Fece atto di alzarsi, ma il principe la trattenne. Pareva avere ormai perduto ogni fede nel genere umano; le schizzavano dagli occhi scintille di stizza a lungo repressa.
— Aspetta, cara, ogni cosa a suo tempo. Ricordati, Caterina, che tutto ciò è dovuto a un momento d’ira, a un accesso morboso, a una debolezza... Il nostro dovere, bambina mia, è di correggere l’errore, di alleviargli le ore estreme, di non permettere una patente ingiustizia, di non farlo morire col rimorso di aver reso infelici coloro...
— Coloro che tutto per lui sacrificarono, – interruppe la principessina, facendo un novello e vano sforzo di alzarsi, – e che egli non seppe mai apprezzare. No, no, cugino, io terrò a mente da oggi in poi, che a questo mondo non serve aspettarsi premio o compenso, che a questo mondo non c’è onore nè giustizia. A questo mondo bisogna essere furbi, maligni e cattivi.
— Orsù, calmati, te ne prego. Io conosco il tuo carattere, io so che hai un cuor d’oro.
— No, ho un cuore perfido invece.
— Io so che hai un cuor d’oro, apprezzo la tua amicizia, e vorrei che lo stesso tu pensassi di me. Calmati, e discorriamo da gente seria, finchè siamo in tempo... forse ci avanza un giorno, forse un’ora... Dimmi tutto quanto sai a proposito del testamento, e soprattutto dov’è: tu l’hai da sapere. Noi lo prendiamo e lo mostriamo al conte... Egli deve averlo dimenticato, e vorrà senz’altro annullarlo. Tu capisci che io desidero solo eseguire scrupolosamente la sua volontà... ed è per questo che son venuto da te... Voglio, per quanto è in mio potere, esser di aiuto a lui ed a voi.
— Adesso ho tutto capito. Sono intrighi, nient’altro che intrighi.
— Ma non si tratta di questo, anima mia.
— È la vostra protetta, quella cara Anna Drubezkoi, che non vorrei avere nemmeno per fantesca; quella donna abbietta, ributtante.
— Ma non perdiamo un tempo prezioso, te ne prego.
— Ah no, tacete, tacete! L’inverno passato s’insinuò qui, in questa casa, e tante di quelle ribalderie susurrò contro di noi al conte, specialmente contro Sofia... no, non mi dà l’animo di ripeterle... che il conte ne ammalò e per due settimane di fila non ci volle vedere. Fu allora che scrisse quel fogliaccio di testamento; ma io credevo che non avesse nessun valore.
— Ah ecco!... e perchè non me lo dicesti in tempo?
— Lo ha con sè, nel portafogli a mosaico, che si tien sempre sotto il guanciale. Adesso capisco... Sì, lo confesso, se ho un peccato sulla coscienza, un grosso peccato, gli è appunto l’odio per quella sfrontata pettegola, – gridò la principessina ormai fuori di sè. – Ma perchè, perchè introdursi qua, in mezzo a noi? Oh, le dirò io il fatto suo... Verrà il tempo, verrà!
Mentre questi discorsi si svolgevano in casa del conte Besuhow, la carrozza che portava Piero, mandato a chiamare, e la Drubezkoi, che avea stimato bene accompagnarlo, entrava nel cortile del palazzo. Quando le ruote fecero stridere lievemente la paglia sparsa davanti la facciata, la Drubezkoi si volse al suo compagno per dirgli qualche parola di consolazione, e lo vide dormire placidamente. Svegliatolo, smontarono; e solo allora si risovvenne Piero dell’imminente colloquio col padre moribondo. Notò che erano entrati per la porta posteriore. Nel punto di metter piede a terra, vide due uomini vestiti di nero nascondersi solleciti nell’ombra del muro; e poi anche altri ed altri simili ai due primi. Nessuno vi badò, nè la Drubezkoi, nè il cocchiere, nè il fantino venuto ad aprir lo sportello; epperò, parve a Piero che così dovesse essere e non altrimenti. Seguì senza aprir bocca, la Drubezkoi che montava rapidamente un’angusta scaletta fiocamente illuminata; e benchè non capisse la necessità di vedere il conte e ancor meno quell’introdursi quasi furtivo per la scala di servizio, pensò, giudicando dalla sicurezza e dalla fretta della sua compagna, che tutto ciò fosse indispensabile. A metà della scala, per poco non furono trabalzati da alcuni uomini che scendevano con gran rumore di zoccoli portando secchie di acqua. Gli uomini si strinsero al muro per far passare i due visitatori, ma non manifestarono in vederli il minimo stupore.
— È di qua l’appartamento delle principessine? – domandò la Drubezkoi.
— Di qua, – rispose uno degli uomini con voce forte, pressochè insolente, come se oramai tutto fosse lecito. – Di qua, l’uscio a sinistra.
— Può anche darsi che il conte non mi abbia chiamato, – disse Piero giungendo sul pianerottolo. – In tal caso, me n’andrei in camera mia.
Anna Drubezkoi si fermò un momento, gli sfiorò la mano, come già la mattina avea fatto col figlio, e gli disse con voce dolente:
— Ah! credetemi, amico mio, io soffro non meno di voi... Ma siate uomo!
— Sarà meglio che me ne vada, non vi pare? – domandò Piero, guardandola bonariamente di sopra gli occhiali.
— Dimenticate, amico mio, tutti i torti, se mai ne patiste. Ricordatevi che è vostro padre... vostro padre, forse, morente. Io vi ho subito voluto bene come ad un figlio. Abbiate fede in me, Piero... Non perderò di vista i vostri interessi.
Piero seguitava a non capire; ma anche questa volta gli sembrò che tutto fosse nell’ordine naturale delle cose, epperò seguì ciecamente la Drubezkoi, che già spingeva una porta e procedeva oltre.
Entrarono nell’anticamera posteriore. In un angolo, stava seduto un vecchio servo delle principessine, intento a far la calza. Piero non era mai stato in questa parte della casa, e non ne sospettava nemmeno l’esistenza. Una ragazza con un vassoio e una bottiglia d’acqua passò loro davanti; e la Drubezkoi, chiamandola bambina mia e carina mia, le domandò della salute delle principessine. Infilarono un corridoio, dopo del quale la prima porta a sinistra menava nelle camere delle principessine. La ragazza col vassoio ne varcò la soglia, e, nella fretta (tutto, in quei momenti e in quella casa, facevasi in fretta) non badò a tirarsi dietro l’uscio. Passandovi davanti, Piero e la Drubezkoi involontariamente spinsero dentro un’occhiata in quella precisa camera, dove il principe Basilio era in colloquio con la maggiore delle tre sorelle. Il principe, nel vederli, fece un atto d’impazienza e si tirò indietro; la principessina balzò da sedere, e con un gesto furibondo sbatacchiò e richiuse la porta.
Così insolita era quella furia nella gelida principessina, e così mal s’accordava l’imbarazzo impaziente alla gravità del principe Basilio, che Piero si fermò e volse alla sua guida uno sguardo interrogativo. La Drubezkoi, senza mostrare il minimo stupore, sorrise e trasse un sospiro, come per dire che tutto questo ella se l’aspettava.
— Siate uomo, amico mio. Guarderò io ai vostri interessi, – disse ancora una volta.
Di che si trattasse, che cosa volesse dire quella faccenda degli interessi, Piero non intendeva nè punto nè poco. Parevagli però che così, e non altrimenti, doveva essere. Andati oltre, entrarono in una sala contigua al salotto del conte. Era una delle camere fredde e sontuose, che già più volte Piero avea visto. Ora però vi si ergeva nel mezzo una tinozza da bagno, dalla quale scorreva l’acqua sul tappeto. Vennero loro incontro in punta di piedi un servo e un chierico con in mano un incensiere; ma ai due estranei non badarono punto. Passarono finalmente nella grande sala di ricevimento che dava sul giardino d’inverno, ornato di un busto e di un ritratto, grandezza naturale, dell’imperatrice Caterina. Le stesse persone, quasi nelle medesime posizioni, discorrevano qui sommesso. Tutti tacquero, guardando alla faccia pallida e lagrimosa della Drubezkoi e al giovane alto e membruto che a capo chino le teneva dietro.
La Drubezkoi diceva chiaro con l’espressione del viso, che il momento decisivo era venuto. Entrò con passo ardito, più che non avesse fatto il mattino, sicura oramai di esser ricevuta, visto che conduceva colui che il morente bramava vedere. Girato intorno un rapido sguardo, e scorto il confessore del conte, gli si accostò reverente, facendosi più piccola della persona, e ne prese devota e commossa la benedizione.
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