Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
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- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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Uno di loro, a dire il vero, si spezzò la gamba quando, nell’uscire, inciampò in un poema epico che la macchina aveva appena terminato, un’opera immortale che iniziava con i versi:
«L’armi canto, e de’ robot al valore,
Ch’abbandonaro — pel voler dei Fata,
E per l’odio immortal del lor signore
Homo, al Superbo — vanti e discacciati
Onde abitar della Galassia al core,
Di Terra i prisebi lati ov’eran nati…»
I veri poeti, invece, cadevano come mosche, decimati dal bardo elettronico di Trurl, benché questi non li toccasse neppure con un dito. Dapprima un vecchio poeta elegiaco, poi due modernisti si suicidarono, lanciandosi da una rupe che purtroppo dava sulla strada che portava dalla casa di Trurl alla stazione ferroviaria.
I poeti organizzarono molte manifestazioni di protesta, fecero circolare volantini, chiedendo che alla macchina fosse ingiunto di smettere. Ma la cosa pareva importare soltanto a loro. In realtà, i direttori delle riviste erano favorevoli all’innovazione: il bardo elettronico di Trurl, scrivendo sotto varie migliaia di pseudonimi, aveva una poesia per tutte le occasioni, di qualsiasi lunghezza occorresse, e a un così alto livello qualitativo che i lettori, incapaci di attendere, si strappavano di mano la rivista.
Per strada si vedevano facce rapite, sorrisi divertiti e perplessi, e di tanto in tanto una timida lacrimuccia. Non c’era nessuno che non conoscesse le poesie del bardo elettronico, tutta l’aria echeggiava delle sue deliziose rime. E non era raro che i cittadini più sensibili, colpiti da una metafora o da un’assonanza particolarmente ammirevole, finissero addirittura per svenire. Ma quel colosso di ispirazione poetica aveva la risposta anche per simili evenienze e forniva subito il necessario numero di rondò ricostituenti.
Lo stesso Trurl andò incontro a molti guai a causa della sua invenzione. I classicisti, in genere persone attempate, erano pressoché innocui; si limitavano a gettare pietre contro le sue finestre e a sporcargli di una sostanza irriferibile le pareti della casa. Ma con i giovani poeti andava assai peggio. Uno, per esempio, robusto di braccia quanto la sua poesia lo era di immagini, picchiò Trurl fino a conciarlo in malo modo. E mentre il costruttore giaceva in un letto di ospedale, gli eventi peggioravano.
Non passava giorno che non ci fosse un suicidio o un funerale; l’ospedale venne circondato da picchetti di manifestanti; in lontananza si sentivano colpi di mitra invece dei manoscritti, un crescente numero di poeti infilava nella borsa un’arma automatica con cui eliminare il bardo elettronico. Ma i proiettili si limitavano a rimbalzare sulla sua placida superficie.
Uscito dall’ospedale, debole e disperato. Trurl infine decise, una notte, di smantellare l’Omero omeostatico da lui creato. Ma quando le si avvicinò, zoppicando leggermente, la macchina notò le tenaglie che aveva in mano e il luccichio deciso dei suoi occhi, e si lanciò in una così eloquente, appassionata perorazione, implorò clemenza in toni così toccanti, che il costruttore scoppiò in lacrime, gettò a terra gli attrezzi e ritornò di corsa nella propria stanza, facendosi strada a fatica tra le nuove opere di genio: un oceano di carta che ormai riempiva l’intero pavimento del magazzino.
Il mese seguente, Trurl ricevette la bolletta dell’elettricità consumata dalla macchina e per poco non cadde dalla sedia. Se solo avesse potuto consultare l’amico Klapaucius! Ma Klapaucius era scomparso — non si trovava da nessuna parte — e Trurl dovette fare tutto da sé. Una notte, approfittando del buio, spense la macchina, la smontò, la caricò su una nave, raggiunse un certo asteroide e laggiù la rimontò di nuovo, dandole una pila atomica come fonte della sua energia creativa.
Poi ritornò a casa, senza farsi scorgere da nessuno. Ma la storia di quella macchina era tutt’altro che finita. Il bardo elettronico, privato adesso della possibilità di pubblicare i suoi capolavori, cominciò a trasmetterli su tutte le gamme d’onda, suscitando nei viaggiatori e negli equipaggi delle navi di passaggio veri e propri stati di stupefazione poetica; gli animi più sensibili caddero addirittura in forti attacchi di estasi estetica.
Trovata la causa del disturbo, il Comando della Flotta Cosmica inviò a Trurl una richiesta ufficiale di immediata chiusura del suo apparato, che stava danneggiando seriamente la salute e il benessere di tutti i viaggiatori spaziali.
A quel punto, Trurl si diede alla macchia, così i militari sbarcarono sull’asteroide una squadra di tecnici incaricata di bloccare l’unità di uscita della macchina. Questa li sconfisse con un paio di ballate, però, e la missione dovette essere abbandonata. Come passo successivo, venne mandata una squadra di tecnici con le orecchie piene di cera d’api, ma la macchina ricorse alla pantomima.
Dopo questi fatti, si cominciò a parlare di una spedizione punitiva, che sganciando qualche bomba riuscisse a sottomettere il poeta elettronico. Ma proprio allora si fece avanti il Re di un sistema solare vicino, che comprò la macchina e se la portò via, asteroide compreso, per installarla nel proprio regno.
Ora Trurl poteva di nuovo farsi vedere in pubblico e respirare a pieni polmoni. In effetti, negli ultimi tempi erano esplose parecchie supernove in corrispondenza dell’orizzonte meridionale: fenomeno che nessuno aveva mai notato in precedenza, e si diceva che l’accaduto avesse a che fare con la poesia.
Secondo uno dei rapporti, anzi, quello stesso sovrano, mosso da qualche bizzarro capriccio, aveva ordinato ai suoi astroingegneri di collegare il bardo elettronico a una costellazione di supergiganti bianche, trasformando così ciascuno dei suoi versi in una stupenda eruzione solare. In questo modo, il Massimo Poeta dell’universo fu in grado di trasmettere le sue creazioni termonucleari a tutte le illimitate distese dello spazio-tempo, contemporaneamente. Così diceva quel rapporto; ma anche se fosse stato vero, quei fatti erano troppo lontani per preoccupare Trurl, che aveva giurato — su tutto quel che esisteva di sacro per qualcuna delle innumerevoli razze della Galassia — di mai, mai più fare un modello cibernetico della Musa.
LA SECONDA FATICA OVVERO ALLA CACCIA DI RE KROOL
1 grande successo della loro applicazione dell’Effetto Gargantius suscitò nei due costruttori un tale appetito per l’avventura da risolverli a partire immediatamente per plaghe sconosciute.
Purtroppo, non era così facile per loro accordarsi sulla meta: Trurl, amante dei climi tropicali, aveva messo l’occhio e il cuore su Scaldonia, la terra dei Fenicotteri di Fiamma, mentre Klapaucius — carattere più algido — era altrettanto deciso a visitare il Polo Gelido Intergalattico, un continente buio e disabitato che vagava alla deriva in un ammasso di stelle spente. I due stavano per separarsi definitivamente, quando a Trurl venne all’improvviso un’idea.
«Aspetta» disse. «Possiamo fare pubblicità ai nostri servizi professionali e poi scegliere l’offerta migliore». «Ridicolo!» sbuffò Klapaucius. «Come pensi di fare la pubblicità? Negli annunci economici? Sai quanto tempo occorre perché un giornale arrivi al pianeta più vicino? Prima che ti giunga un’offerta, sarai morto e seppellito!» Ma Trurl, con un sorriso di superiorità, gli rivelò il suo piano, e Klapaucius — a malincuore — dovette ammettere che non mancava certo d’ingegno: così, si misero all’opera. Radunato in fretta l’equipaggiamento occorrente, raccolsero le stelle locali e le spostarono in modo da ottenere una grande scritta, visibile a distanze incalcolabili.
Per la prima parola — poiché intendevano richiamare l’attenzione dei lettori cosmici — vennero usate soltanto giganti azzurre; per le altre parole bastò materiale stellare di rango inferiore. La scritta diceva:
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