Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Guerra e pace. Ediz. integrale: краткое содержание, описание и аннотация

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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La camera era in penombra, appena rischiarata da due lampade accese davanti alle immagini. Un acuto profumo di fiori e di aromi bruciati impregnava l’aria. Qua e là scaffali, cantoniere, tavolinetti. Di dietro un paravento biancheggiava la coperta del letto. Un cagnolino abbaiò.

— Ah, siete voi, cugino?

La principessina si alzò e si passò una mano sui capelli lucidi e lisci.

— Che è? è successa qualche cosa?... Che paura m’avete fatto!

— Niente, niente... Sempre ad un modo... Son venuto solo per parlarti di una faccenda, – disse il principe, lasciandosi cadere nella poltrona già occupata da lei. – Ma che caldo che ci fa qui... Orsù, siedi qua... Discorriamo un po’ a quattr’occhi.

— Ed io che credevo ad una disgrazia... Ho tentato di prender sonno, ma non m’è riuscito... Ebbene, sentiamo, cugino, – e la principessina gli sedette di fronte, sempre con la medesima espressione fredda e severa.

— Ebbene, cara? – incominciò il principe, prendendole una mano e piegandola, come soleva, all’ingiù.

Quell’ ebbene , si vede, riferivasi a parecchie cose, che l’uno e l’altra intesero subito, senza spiegarsi altrimenti.

La principessina, diritta e stecchita nel lungo suo busto, fissava i grigi occhi inespressivi sul suo interlocutore. Crollava il capo, e a momenti volgeva uno sguardo alle immagini. Quel gesto poteva essere un’espressione di dolorosa rassegnazione o anche di stanchezza e di speranza in un prossimo riposo. Il principe lo interpretò come indizio di stanchezza.

— Ed io, – disse, – credi forse che io sia di ferro? Non ne posso più, te lo giuro... Eppure, Caterina, ho da parlarti, e molto seriamente.

Tacque. Un insolito movimento nervoso gli contraeva i muscoli della faccia; gli occhi mutevoli ora esprimevano il pauroso sospetto, ora una beffarda impudenza. Non era bello, e soprattutto non somigliava al principe Basilio, quale si mostrava nei saloni eleganti.

La principessina seguitava a guardarlo, tenendosi sulle ginocchia il cagnolino e accarezzando la bestia con le scarne mani. Si vedeva però che non avrebbe rotto il silenzio con una domanda, anche a dover tacere fino al giorno appresso.

— Ecco qua, cara ed amata cugina, – riprese a dire il principe, non senza un certo sforzo; – in certi momenti, com’è quello di adesso, bisogna pensare a tutto. Bisogna pensare all’avvenire, a voi... Io, tu lo sai, vi amo tutti come se foste miei figli.

La principessina immobile lo guardava sempre con occhi appannati.

— E poi... e poi anche bisogna pensare alla mia famiglia, – e il principe con un gesto rabbioso respingeva da sè un tavolinetto, senza guardare a lei. – Tu sai bene, Caterina, che voi tre sorelle e mia moglie siete uniche e dirette eredi del conte. Lo so, lo so, quanto è penoso per te parlar di queste cose... E per me pure; ma io, bambina mia, ho sessant’anni sonati, e bisogna esser parati a tutto. Lo sai tu che ho mandato a chiamar Piero? che il conte, indicando il suo ritratto, ha manifestato la ferma volontà di vederlo?

Il principe volse alla sua ascoltatrice un’occhiata interrogativa, ma non riuscì a leggere una qualunque risposta su quel viso impenetrabile.

— Di una sola grazia io prego Dio, – disse finalmente la principessina, – che con lui sia misericordioso e conceda alla sua bell’anima di lasciar tranquillamente questa...

— Sì, capisco, sta bene, – interruppe impaziente il principe, passandosi una mano sulla testa pelata e di nuovo tirando a sè il tavolinetto, – ma in fin dei conti, tu stessa lo sai... tu sai, dico, che quest’inverno passato il conte fece un testamento, col quale, trascurando tutta la linea diretta, legittima, noi in somma, nominava Piero suo erede universale.

— Oh, ne ha fatto tanti di quei testamenti! – rispose senza scomporsi la principessina. – Ma a Piero non poteva e non può lasciar nulla. Piero è figlio naturale.

— Eh, cara mia! – esclamò il principe stringendosi con le due braccia al tavolinetto e prendendo a parlare con più calore; – e dato il caso che ci sia un’istanza per legittimarlo? Tu capisci benissimo, che a riguardo dei servigi, dei meriti del conte, quella istanza potrebbe essere accolta...

La principessina sorrise, come sorride chi la sa più lunga della persona cui parla.

— Ti dirò di più, – proseguì il principe, prendendola per mano: – l’istanza fu scritta, benchè poi non presentata; ma l’imperatore lo sa... Tutto sta a vedere, se fu distrutta o no. Se no, allora non appena tutto sarà finito, e toglieranno i suggelli alle carte del conte, testamento e istanza andranno nelle mani di Sua Maestà, e la domanda senza meno sarà pienamente soddisfatta. Piero, come figlio legittimo, erediterà ogni cosa.

— E la nostra parte? – domandò con un sorriso ironico la principessina, come se tutto, meno che questo, potesse succedere.

— Ma la è chiara come il giorno, cara la mia Caterina. Unico erede legittimo sarà Piero, e voi non riceverete nemmeno l’unghia del dito mignolo. Tu devi fare il possibile, bambina mia, per sapere se il testamento e l’istanza esistono o no. E se, poniamo, siano stati dimenticati o messi da parte, tu devi fare in modo da scoprire dove sono, e poi trovarli, tirarli fuori, e in somma, capisci...

— Quest’altra ci mancava! – interruppe la principessina con un riso sardonico, senza però mutare l’espressione degli occhi. – Io son donna, e, secondo voi, tutte noi donne siamo un branco di sciocche... Ma io so questo ad ogni modo che un figlio naturale, un bastardo, capite?... non può ereditare.

— Pare impossibile, Caterina, che tu così intelligente non arrivi ad intendere la cosa più semplice di questo mondo... Se il conte ha fatto istanza per legittimare il figlio, e se l’istanza è accettata, vuol dire che Piero non è più Piero, ma ti diventa issofatto il conte Besuhow, e in virtù del testamento intasca ogni cosa. E se testamento ed istanza non saranno distrutti, a te, cara mia, non resterà altro che la magra soddisfazione di essere stata virtuosa e di poter raccogliere tutti i frutti spirituali della tua virtù.

— Io so che il testamento esiste, ma so pure che non ha valore... E voi, cugino, si vede chiaro che mi avete in conto di una perfetta scimunita.

— Ma no, cara, ma no!... dammi retta... Io non son mica venuto qui per bisticciarmi con te, per far della scherma; ma per discorrere con una parente, con una buona, cara, amata parente, dei suoi interessi. Io ti dico e ti ripeto, che se l’istanza all’imperatore e il testamento a favore di Piero esistono fra le carte del conte, tu, bambina mia, tu e le sorelle, non siete eredi di niente... Se non credi a me, credi invece alle persone competenti: or ora ho parlato con Demetrio Onufric, il nostro avvocato, e mi ha detto punto per punto lo stesso.

Le sottili labbra della principessina impallidirono, la voce suonò tremula e rotta, ma gli occhi rimasero gli stessi, immobili e gelidi.

— Una bella cosa sarebbe, — diss’ella in tono dispettoso. – Io non ho mai domandato niente, e niente domando.

Respinse il cagnolino dalle ginocchia e si ravviò la gonna.

— Ecco la gratitudine, ecco la stupenda riconoscenza per chi ha tutto sacrificato... Bravo! benissimo! Io di nulla ho bisogno, principe!

— Sia pure; ma tu hai delle sorelle...

— Lo so, lo so; avevo però dimenticato che oltre alla bassezza, all’inganno, all’invidia, all’intrigo, alla più nera ingratitudine, io nulla, nulla mi potevo aspettare in questa casa...

— Ma lo sai o non lo sai dov’è il testamento?

— Sì, sì, sono stata una sciocca, ho avuto fede negli uomini, li ho amati, mi son sacrificata,.. Solo ai cattivi, agli abbietti è riserbato il successo, il trionfo... Io lo so, lo so chi ha architettato tutti questi intrighi...

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