato il suo discorso, anche se continuava a tenere sollevata la mano che aveva levato in aria, con gesto eloquente. Trurl approfittò dell’occasione per dire: «Sono molto obbligato nei confronti di Sua Altezza Reale Protuberone, ma gli affari di cuore, dovete capire, non sono esattamente la mia specialità. Anche se — aggiunse, a disagio sotto lo sguardo abbagliante del cavaliere — forse potreste spiegarmi la natura del problema…»

Il cavaliere gli rivolse un cenno d’assenso.

«Presto fatto, o Ser Costruttore!» disse. «L’erede al nostro trono si è innamorato di Amarandina Cybemella, unica figlia del sovrano del limitrofo stato di Ib. Ma i nostri regni sono divisi da un’antica inimicizia, e senza dubbio se il nostro Amato Sovrano, cedendo agli instancabili prieghi del Principe, dovesse chiedere a quell’Imperatore la mano di Amarandina, la risposta sarebbe un categorico rifiuto. In questo modo sono già trascorsi un anno e sei mesi, e il Principe della Corona deperisce davanti ai nostri occhi. Tutti i tentativi di riportarlo alla ragione sono falliti, e adesso la nostra unica speranza sta nella Vostra Eminentissima Iridescenza!»

Qui il cavaliere gli rivolse un profondo inchino. Trurl, notando come continuassero a scendere dalla nave file su file di soldati che si disponevano attorno alla casa, tossicchiò e disse con un filo di voce: «Be’, io non vedo davvero come potrei essere d’aiuto… anche se, naturalmente, se il Re lo desidera… in tal caso…»

«Meraviglioso!» esclamò il cavaliere, battendo rumorosamente le mani. Subito dodici corazzieri, neri come la notte, entrarono con grande clangore delle armature e portarono con loro Trurl fino alla nave, che salutò con ventuno scariche dei motori la sua salita a bordo, levò gli ormeggi e sparì nel cielo senza limiti.

Nel corso del viaggio, il cavaliere — che risultò essere Gran Siniscalco e Arcimagnate del Re — ragguagliò Trurl sui particolari dell’innamoramento principesco, nato sotto sì cattiva stella, e subito dopo il loro arrivo, non appena furono terminate le cerimonie di benvenuto e la parata lungo le strade della capitale in mezzo a una pioggia di stelle filanti, il costruttore si mise subito all’opera. Portò il proprio equipaggiamento nei magnifici giardini reali e in tre settimane trasformò il Tempio della Contemplazione — che sorgeva laggiù da tempi incommensurabili — in uno strano edificio pieno di metalli, cavi e schermi luminosi.

Si trattava, spiegò al Re, di un femmefatalatrone, dispositivo erotizzante stocastico, elastico e orgiastico, dotato di un grande repertorio di feedback: chiunque entrasse nell’apparecchiatura, provava istantaneamente ogni fascino, seduzione, lusinga, ammiccamento e malia esercitato nel, corso della storia dalle donne più fatali dell’universo, e il tutto in un colpo solo.

Il femmefatalatrone, spiegò Trurl, funzionava a una potenza di quaranta mega-amours, con un’efficienza massima teorica — coefficienti concupiscenziali costanti — del 96 per cento, mentre la lubricità libidica del sistema (misurata naturalmente in kilocupidi) restituiva fino a sei unità erotiche per ognuna di input.

Quel meraviglioso meccanismo, inoltre, disponeva di smorzatori d’amore reversibili, di amplificatori onnidirezionali di consumazione, filtri d’assorbimento, periferiche polpastrello-mimetiche, e circuiti di prima vista ad amplificazione forzata (dato che Trurl, a questo proposito, seguiva le idee del dottor Yenzico, creatore della famosa teoria della sensualità oculo-osculatoria).

Inoltre c’era ogni sorta di optional, come per esempio un titillatore HI-FI ad A.F., un tentatore alternante, oltre a una completa serie di libidinoni e debosciatori.

All’esterno del campo d’azione della macchina, nella cabina di cristallo, un’infinità di quadranti consentivano di seguire attentamente il corso del processo di disintossicazione amorosa. L’analisi statistica mostrava come il femmefatalatrone dava risultati permanenti e positivi in novantotto casi su cento di superfissazione amorosa indesiderata. Di conseguenza, le probabilità di salvare il Principe si potevano considerare eccellenti.

A quaranta venerabili, pari del regno, occorsero più di quattro ore per spingere il loro Principe attraverso i giardini fino al Tempio della Contemplazione, perché anche se erano risoluti a farvelo entrare, dovevano mostrare il dovuto rispetto per la sua regale persona e perché il Principe — non avendo alcun desiderio di disintossicarsi dalla sua fissazione — prendeva con grande vigore a calci e testate i suoi fedeli cortigiani.

Quando finalmente Sua Altezza Reale venne spinta — con il determinante aiuto di numerosi cuscini di piume — nella macchina e la botola venne chiusa dietro di lui, Trurl, pieno di cupi presentimenti, abbassò l’interruttore, e il computer cominciò a scandire con voce monotona il conto alla rovescia: «Cinque, quattro, tre, due, uno, zero… via!»

E subito i sincro-erotori, sussultando e gemendo, spararono poderose correnti antiseduzione che avevano il compito di scalzare gli affetti del Principe, così malamente orientati.

Dopo un’ora di quel trattamento, Trurl gettò l’occhio sugli indicatori: le lancette tremavano sotto lo spaventevole carico di concupiscenza, ma purtroppo non segnalavano alcun miglioramento. Il Nostro cominciò a nutrire seri dubbi sull’efficacia della terapia, ma ormai era troppo tardi per prendere provvedimenti: poteva solo incrociare le dita e attendere pazientemente.

Si limitò a controllare che le labbra meccaniche scendessero nelle giuste posizioni e con l’angolatura corretta, che gli amorosoldi afrodisiaci e le pandorfine satiriache non fossero in dose eccessiva, perché non voleva che il paziente subisse un transfert completo e finisse per innamorarsi della macchina invece che di Amarandina: voleva soltanto che perdesse del tutto l’amore presente.

Alla fine, la botola venne aperta nel massimo silenzio. Dalla penombra dell’interno, avvolto in una nube dei profumi più seducenti, uscì il Principe, pallidissimo, camminando su petali di rosa appassiti… e poi cadde a terra svenuto, tanto era forte in lui la passione.

I fedeli servitori corsero ad aiutarlo, e quando sollevarono le sue membra inerti, gli sentirono mormorare, con un roco bisbiglio, un’unica parola: «Amarandina».

Trurl imprecò a denti stretti, perché tutte le sue fatiche erano state inutili e il folle amore del Principe si era dimostrato più forte di tutti i mega-amours e i kilocupidi che il femmefatalatrone poteva mettere in campo.

Quando premette l’innamoramometro contro la fronte del Principe, ancora perso nel suo delirio, l’indicatore salì fino a centosette, poi il tubo di vetro si spaccò e il mercurio fuoriuscì — anch’esso fremente, come se subisse l’effetto di quelle rabbiose emozioni.

Il primo tentativo, dunque, era stato un completo fallimento.

Quando Trurl fece ritorno al suo alloggio, era più in collera che mai, e chiunque l’avesse spiato dal buco della serratura l’avrebbe visto camminare avanti e indietro per tutta la notte, in cerca di una soluzione. Intanto, dai giardini si levavano orribili rumori: un capomastro e due manovali che dovevano rifare l’intonaco di un piccolo arborium si erano introdotti per curiosità nel femmefatalatrone e per caso l’avevano messo in moto.

Fu necessario chiamare i vigili del fuoco, perché quei franchi muratori ne erano usciti così infiammati che si erano messi addirittura a fumare.

Successivamente, Trurl provò un erogenizzatore retroattivo con volutticoli rinforzati, ma anche quello — per condensare in una sola parola una lunga storia — fu un insuccesso. Il Principe non fu meno schiavo del fascino di Amarandina; anzi, lo fu più che mai.

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