Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Guerra e pace. Ediz. integrale: краткое содержание, описание и аннотация

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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***

Piero se ne stava in salotto, dove Scinscin lo tratteneva con un noioso discorso politico, cui ben presto parteciparono gli altri. Per buona sorte, Natalia venne a liberarlo, invitandolo, a nome della mamma, a ballare.

— Ho gran paura d’imbrogliar le figure, – rispose Piero, – ma se voi volete essere la mia maestra...

E porse la grossa mano alla minuscola giovinetta.

Mentre le coppie prendevan posto e gli strumenti si riaccordavano, Piero si mise a sedere accanto alla sua damina. Natalia si sentiva al settimo cielo: ballava con uno dei grandi , con uno, per giunta, che veniva dall’estero. Cercava ad ogni modo che la si notasse; discorreva come una donna matura; apriva e chiudeva un ventaglio che una signora le avea dato a tenere; prendeva atteggiamenti disinvolti, da società, Dio sa dove e quando imparati.

— Avete visto, eh? – diceva la contessa, accennando a lei. – Che arie, affè mia!

Natalia si fece rossa e si mise a ridere.

— Via, mamma, bel gusto il vostro di tormentarmi! E che ci trovate di straordinario?

***

A metà della terza scozzese, si sentì un rumor di seggiole nelle sale da giuoco, e di lì a poco entrarono in salotto le persone gravi, stirandosi un po’ nelle membra e cacciandosi in tasca borse e portafogli. Precedeva il terribile dragone in compagnia del conte che le dava braccio, tutti e due allegri e quasi ringiovaniti.

— Ehi, Simeone! – gridò il conte al primo violino, – sai l’ultima figura dell’ inglese?

Era questa la sua danza prediletta, quella che gli ricordava i tempi beati della giovinezza.

— Guardate, guardate al babbo! – suonò per tutta la sala la voce squillante di Natalia. La grande, scordatasi della sua parte, piegava fin sulle ginocchia la testolina ricciuta e rideva come una pazza. Tutti gli occhi si volsero sull’allegro vecchietto, più piccino della maestosa sua dama; tutte le bocche sorrisero, quand’egli, arrotondando le braccia, battendo col piede il tempo, protendendo la faccia tonda e pelata, andò apparecchiando gli spettatori alla scena imminente. E quando suonarono le note vivaci della danza richiesta, a tutti gli usci della sala si affollarono visi di uomini e di donne, ilari e curiosi. Era la corte di casa Rostow, che accorreva ad ammirare la bravura del padrone.

— Che amore, Gesummio! che sbarazzino! – esclamò la vecchia nutrice.

Il conte ballava bene, e lo sapeva; ma non così la sua dama. Ritta, impettita, con le grosse mani penzoloni, la signora Achrosimow ballava, si può dire, solo con la faccia ridente e il naso arricciato. Se non che, mentre il conte deliziava gli astanti con la sveltezza dei salti e delle subite giravolte, non poca impressione produceva la massiccia danzatrice ad ogni minimo e involontario movimento di braccia, merito incontestabile in un corpo di quella fatta. Il ballo si fece sempre più vivo, alle altre coppie nessuno badava più. Natalia tirava per la manica ora questo ora quello, benchè non ce ne fosse bisogno, tanto tutti erano assorti nel singolare spettacolo. Negli intervalli, il conte ansimava, si asciugava il sudore, gridava ai musicanti di accelerare il tempo. Finalmente, dopo aver fatto più e più volte turbinar la sua dama come un paleo, la ricondusse al suo posto ed eseguì l’ultimo passo, sollevando all’indietro il piede sinistro, curvando in un inchino il lucido cranio, e con un gesto largo della mano destra esprimendo le sue grazie. Ci fu uno scroscio assordante di applausi e di risa.

— Ecco, mia cara, – disse il conte tirando il fiato grosso, – ecco come si ballava ai tempi nostri!

— Ah! oh! non c’è che dire... Si ballava sodo! – brontolò la signora Achrosimow, soffiando come un mantice e tirandosi su le maniche.

XVIII

Mentre in casa Rostow si ballava al suono degli stanchi strumenti, e camerieri e cuochi preparavano la cena, il conte Besuhow era assalito da un sesto colpo di sangue. I dottori dichiararono non esservi più speranza. Furono somministrati al moribondo i sacramenti, la confessione muta e la comunione; si dispose l’occorrente per l’estrema unzione; e per tutta la casa fu un correre ed un affaccendarsi, come suole in simili congiunture. Sulla via, fra gli equipaggi che si fermavano davanti al portone, sgusciavano gli agenti delle pompe funebri, in ansiosa aspettazione. Il governatore di Mosca, che tutti i giorni avea mandato un aiutante per informarsi della salute del conte, arrivò di persona per dar l’ultimo addio all’insigne patrizio dei tempi di Caterina.

La sontuosa sala di ricevimento era piena di gente. Tutti sorsero in piedi, quando il governatore, dopo passata mezz’ora da solo a solo col morente, uscì dalle camere interne, rispondendo con un breve cenno del capo agli inchini e sottraendosi frettoloso agli sguardi curiosi dei dottori, dei preti, dei parenti. Lo accompagnava il principe Basilio, più pallido e sparuto del solito, e gli andava susurrando qualche cosa.

Tornato in sala, il principe Basilio si mise a sedere, accavalciò una gamba sull’altra, appoggiò il gomito sul ginocchio e si coprì gli occhi con la mano. Dopo un poco, si alzò e girati intorno gli occhi spauriti, entrò con passi insolitamente frettolosi in un lungo corridoio che menava alle camere della principessina primogenita.

I rimasti nella sala, debolmente illuminata, discorrevano sommesso e improvvisamente tacevano, volgendo gli occhi trepidi e curiosi ad ogni cigolio della porta che menava nella camera del morente, ogni volta che qualcuno ne usciva o vi entrava.

— La vita umana ha i suoi limiti, – diceva un vecchio prete ad una signora che lo ascoltava a bocca aperta, – e a nessuno è dato di varcarli.

— Non sarà tardi per l’estrema unzione, reverendo? – domandò la signora ignara delle esigenze del rito.

— È un gran sacramento, signora mia, – rispose il prete, passandosi una mano sui radi capelli grigi della lucida testa.

— Chi era quello lì?... il governatore? – bisbigliavano in un altro angolo della sala. – Ritto come un fuso, perdiana!

— E dire che ha settant’anni suonati!... Pare che il conte abbia perduto i sensi, eh? Gli danno l’estrema unzione?

— Non vuol dire. Io ho conosciuto un tale, che sette volte la prese.

La principessina secondogenita uscì dalla camera del morente, e con gli occhi inondati di lagrime sedette accanto al dottor Lorrain, il quale, graziosamente sdraiato in poltrona sotto un ritratto dell’imperatrice Caterina, si appoggiava col gomito alla tavola.

— Bellissimo tempo, – disse il dottore, rispondendo alla domanda della principessina; – e poi a Mosca ci si sente come in campagna.

— Non è vero? – disse la principessina, sospirando. – Sicchè, voi dite, dottore, che può bere?

— Ha preso la medicina?

— Sì.

Il dottore guardò all’orologio.

— Prendete un bicchiere di acqua bollita e metteteci un pizzico (e qui congiungeva il pollice e l’indice) di cremor di tartaro.

— Non conosco casi, – diceva un dottore tedesco al suo assistente, – che dopo il terzo colpo, si resti in vita.

— Eppure, come si manteneva vegeto! – osservò l’assistente; e poi a voce più bassa: – Chi sa a chi andranno le sue ricchezze...

— Si troveranno degli amatori, non dubitate, – rispose il tedesco sorridendo.

La porta tornò a cigolare. La principessina portava la bevanda all’infermo. Il dottore tedesco si accostò al collega Lorrain. Può anche darsi che la tiri fino a domani? – domandò.

Lorrain strinse le labbra e agitò l’indice davanti al naso in atto negativo.

— Stanotte, non più tardi, – bisbigliò col sorriso soddisfatto del clinico perspicace.

***

Il principe Basilio entrava intanto in camera della principessina maggiore.

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