Stanislaw Lem - Cyberiade

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«Se la bestia non fosse sconfitta?»

«No, se la bestia sconfiggesse lui, caro collega. Se succedesse questo, il successore del Re potrebbe non lasciarci andar via tanto facilmente».

«Pensi che potrebbero condannarci? Di regola, gli eredi al trono sono felici di vederlo vuoto».

«Certo, ma questo è il figlio, e l’essere puniti a causa della sua autentica devozione filiale oppure soltanto perché la corte si aspetta che lo faccia… be’, non comporterebbe molta differenza per noi».

«Questo lato della cosa non mi era venuto in mente» mormorò Klapaucius, con un cenno d’assenso. «Hai ragione, le prospettive non sono incoraggianti… Hai pensato a come uscire dal dilemma?»

«Be’, potremmo costruire una bestia multimortale» propose Trurl. «Immagina questa situazione: il Re la uccide e la bestia cade; poi si alza di nuovo, risorta. E il Re le dà di nuovo la caccia, la uccide una seconda volta, e così via, finché non si stanca».

«Non gli piacerà» disse Klapaucius, dopo aver riflettuto. «Inoltre, come costruiresti una simile bestia?»

«Oh, non so… Potremmo costruirla senza organi vitali. Il Re taglia la bestia in tanti pezzetti, ma i pezzetti si riuniscono tra loro».

«In che modo?»

«Usa un campo».

«Magnetico?»

«Se vuoi».

«E come lo azioniamo?»

«Un comando a distanza, per esempio» propose Trurl. «Troppo rischioso» disse Klapaucius. «Come avere la certezza che il Re non ci faccia chiudere in qualche segreta per tutta la durata della caccia? I nostri poveri predecessore non erano degli sprovveduti, e guarda come sono finiti. Molti di loro, ne sono certo, hanno pensato a un comando a distanza, ma sono andati incontro a un insuccesso. No, non possiamo pensare di mantenere le comunicazioni con la bestia durante la lotta».

«Perché non usare un satellite?» suggerì Trurl. «Potremmo installare dei comandi automatici…»

«Un satellite, addirittura!» sbuffò Klapaucius. «E come pensi di costruirlo, per non parlare di metterlo in orbita? Nella nostra professione, Trurl, i miracoli non esistono! Dovremo nascondere i comandi in qualche altro modo».

«Ma come nasconderli, se sorvegliano ogni nostra mossa? Ti sei accorto che i servitori del Re si intrufolano dappertutto, ficcano il naso in tutto quello che facciamo? Noi stessi non siamo in grado di allontanarci: figurati far uscire un macchinario così grosso. E’ impossibile!»

«Calma» disse Klapaucius, prudentemente, guardandosi attorno. «Forse non c’è davvero bisogno di simili marchingegni».

«Ma qualcosa deve pur dirigere la bestia, e se si tratta di un cervello elettronico installato al suo interno, il Re lo ridurrà in polpette prima di potergli dire addio».

I due costruttori tacquero. Era scesa la notte e le luci del villaggio, sotto di loro, cominciavano ad accendersi a una a una. All’improvviso, Trurl disse: «Ascolta, ho un’idea. Faremo soltanto finta di costruire una bestia, ma in realtà costruiremo una nave che ci permetta di fuggire. Le metteremo le orecchie, la coda, le zampe, in modo che nessuno sospetti la sua vera natura, e al decollo le getteremo via come zavorra. Che ne pensi di questa idea? Ce la caveremo senza danni e faremo una grossa pernacchia a Re Krool».

«E se il Re avesse messo un vero costruttore in mezzo ai nostri servi — cosa abbastanza probabile — finiremmo subito in quel pozzo. Inoltre, l’idea di scappare con la coda tra le gambe… no, non mi va proprio. Si tratta della sua vita o della nostra, Trurl. Inutile cercare di nasconderlo».

«Già, penso anch’io che tra le spie possa mischiarsi un costruttore» annuì Trurl, con un sospiro. «Allora, cosa possiamo fare, in nome della Grande Cometa? Che ne diresti di un fantasma fotoelettrico?»

«Intendi dire un miraggio? Far sì che il Re dia la caccia a un miraggio? Grazie, no! Dopo un’ora o due di caccia, piomberebbe qui e trasformerebbe noi in fantasmi!»

Calò di nuovo il silenzio. Alla fine Trurl disse: «L’unica via d’uscita, per come la vedo io, è far si che la bestia rapisca il Re, e poi…»

«Non c’è bisogno che tu aggiunga altro. Sì, non è affatto una cattiva idea… poi, come riscatto, potremmo chiedere… E non hai notato, vecchîo mio, come gli usignoli di questo pianeta siano più scuri che su Maryland Quarto?» concluse Klapaucius, poiché un paio di servitori erano venuti a portare lampadari d’argento sulla veranda.

«Però, c’è ancora un problema» continuò, quando furono di nuovo soli. «Supponiamo che la bestia faccia come hai detto. Come potremmo poi negoziare con il prigioniero, se noi stessi fossimo chiusi in cella?»

«Hai ragione» rispose Trurl.

«Dobbiamo trovare il modo di superare questo ostacolo. Il nostro compito principale, dunque, consisterà nel trovare l’algoritmo della bestia».

«Lo sanno perfino i bambini!» sbuffò Klapaucius. «Che cos’è una bestia, senza un algoritmo?»

Perciò si rimboccarono le maniche e cominciarono a fare esperimenti: per simulazione, ossia con procedimento matematico, e tutto sulla carta. E i modelli matematici di Re Krool e della bestia si combattevano così ferocemente, sul tavolo coperto di equazioni, che le matite dei costruttori continuavano a spezzarsi.

Inferocita, la bestia contorceva i suoi integrali doppi e tripli per rintuzzare i polinomi con cui il Re cercava di colpirla, scivolava in una serie infinita di termini indeterminati, poi si risollevava elevandosi a potenza, ma il Re la attaccava con una tale pioggia di derivazioni parziali e totali da azzerare tutti i suoi coefficienti di Fourier (si veda il Lemma di Riemann), e nella confusione che ne seguì i costruttori persero completamente di vista il Re e la bestia.

Così, fecero una sosta, si sgranchirono le gambe, bevvero qualche sorso dalla bottiglia di Leida, per rincuorarsi, e quando si rimisero al lavoro ricominciarono dall’inizio, scatenando, questa volta, il loro intero arsenale di matrici tensoriali e di insiemi canonici, e affrontarono il problema con tale fervore che si ebbe l’impressione che la carta si mettesse a fumare. Il Re si fece avanti con tutte le sue coordinate crudeli e i suoi cerchi viziosi, incappò in una buia foresta di radici e di logaritmi, dovette indietreggiare, poi lottò con la bestia in un campo di numeri irrazionali (F con deponente «i») e la colpi con tanta furia da farla scivolare indietro di due punti dopo la virgola e da staccarle una epsilon, ma la bestia scappò per un asintoto e si nascose in uno spazio delle fasi ortogonale ed n-dimensionale, subì uno sviluppo in serie e ne uscì sotto forma di fattori, che piombarono sul Re e lo abbatterono a terra.

Il Re, per nulla intimorito, indossò una corazza di anelli markoviani e di parametri irriducibili, portò a infinito il proprio incremento DELTA K e mollò alla bestia un tale colpo booleano che la spedì dall’altra parte dell’asse delle x e la fece uscire da parecchie parentesi… ma la bestia, pronta anche a questo, abbassò la testa… e la matita volò come impazzita per trasformate trascendenti e per autotrasformazioni, e quando alla fine la bestia riuscì ad abbattere il Re, i due costruttori balzarono in piedi, si misero a ballare sul tavolo e — intonando un’antica canzonaccia goliardica — fecero a pezzi tutti i loro appunti, con grande stupore delle spie appollaiate dietro i lampadari: inutilmente appollaiate, perché non conoscevano le finezze dell’alta matematica e di conseguenza non riuscivano a capire perché Trurl e Klapaucius continuassero a gridare: «Evviva!» e «Vittoria!»

Era ormai passata da tempo la mezzanotte. La bottiglia di Leida da cui i due costruttori avevano tratto, di tanto in tanto, qualche rinfresco durante il loro lavoro, venne portata via di soppiatto e finì al quartier generale della polizia segreta del Re. Laggiù il suo doppiofondo venne aperto per estrarne un minuscolo registratore a naso. Gli esperti lo accesero e ascoltarono ansiosamente la registrazione, ma l’alba li trovò disperati e ancora ben lontani dall’illuminazione. Per esempio, una voce diceva: «Allora? Il Re è al suo posto?»

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