Stanislaw Lem - Cyberiade

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Il punto era dunque prendere tanta ansia di servire se stessi — l’auto-venerazione che caratterizza l’individuo — e trasmetterla a un esercito di migliaia di uomini. Ma come? E qui Klapaucius cominciò a spiegare al Re, che lo ascoltava con grande attenzione, le semplici idee — perché sono sempre semplici, le idee dei geni — enunciate dal grande Gargantius.

In ogni recluta (spiegò Klapaucius) si avvitavano una spina sul davanti e una presa sul di dietro. All’ordine» Serrare i ranghi! " le spine s’infilavano nelle prese e, mentre fino a un attimo prima avevate una folla di semplici civili, ora avevate un battaglione di perfetti soldati. Quando le loro menti separate (finora occupate da ogni sorta di sciocchezzuole non marziali) si fondevano in un’unica coscienza «reggimentale», non solo si otteneva la disciplina automatica — perché il battaglione era diventato un’unica macchina per combattere, fatta di mille parti — ma anche una saggezza corrispondente. Una saggezza proporzionale al numero dei singoli componenti.

Un plotone veniva a possedere la saggezza di un sergente maggiore di carriera, una compagnia era almeno intelligente quanto un tenente colonnello, una brigata era assai più intelligente di un generale, e una divisione valeva ben più di tutti gli strateghi e gli specialisti di un esercito messi insieme.

Agendo come suggeriva Gargantius si potevano creare formazioni di una perspicacia strabiliante. Che, naturalmente, eseguivano alla lettera i propri ordini. Non ci sarebbe più stato spazio per l’insubordinazione e l’indisciplina degli individui, non si sarebbe più dovuto fare affidamento sulle capacità di un particolare comandante, temere le consuete rivalità, invidie e inimicizie tra generali. E i distaccamenti, una volta uniti, non avrebbero più cercato di separarsi, perché questo avrebbe prodotto soltanto confusione.

«Un esercito il cui unico capo è l’esercito stesso: questa la mia idea» concluse Klapaucius.

Il Re, assai impressionato dalle sue parole, rispose infine: «Ritorna nei tuoi appartamenti. Ne parlerò con il mio stato maggiore…»

«Oh, non fatelo, Altezza Reale!» esclamò l’astuto Klapaucius, fingendo grande costernazione. «E’ esattamente quello che fece l’Imperatore Turbilone, e i suoi generali, per difendere i loro privilegi, gli consigliarono di non accogliere il suggerimento. Poco dopo, però, il vicino di Turbilone, Re Smaltarello, lo attaccò con un esercito riformato e ridusse in cenere il suo impero, benché le forze di cui disponeva fossero soltanto l’ottava parte delle sue!»

Detto questo, si inchinò, ritornò nella propria stanza e consultò la perlina, che ora era rossa come una barbabietola: questo significava che Trurl aveva fatto un discorso come il suo alla corte di Atrocitus.

Non passò molto tempo prima che il Re ordinasse a Klapaucius di riformare un plotone di fanteria; unita nello spirito e divenuta a tutti gli effetti una sola mente, al grido di «Uccidi, uccidi! " la piccola unità piombò su tre squadroni dei dragoni reali, armati fino ai denti e per di più comandati dai sei più famosi maestri della Scuola di Guerra dell’Accademia Militare… e li ridusse a striscioline.

Grande fu il dolore di generali, marescialli, ammiragli e comandanti in capo, perché il Re li mandò tutti in congedo per raggiunti limiti di età; ormai convinto dell’efficacia dell’invenzione di Klapaucius, ordinò di rivoluzionare l’intero esercito.

Così, gli elettricisti militari lavorarono giorno e notte, fabbricando a bigonce, a vagonate, le spine e le prese, che poi vennero installate in tutte le caserme, con la spiegazione che si trattava di innovazioni necessarie. Coperto di medaglie, Klapaucius viaggiava da una guarnigione all’altra e controllava ogni cosa. E Trurl non se la passava diversamente nel regno di Atrocitus, tolto il particolare che — a causa della ben nota parsimonia di quel sovrano — doveva accontentarsi del titolo vitalizio, ma privo di appannaggio, di Gran Traditore della Madrepatria.

Entrambi i regni si preparavano allo scontro. Nello sforzo della mobilitazione, sia le armi convenzionali sia quelle nucleari vennero messe in assetto di guerra, senza lesinare polish e olio di gomito né ai cannoni né agli atomi, come da regolamento.

l lavoro dei due costruttori era ormai quasi finito: fecero segretamente i bagagli, per potersi ricongiungere — al momento debito — nel luogo convenuto, a poca distanza dalla loro nave, nascosta in un bosco.

Intanto, tra soldati e graduati di truppa avvenivano veri e propri miracoli, in particolare nella fanteria. Le compagnie non avevano più bisogno di addestrarsi alla marcia, né di contare per uno allo scopo di sapere di quanti elementi fossero composte, proprio come una persona con due gambe sa sempre distinguere la destra dalla sinistra né ha bisogno di calcolare quante persone sia. Era una gioia vedere le nuove unità fare l’Avanti-Marsch, il Dietro-Front e il Compagnia-Alt; poi, quando si dava loro il rompete le righe, vederle chiacchierare con le altre compagnie, ciascuna parlando in coro, come un sol uomo. Più tardi, durante l’ora di uscita, dalle finestre aperte delle caserme giungevano le loro voci stentoree, che discutevano di argomenti come la verità assoluta, le proposizioni a priori analitiche in confronto a quelle sintetiche, e la Cosa in Sé: infatti, le loro menti collettive avevano già raggiunto quel livello.

Venne elaborato un gran numero di sistemi filosofici, che furono guardati con simpatia dai superiori, finché un certo battaglione di zappatori non arrivò a una posizione di assoluto solipsismo, con l’affermazione che nulla esisteva all’esterno dell’unità stessa e che il mondo circostante non era altro che un costrutto della sua immaginazione. Dato che tale posizione portava come corollario che non esistessero né il Re né il nemico, il battaglione venne scollegato, alla chetichella, e i suoi membri vennero assegnati a unità che seguivano rigorosamente il realismo epistemologico.

All’incirca nello stesso momento, nel regno di Atrocitus, la sesta divisione anfibia lasciò da parte le operazioni della flotta per, dedicarsi alla contemplazione trascendente e, totalmente immersa nel misticismo, per poco non affogò. Fosse come fosse, a causa di questo incidente venne dichiarata la guerra, e i soldati, rombando e sferragliando, lentamente si mossero verso 11 confine, in entrambi i regni.

La legge di Gargantius continuò a operare con logica inesorabile. Come una formazione si unì all’altra, proporzionalmente crebbe anche il suo senso estetico, che giungeva al massimo quando si arrivava alla dimensione di una divisione rafforzata. Di conseguenza, le colonne di una forza simile si perdevano facilmente in divagazioni, rincorrevano elusive fantasie: quando il corpo motorizzato che prendeva nome dal Re Bartolocausto giunse a una fortezza che doveva essere conquistata con un attacco-lampo, il piano di guerra tracciato nella notte risultò essere una raffigurazione artistica dei bastioni della fortezza stessa, dipinti, per di più, con una forte vena di astrattismo che andava contro tutte le tradizioni militari I corpi di artiglieria pesante presero in considerazione i più ponderosi problemi della metafisica e, con la distrazione caratteristica dei grandi geni, persero il loro equipaggiamento lungo la strada e si dimenticarono completamente del fatto che fosse stata dichiarata una guerra.

Quanto agli interi eserciti, la loro psiche era afflitta da una moltitudine di complessi, come spesso accade agli intelletti più progrediti, e fu necessario assegnare a ciascuna armata una particolare brigata psichiatrica motociclista, che praticava le adeguate terapie nel corso della marcia.

Intanto, con un assordante accompagnamento musicale di tamburi e di cornamuse, entrambi gli schieramenti raggiunsero lentamente le loro posizioni. Sei reggimenti di truppe d’assalto, appoggiati da una batteria di mortai e da due battaglioni di rinforzo, composero, con l’aiuto di una squadra di fucilieri, un sonetto intitolato «Il mistero dell’esistenza», e proprio durante il servizio di guardia. In entrambi gli eserciti si ebbero numerosi casi di confusione: l’Ottantesimo Corpo Malabardato, per esempio, sostenne che l’intero concetto di «nemico» dovesse essere definito più chiaramente, poiché era pieno di contraddizioni logiche dal punto di vista sintattico, e rischiava addirittura di essere privo di significato sotto quello semantico.

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