Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
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- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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I paracadutisti cercavano di trovare la formula matematica del terreno sottostante, le ali continuavano a scontrarsi con il centro, cosicché i due Re finirono per inviare in volo aiutanti e corrieri straordinari per rimettere ordine nei ranghi. Ma ciascuno di questi, dopo essere arrivato in aereo o a cavallo al corpo in questione, prima che potesse scoprire la causa del disturbo perdeva improvvisamente la propria identità personale, che entrava a far parte di quella collettiva, e i Re rimanevano senza aiutanti di campo e senza corrieri.
La coscienza, a quanto pareva, costituiva una trappola mortale, in quanto si poteva entrare a farne parte, ma non se ne poteva più uscire. Atrocitus stesso vide come suo cugino, il Grande Principe Lingotto, per sollevare lo spirito dei soldati, fosse saltato tra le fila, e come — non appena collegatosi alla prima linea — il suo spirito fosse sparito nel mucchio, e non ne fosse rimasta traccia.
Con l’impressione che qualcosa non fosse andato per il giusto verso, Ferocitus rivolse un cenno del capo ai dodici suonatori di tromba che stavano alla sua destra. Atrocitus, dalla cima della sua collina, fece altrettanto: i trombettieri si portarono lo strumento alle labbra e suonarono la carica da tutt’e due gli schieramenti.
Al segnale delle trombe, ciascun esercito si collegò in toto, al completo. Lo spaventevole rumore metallico della chiusura dei contatti echeggiò lungo il futuro campo di battaglia. Al posto di mille bombardieri e granatieri, guastatori e lancieri, cannonieri e cecchini, zappatori e assaltatori, c’erano solo due esseri giganteschi, che si guardavano con un milione di occhi, dalle due estremità di una pianura coperta di cumuli di nubi.
Il silenzio era assoluto. Il famoso culmine della coscienza predetto con matematica precisione da Gargantius era stato raggiunto da entrambi gli eserciti. Infatti, al di là di un certo livello di coscienza, il militarismo, che è un fenomeno puramente locale, lascia il posto a una mentalità totalmente civile, perché il cosmo stesso è per sua natura civile, e la mente dei due eserciti aveva assunto dimensioni davvero cosmiche! Così, anche se all’esterno brillavano ancora le corazze e il mortale acciaio dell’artiglieria, all’interno nasceva un oceano di buona volontà reciproca, di tolleranza, benevolenza e ragione. E così, l’una di fronte all’altra, mentre i tamburi continuavano a rullare e le armi scintillavano al sole, le due armate si sorrisero.
In quello stesso momento, Trurl e Klapaucius salivano a bordo dell’astronave, poiché il loro progetto era divenuto realtà: davanti agli occhi dei loro sovrani mortificati e infuriati, i due eserciti si erano allontanati, mano nella mano, per raccogliere fiori, sotto un cielo di nuvole simili a bioccoli bianchi, sul campo di una battaglia che non era mai avvenuta.
LA PRIMA FATICA «bis» OVVERO IL BARDO ELETTRONICO
Per prima cosa, onde evitare possibili malintesi, occorre precisare che questa impresa, anche se fu — a modo suo — un grande viaggio di scoperta, non si svolse in pianeti lontani e stranieri. Anzi, per tutto il periodo, Trurl non uscì praticamente di casa — a parte qualche corsa all’ospedale e una breve escursione fino a un asteroide.
Eppure, in un senso più profondo e/o più alto, fu una delle imprese in cui il famoso costruttore si spinse più lontano dai sentieri battuti, perché il cammino da lui scelto lo portò quasi a uscire dal regno del possibile.
Una volta, Trurl aveva avuto la disgrazia di costruire un’enorme macchina calcolatrice che sapeva effettuare un’unica operazione — in sostanza la somma di due più due — ma che (anche con quella!) otteneva sempre un risultato sbagliato. Come già riferito in precedenza, la macchina si rivelò estremamente ostinata, e la disputa che sorse tra lei e il suo creatore per poco non costò a quest’ultimo la vita. Da allora in poi, Klapaucius derise Trurl senza pietà, facendo commenti sulla sua macchina ogni qualvolta ne avesse l’occasione, finché Trurl non decise di farlo tacere una volta per tutte costruendo una macchina che componesse versi.
Per cominciare, Trurl radunò qualche bica di tomi sulla robotica e qualche carrettata di libri della migliore poesia, poi si accinse a leggerli ordinatamente. Cominciava con i testi tecnici, e, quando aveva l’impressione di non poter più digerire un’altra equazione o un’altra tabella, passava alla poesia, e lo stesso con i versi.
Dopo qualche tempo gli fu chiaro che la costruzione della macchina stessa sarebbe stata un gioco da ragazzi, in confronto alla stesura del programma. In fin dei conti, il programma che si trovava nella testa di un qualsiasi poeta era stato scritto dalla sua civiltà di appartenenza, la quale era stata a sua volta programmata dalla civiltà che l’aveva preceduta, e così via, fino all’Alba dei Tempi, quando i bit d’informazione che sarebbero entrati a far parte dei futuri poeti giravano ancora in qualche vortice di materia-energia, nel caos primordiale delle profondità cosmiche. Perciò, per programmare una macchina poetica, occorreva ripetere dalle origini l’intero universo o almeno una sua gran parte.
Chiunque altro, al posto di Trurl, avrebbe rinunciato immediatamente, ma il nostro intrepido costruttore non si lasciò intimidire. Costruì una macchina e preparò un modello digitale del Vuoto, uno Spirito Elettrostatico che doveva muoversi sulle acque delle cellule galvaniche, poi introdusse il parametro della luce, un paio di nebulose protogalattiche, e a brevi tappe riuscì ad arrivare fino alla prima glaciazione — si era potuto muovere a quella velocità perché la sua macchina riusciva a simulare in zero virgola due miliardesimi di secondo cento settilioni di eventi in quaranta ottilioni di punti simultanei. E se qualcuno mette in dubbio queste cifre, che si rifaccia lui il calcolo.
Come seconda tappa, Trurl cominciò a modellare la Civiltà: l’accensione del fuoco battendo tra loro due selci, la concia delle pelli, e ci inise mammut e maree, stazione eretta e scomparsa della coda, poi fece i proto-visipallidi («Albibomines sapientes») che a sua volta generarono i visipallidi, che generarono il congegno meccanico, e così via, per millenni e per eoni, nell’infinito brusio delle correnti elettriche e delle loro controcorrenti.
A volte la macchina era troppo piccola per la simulazione computerizzata di una nuova epoca, e Trurl doveva inserire un’unità ausiliaria — finché non si ritrovò con una vera metropoli di terminali e di componenti, di circuiti e di collegamenti, così intrecciati tra loro che il diavolo stesso non sarebbe riuscito a trovarci né capo né coda.
Trurl, comunque, riuscì sempre a raccapezzarcisi e dovette tornare indietro due sole volte: una, quasi all’inizio, allorché scoprì che Abele aveva assassinato Caino e non Caino Abele (a causa, a quanto pareva, di una valvola bruciata) e un’altra volta, trecento milioni di anni prima, verso la metà del Mesozoico, allorché, dopo il passaggio da pesci ad anfibi e a rettili e infine a mammiferi, accadde qualcosa di strano fra questi, cosicché più tardi, quando i primati cominciarono a diversificarsi, al posto delle scimmie arboricole vennero simulati gli alberi scimmiottatori. Una mosca era entrata nella macchina e aveva messo in corto lo scalatore-inversore polifase direzionale.
Per tutto il resto, la simulazione procedette tranquilla come un sogno. Vennero ricreati Evo Antico e Medioevo, poi il tempo delle rivoluzioni e delle rivolte — che diedero alla macchina alcune brutte scosse — e poi la civiltà progredì con tali balzi e una tale velocità che Trurl dovette spruzzare acqua gelida sui cavi e sui trasformatori per impedire che si surriscaldassero.
Verso la fine del secolo Ventesimo, la macchina cominciò a tremare, dapprima lateralmente, poi avanti-indietro — il tutto senza ragioni visibili. Allarmato, Trurl portò cavi e cemento, nel caso occorresse immobilizzarla. Per fortuna, però, non ce ne fu bisogno; invece di uscire dagli ormeggi, la macchina si calmò e presto si lasciò alle spalle quel secolo.
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