Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
- Автор:
- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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La grande processione si fece strada fino alla riserva reale di caccia, e durante il tragitto si udirono molte battute, varie millanterie, parecchie grandi promesse, e nessuno si degnò di pensare ai due costruttori, salvo per dire che quei due fessacchiotti erano in un bel pasticcio, ora.
Ma quando gli squilli delle trombe d’argento annunciarono l’arrivo di Sua Maestà, dalla direzione opposta si vide comparire l’enorme veicolo-frigorifero. La porta dello strano contenitore si spalancò, e per un istante si scorse all’interno della nera facce quello che sembrava un cannone da campo. Poi ci fu un’esplosione, apparve una nuvola di fumo, e qualcosa uscì a razzo dal veicolo: una forma indefinita, come un tornado, con la generica consistenza di una tempesta di sabbia; si mosse così rapidamente, nell’aria, che nessuno riuscì a vederla bene.
Qualunque cosa fosse, volò per una trentina di metri e atterrò senza fare rumore; la tenda che la avvolgeva cadde a terra, le campanelline tintinnarono in modo strano, nel silenzio assoluto, e poi rimasero a terra come fragole calpestate.
Ora tutti poterono vedere chiaramente la bestia… anche se non era affatto nitida, sembrava un rilievo del terreno, alta, lunga e del colore del bosco, come un mucchio di foglie secche. I cacciatori del Re liberarono l’intera muta di segugi automatici (in prevalenza San Cybernardi e snelli Cyberman, con qualche occasionale Terrier ad alta frequenza); questi si lanciarono, ululando e schiumando rabbia, contro la bestia pronta a colpire.
Il mostro non sollevò la testa, non ruggì, non soffiò neppure fuoco. Si limitò a spalancare neghittosamente gli occhi e a ridurre in cenere, in un solo istante, metà del branco.
«Oho! Occhi laser, vero?» esclamò il Re. «Datemi la mia fida cotta di duralluminio, il mio brocchiere a prova di proiettili, l’alabarda e l’archibugio!» ordinò, e così vestito, scintillante come una supernova, montò sul suo impavido e fedele cyber-destriero e uscì allo scoperto. Si portò a ridosso della bestia e le sferrò un tale colpo di spada che l’aria crepitò e la testa del mostro cadde a terra.
Anche se i cortigiani applaudirono doverosamente il trionfo del Re, questi non trasse alcuna soddisfazione dal proprio successo; preso da una grande furia, giurò in cuor suo di escogitare nuove e particolari torture per i due miserabili che osavano farsi chiamare costruttori. La bestia, però, produsse un’altra testa, che scaturì dal troncone del collo, aprì i nuovi occhi e proiettò a tradimento sull’armatura del Re (che però era inattaccabile da ogni genere di radiazione elettromagnetica) un raggio cauterizzante.
«Be’, quei due non sono stati una completa perdita» commentò Re Krool, parlando tra sé. «Ma non basterà a salvarli».
Spronò nuovamente il cavallo verso il mostro.
Questa volta sferrò un colpo terribile, che sezionò la bestia da cima a fondo. Quella, però, non parve preoccuparsene molto: a dire il vero, anzi, gli usò addirittura la cortesia di mettersi in posizione sotto la spada e cadde con un fremito di soddisfazione. E, meraviglia! Il Re le diede un’altra occhiata e vide che era stata gemellata invece che sezionata! C’erano due immagini speculari, ciascuna più piccola dell’originale, più una terza: una bestia formato mignon che correva in mezzo alle altre due — la testa che Re Krool aveva tagliato per prima: ora aveva messo coda e zampe e faceva capriole in mezzo ai cespugli.
«E adesso?» si chiese il Re. «Sarò costretto a ridurlo a pezzetti grossi come topi o come vermiciattoli? Bel modo di andare a caccia!» e con grande ira si scagliò sulla bestia, strisciando a dritta e a manca. Presto, attorno ai suoi piedi, si poté scorgere un’infinità di piccole bestie, ma tutte, a un certo istante, corsero via, si congiunsero tra loro, e dinanzi al Re ricomparve la bestia originaria, perfetta, nuova e nell’atto di soffocare uno sbadiglio.
«Uhm» si disse il Re. «A quanto pare, ha lo stesso meccanismo di stabilizzazione che quel tale — come si chiamava? Ah, Pumpington — che quel tale Pumpington ha cercato di usare. Sì, ricordo di averlo punito io stesso per il suo trucco idiota… Be’, mi basterà tirar fuori i cannoni antimateria».
Ne afferrò uno da due metri, lo puntò e lo caricò personalmente, prese la mira, tirò il cordino del percussore e sparò contro la bestia un proiettile del tutto silenzioso e minacciosamente luminoso, che avrebbe dovuto polverizzarla una volta per tutte. Ma non successe nulla… ossia, non successe granché. La bestia assorbì il proiettile, si abbassò di qualche centimetro sulle zampe, poi estroflesse il braccio sinistro (bianchiccio, lungo e peloso), chiuse a pugno le altre dita e mostrò al Re il solo dito medio, sollevato.
«Il cannone più grosso!» sbraitò Re Krool, fingendo di non notare il gesto ingiurioso. E varie centinaia di contadini issarono fino a lui un vero gigante da più di venti metri, che il Re caricò e puntò. Stava per sparare… quando, tutt’a un tratto, la bestia fece un balzo.
Il Re sollevò la spada per difendersi, ma non vide più la bestia. Coloro che assistettero alla scena, riferirono poi di aver avuto un miraggio, perché, mentre volava nell’aria, la bestia subì una trasformazione rapida come un lampo: il suo massiccio corpaccio grigio si suddivise in tre uomini in uniforme, tre poliziotti, che ancor prima di toccare terra si stavano già preparando a svolgere il loro compito.
Il primo poliziotto, un maresciallo, prese di tasca le manette, mentre ancora piegava le gambe per toccare terra senza farsi male; il secondo si fermò, con una mano, il chepì dall’alto pennacchio, perché non volasse via, e con l’altra estrasse di tasca un mandato d’arresto; il terzo, che doveva essere solo un allievo poliziotto, prese una posizione orizzontale sotto i piedi degli altri due, per attutire la loro caduta… poi si alzò e si rassettò con cura l’uniforme.
Per qualche minuto., l’intero gruppo degli invitati alla caccia rimase come radicato nel punto dove si trovava, senza riuscire a muoversi, poi qualcuno lanciò un grido e tutti si gettarono all’inseguimento.
Montati sui loro cyber-destrieri sbuffanti, i cortigiani avevano praticamente raggiunto i rapitori reali, e le spade e le sciabole uscivano dal fodero e già si alzavano a colpire, ma il terzo poliziotto si piegò fino a terra, si schiacciò l’ombelico e immediatamente le sue braccia divennero due stanghe, le gambe girarono su se stesse e divennero due ruote, mentre la schiena formava il sedile di un calessino da corsa.
Gli altri due poliziotti vi si accomodarono e cominciarono a schioccare la frusta per incitare il Re — che adesso era legato alle due stanghe — a correre più in fretta.
Il Re non poté che fare come gli ordinavano, e ruppe in un galoppo folle, agitando freneticamente le braccia per ripararsi dai colpi che calavano sulla sua regale cervice; ma presto gli inseguitori riguadagnarono il terreno perduto: allora i poliziotti saltarono sulla schiena del Re e uno di loro scese tra le stanghe, sollevò il calessino e lo fece girare su se stesso, come se fosse una trottola. Alla trottola spuntarono le ali: il carro, come in preda a un turbine, si allontanò lungo la collina fino a sparire in una nube di polvere.
Gli accompagnatori del Re si divisero in parecchi gruppi e cominciarono a cercare disperatamente il sovrano, con i contatori Geiger e i cani da fiuto; più tardi arrivò anche un distaccamento speciale del regio esercito, con i lanciafiamme, e bruciò tutti i morti dei cimiteri vicini — ovviamente si trattava di un errore, nato dal tremito della mano che telegrafava l’ordine dal pallone di osservazione che sorvegliava la caccia.
Varie divisioni di polizia corsero qua e là, cercarono sul terreno, frugarono ogni cespuglio e ogni ciuffo d’erba, e vennero diligentemente prese immagini ai raggi X e campioni da laboratorio di ogni immaginabile reperto. Il destriero del Re ricevette ordine di presentarsi davanti a una speciale corte marziale nominata dal Procuratore Capo dello Stato.
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