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Stanislaw Lem: Cyberiade

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Stanislaw Lem Cyberiade

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Infuriato, se ne tornò a casa, chiuse a chiave la porta e tirò le persiane. Buona parte della sua ira nasceva dal fatto che anche lui aveva lavorato a una Macchina Che Esaudisce Ogni Tuo Desiderio, ma Trurl l’aveva terminata prima di lui.

LA PRIMA FATICA OVVERO LA TRAPPOLA DI GARGANTIUS

Quando l’universo non era ancora scombussolato come adesso, e tutte le stelle erano allineate al loro debito posto, sicché potevate contarle facilmente da’ sinistra a destra, da destra a sinistra, dalla cima al fondo e viceversa, e le più grandi e azzurre erano ben intervallate tra loro, mentre quelle dei tipi più piccoli e giallognoli erano sospinte ai margini, come si conveniva a corpi astronomici di classe inferiore, quando nello spazio interplanetario non si sarebbe scovato un solo bruscolino di polvere cosmica o di scorie nebulari… in quel buon tempo antico era costume dei costruttori, conseguito con lode il diploma di Onnipotenza Perpetua, lasciare per lunghi periodi di tempo il luogo natìo, allo scopo di rendere accessibile anche alle terre più lontane la benedizione della loro esperienza.

Accadde dunque che, in omaggio a questa antica costumanza, Trurl e Klapaucius, i quali erano in grado di accendere e spegnere gli astri con la stessa facilità con cui noi sgusciamo i piselli, si avventurassero in un simile viaggio. E quando la vastità del vuoto attraversato aveva ormai annullato in loro ogni reminiscenza dei cieli materni, scorsero un pianeta dinanzi alla loro nave — né troppo grosso né troppo piccolo, della dimensione giusta — con un solo continente, nel cui mezzo correva un linea rossa luminosa: da una parte della linea tutto era giallo, mentre dall’altra tutto era rosa.

Compreso immediatamente che si trattava di due regni confinanti, i due costruttori tennero un breve consiglio di guerra prima di atterrare.

«Con due regni» disse Trurl «è meglio che tu ti occupi di uno, e io dell’altro. Così nessuno si adonterà».

«Giusto» rispose Klapaucius. «Ma se dovessero chiederci assistenza militare? Sono cose che succedono».

«Certo, potrebbero chiederci armi, anche super-armi» convenne Trurl. «Ma noi, semplicemente, ci rifiuteremo di dargliele».

«E se dovessero insistere, fino a minacciarci?» insistette Klapaucius. «Anche queste sono cose che succedono».

«Esaminiamo la situazione locale» disse Trurl, accendendo la radio. Ne uscì una marcia militare suonata a tutto volume: musica da esaltati.

«Ho un’idea» disse Klapaucius, spegnendo l’apparecchio. «Possiamo usare l’Effetto Gargantius. Che ne pensi?»

«Ah, l’Effetto Gargantius!» esclamò Trurl. «Non ho mai sentito dire che qualcuno l’abbia realmente usato, ma c’è sempre una prima volta. Sì, perché no?»

«Tutt’e due dobbiamo essere pronti a usarlo» spiegò Klapaucius. «Ma è necessario che lo usiamo contemporaneamente, altrimenti ci troveremmo nei guai».

«Nessun problema» rispose Trurl. Trasse di tasca una minuscola scatola dorata e l’aprì. All’interno, appoggiate sul velluto, c’erano due perle bianche.

«Tu ne terrai una, io l’altra» soggiunse. «Ogni sera le darai un’occhiata: se la vedrai diventare rosa, significherà che io ho iniziato e che dovrai iniziare anche tu».

«D’accordo» rispose Klapaucius, mettendo in tasca la perla. Poi atterrarono, calarono la scaletta, si strinsero la mano e si allontanarono in direzioni opposte.

Il regno in cui si venne a trovare Trurl era retto da Re Atrocitus, che era militarista dalla punta dei piedi alla cima dei capelli, e oltre a questo era un terribile spilorcio. Per non oberare il tesoro della Corona, aveva abolito tutte le punizioni tranne quella capitale. La sua occupazione preferita consisteva nell’eliminare le cariche non necessarie; e poiché in esse era compresa anche quella del boia, ogni condannato era costretto a tagliarsi la testa da solo, oppure — nelle rare occasioni in cui Sua Maestà si mostrava clemente — a farsela tagliare da qualcuno della famiglia.

Fra tutte le arti, Re Atrocitus patrocinava solo quelle che non richiedevano grandi spese, come la recitazione corale, gli scacchi e la ginnastica pre-militare. Aveva particolare considerazione per l’arte della guerra, perché una campagna militare vittoriosa dava sempre eccellenti guadagni; d’altra parte, non ci si poteva preparare bene per la guerra che durante un intervallo di pace, e di conseguenza il Re patrocinava anche la pace, ma lo faceva con moderazione.

La sua massima riforma era stata la razionalizzazione dell’alto tradimento. Poiché il regno vicino continuava ininterrottamente a mandare spie, Atrocitus aveva inventato un Ministero degli Informatori Reali, il cui personale, attraverso una gerarchia di traditori di grado sempre più basso, passava agli agenti nemici, in cambio di certe somme di denaro, i segreti di Stato. In genere gli agenti acquistavano soltanto segreti già vecchi: soprattutto perché costavano meno, ed essendo responsabili, di fronte al loro governo, di ogni centesimo che spendevano, se avessero sfondato il bilancio avrebbero dovuto rimborsare di tasca propria la differenza.

I sudditi di Atrocitus si alzavano presto, si comportavano bene e lavoravano sodo. Fucinavano fili di ferro e formavano fasci di fascine per farne fortificazioni, costruivano caccia-torpediniere, carrarmati, cannoni e casematte, si dedicavano diligentemente alle denunce delatorie. E perché il regno non fosse sommerso da quest’ultime (come in effetti era accaduto durante il regno di Bartolocausto l’Occhiuto, vari secoli prima), chi scriveva troppe denunce era tenuto al pagamento di una tassa speciale sugli articoli di lusso. Grazie a questa tassa, oggi le delazioni venivano mantenute a un livello accettabile.

Giunto alla corte di Atrocitus, Trurl gli offrì i suoi servigi. Il Re — come c’era da aspettarsi — gli chiese poderosi strumenti di guerra. Trurl si fece concedere alcuni giorni per riflettere sulla cosa, e non appena fu solo nel piccolo stanzino che gli avevano assegnato, diede un’occhiata alla perla della scatoletta dorata. Era ancora bianca, ma, sotto i suoi occhi, cominciò a prendere una sfumatura rosa.

«Aha!» disse il costruttore, rivolto a se stesso. «E’ ora di cominciare con Gargantius!» E senza ulteriori indugi recuperò le sue formule segrete e si accinse al lavoro.

Intanto Klapaucius si era trovato nell’altro regno, dominato dal grande Re Ferocitus.

Laggiù, tutto era completamente diverso da quel che si incontrava in Atrocia. Anche quel monarca si compiaceva delle campagne militari e delle marce, e anch’egli spendeva molto in armamenti, ma, per così dire, in modo illuminato, perché era un sovrano superbamente generoso e un grande protettore delle arti.

Amava le uniformi, i cordoncini dorati, gli alamari e le strisce, le spalline e gli speroni, i cimieri rutilanti e impennacchiati, le cannoniere, le spade e i cavalli da guerra scalpitanti. Inoltre era un uomo di grande sensibilità, e gli venivano i lucciconi ogni volta che doveva varare una nuova cannoniera. E premiava con ingenti somme i quadri raffiguranti scene di battaglia, pagandoli patriotticamente in proporzione alle pile di nemici uccisi che vi erano ritratte, cosicché, nelle interminabili tele panoramiche di cui il regno era pieno, le montagne di cadaveri nemici arrivavano fino al cielo.

In pratica era un autocrate, ma con idee libertarie; un tiranno, ma magnanimo. A ogni anniversario della sua incoronazione annunciava qualche riforma. Una volta aveva ordinato di decorare con i fiori le ghigliottine; un’altra volta le aveva fatte oliare perché non cigolassero; e una volta aveva fatto affilare e dorare le asce dei boia — il tutto in base a considerazioni umanitarie. Ferocitus non era certo un debole, ma aveva una vera avversione per gli eccessi, e perciò aveva imposto, per regio decreto, regole e standard per le berline, le ruote, i pali, le pinze da arroventare, le catene e le mazze. La decapitazione dei colpevoli di reati di pensiero — evento abbastanza raro — si svolgeva con grande pompa e presenza di autorità, accompagnamento bandistico, discorsi, sfilate e luminarie. Questo illuminato monarca seguiva una teoria politica da lui stesso formulata e chiamata Teoria della Felicità Universale. E’ noto che non si ride perché si è allegri, ma si diventa allegri perché si ride: come sostiene l’adagio, il riso fa buon sangue. Perciò, se tutti ripetessero che le cose non potrebbero andar meglio, la disposizione generale di spirito migliorerebbe immediatamente.

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