Stanislaw Lem - Cyberiade

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Ma questo era stato solo l’inizio. Il vero problema aveva due aspetti: algoritmico e psicoanalitico. Innanzitutto avevano dovuto studiare qualcosa che fosse in grado di bloccare il Re, di coglierlo — per così dire — con le brache calate. A questo scopo, con una trasformata non lineare, avevano creato all’interno della bestia un sottoinsieme poliziesco, perché tutti sanno che resistere o interferire con un agente di polizia intento a effettuare un arresto «lege artis» è un reato cosmico, qualcosa di assolutamente inconcepibile. Questo per ciò che riguardava la psicologia… a parte il fatto che il Ministro delle Poste era stato scelto per lo stesso motivo: un dipendente di rango inferiore, probabilmente, non sarebbe riuscito a passare in mezzo alle guardie, la lettera non sarebbe stata recapitata e i costruttori avrebbero rischiato di perdere la testa, alla lettera.

Inoltre, il manichino-Ministro aveva con sé una somma sufficiente a corrompere le guardie, se fosse stato necessario: ogni possibilità era stata prevista e neutralizzata.

Invece, per quanto riguardava gli algoritmi: avevano dovuto semplicemente trovare nello spazio delle bestie il giusto insieme, chiuso, finito e obbediente a numerose leggi associative e distributive; poi, inserire due o tre costanti — custodi (della legge), qualche grafico grillato, equazioni squadratiche e criminalità ondulatoria. Il tutto era partito di li, una volta attivato dalla trovata di scrivere un documento programmatico (dietro la tenda dalle campanelle) con l’inchiostro all’olio di ricino, che lo rendeva sufficientemente indigesto da poter funzionare come generatore di programmi burocratici. A questo punto si potrebbe anche menzionare che i due costruttori pubblicarono, in seguito, su una primaria rivista scientifica, un articolo intitolato «Le metafunzioni beta-iterative nel caso speciale di una trasformazione pseudo-pluripoliziesca in uno Spazio Armonico Oscillante composto di campanelline di vetro, un calessino verde e una lampada a petrolio per distrarre l’attenzione, e loro risoluzione mediante incarcerazione-concatenazione da parte di una bestia», che venne riassunto dai quotidiani come «Lo stato poliziesco tenta di rialzare la testa». Naturalmente, nessuno dei protagonisti — ministri, dignitari e cacciatori — era in grado di capire una sola riga dell’articolo, ma la cosa non aveva molta importanza. Quanto ai devoti sudditi di Re Krool, non sapevano se odiare e disprezzare i due costruttori o se invece guardarli con reverenza e ammirazione.

Quando ogni cosa fu pronta per la partenza, Trurl, come prescritto dall’accordo, si recò con un grande sacco negli appartamenti privati del Re e tranquillamente requisì tutti gli oggetti che gli destavano l’uzzolo. Infine, giunse il carro che doveva portare allo spazioporto i vincitori. Laggiù la folla li salutò con interminabili applausi, la banda li accolse con inni e marcette, un coro di bambini si esibì nei pezzi migliori del suo repertorio, e infine un’incantevole bambina di pochi anni, con indosso il costume locale, fece la riverenza e porse loro un mazzo di fiori impreziosito da nastri di seta e filo d’oro.

I funzionari più importanti, a turno, vennero a porgere ai due costruttori la loro imperitura gratitudine e augurarono loro un cordiale arrivederci, la banda tornò a suonare, qualche signora svenne dalla commozione, e sulla grande pista tornò a regnare un assoluto silenzio. Klapaucius, infatti, si era tolto di bocca un dente: non uno qualsiasi, ma un trasmettitore-ricevitore, un dente bicuspidato bidirezionale. Spostò una minuscola leva, e subito, all’orizzonte, comparve una nube di tempesta, che girò su se stessa sempre più velocemente e parve dilatarsi e crescere, finché non giunse nello spazio vuoto compreso tra la folla e la nave. Laggiù s’immobilizzò all’improvviso, scagliando polvere e pezzi di ghiaia in tutte le direzioni.

Tutti trassero il fiato e fecero un passo indietro: davanti a loro c’era la bestia, che — in atteggiamento superbamente barbaro e bestiale — batteva gli occhiacci laser e frustava l’aria con la sua coda di drago!

«Il Re, per favore» ordinò Klapaucius, ma la bestia rispose, parlando con voce perfettamente normale: «Neanche morta. Adesso tocca a me fare le richieste».

«Cosa? Sei impazzita? Tu devi solo obbedire, è scritto nella tua matrice!» gridò Klapaucius. Tutti li fissavano, attoniti.

«Matrice dei miei stivali! Ascolta, bello, io non sono una bestia qualsiasi: sono algoritmica, euristica, sadistica e non masochistica, completamente automatica e autocratica, il che vuol dire non-democratica, e ho un fottio di feedback e un sacco di scappatoie sempre sottomano. Perciò; basta con le scemenze, altrimenti ti metto ai ferri, ossia in gattabuia con il Re, nel calessino verde con il lumino, capito?»

«Te lo do io, il feedback!» gridava Klapaucius, rabbioso. Ma Trurl chiese alla bestia: «Che cosa vuoi, esattamente?» Poi scivolò dietro il compagno, in modo che la bestia non lo vedesse, e si tolse a sua volta un dente molto particolare.

«Be’, prima di tutto voglio sposare…»

Non seppero mai chi la bestia volesse sposare, perché Trurl spostò una minuscola leva e recitò in fretta: «Ambarabbà, ciccì, cuccù, input, output, non-ci-sei-più!»

Il sistema di campi elettromagnetici incredibilmente complesso che manteneva al loro posto gli atomi della bestia si sfasciò sotto l’effetto di quelle parole: la creatura artificiale batté le palpebre, rizzò le orecchie, inghiottì il vuoto, cercò di rimettersi insieme, ma prima ancora che riuscisse a digrignare i denti, si levò un soffio rovente di vento, si diffuse un intenso puzzo di ozono, e poi non rimase più niente da rimettere insieme, solo un monticello di ceneri e nel bel mezzo, immobile, il Re, sano e salvo, ma in grande necessità di un bagno e di un vestito pulito, e imbarazzatissimo fino alle lacrime per quel che gli era successo.

«Questo ti farà abbassare la cresta» commentò Trurl, e nessuno capì se si riferisse alla bestia o al Re. In entrambi i casi, comunque, l’algoritmo aveva sortito perfettamente il suo effetto.

«E adesso, signori» concluse Trurl «se voleste gentilmente accompagnare il Ministro della Caccia Reale fino alla sua gabbia, noi saremmo pronti a partire…»

LA TERZA FATICA OVVERO I DRAGHI DELLA PROBABILITA’

Trurl e Klapaucius erano stati allievi del grande Cerebron di Umptor, che per quarantasette anni, nella Scuola di Nullità Nientica Superiore, aveva insegnato Teoria Generale della Draconicità.

Tutti sanno che i draghi (lat. «dràco, — ònis», da cui «draconicità») non esistono. Tuttavia, se da un lato questa affermazione semplicistica può accontentare il profano, dall’altro non è certo sufficiente ad appagare una mente scientifica. La Scuola di Nullità Nientica Superiore, anzi, a dire il vero, non si era mai occupata di ciò che esisteva, e, difatti, l’esistenza, fenomeno banale e quotidiano, è stata dimostrata così ampiamente che non c’è bisogno di spendere altre parole su di essa nella presente sede.

Il brillante Cerebron, affrontando analiticamente il problema, aveva individuato tre diversi tipi di drago; il mitico, il chimerico e il puramente ipotetico. Tutt’e tre, si potrebbe dire, erano inesistenti, ma ciascuno di essi inesisteva in modo completamente diverso dagli altri.

Inoltre c’erano i draghi immaginari, e gli a-draghi, gli anti-draghi e i draghi con segno meno (colloquialmente chiamati dagli specialisti draghinò, draghinòn, draghimenni), e il più interessante di tutti era il dragomenno, perché dava origine a un noto paradosso dracologico: quando due draghimenni erano ipercontigui (operazione dell’algebra draconica che corrisponde alla normale moltiplicazione) il prodotto era zero virgola sei draghi, un vero rebus.

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