Guerra e pace Lev Nikolaevic Tolstoj Guerra e pace
VOLUME I VOLUME I ALESSANDRO CHIAPPELLI
PREFAZIONE
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
PARTE TERZA
VOLUME II
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
PARTE TERZA
PARTE QUARTA
PARTE QUINTA
VOLUME III
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
PARTE TERZA
VOLUME IV
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
PARTE TERZA
PARTE QUARTA
EPILOGO
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
Note
Lev Nikolaevic Tolstoj
Guerra e pace
ALESSANDRO CHIAPPELLI
È stato detto da un critico recente1 che Leone Tolstoi abbia tolta ispirazione al romanzo Guerra e Pace da quel genio che nel 1812 lasciò incendiare la città santa di Mosca. Ispirazione, sì, ma come l’autore dell’ A pocalissi si ispirò all’incendio neroniano di Roma e allo sterminio dei cristiani, per levare la sua voce di condanna e di maledizione contro quella furia di sterminio e di violenza. Poichè nessuno forse ha risposto al quesito manzoniano «fu vera gloria?» così risolutamente e negativamente come il Tolstoi, in queste meravigliose pagine di viva raffigurazione storica. L’ideale di lui è già quivi l’uomo del popolo: e il popolo russo trionfa del grande Napoleone perchè esso è come un uomo semplice, diritto, invincibile.
Contro l’individualismo eroico del Nietzsche, che la storia universale concepisce come un lungo cammino il quale mette capo ad alcune grandi figure dominatrici e direttive, sorge la parola del grande solitario russo in questo epos moderno degli eroi anonimi e demolizione dell’eroe guerresco, che vede la grandezza nel fare intorno a sè la solitudine; dove la nobiltà umana non è raffigurata come alcunchè che stia al di là del bene e del male, bensì come tale che la sua misura debba cercarsi entro i confini della bontà e verità della vita. Certo, ancora il Tolstoi in questo, come nell’altra grande ala del dittico romanzesco, l’ Anna Kare nine , non ha trovato ancora il quo consistam all’inquieta agitazione della sua coscienza anelante a sciogliere il problema della vita; e perciò non ha pace, finchè quella soluzione non gli baleni nell’anima, e non venga poi espressa e formulata come un atto di nuova fede nell’ultimo periodo della sua opera di scrittore e di agitatore d’anime, a cominciare dai libri della Confessione e della Religione. Il principe Andrea significa appunto qui, come Levine in Anna Karenine , il pensiero ancora mal sicuro dello scrittore di fronte al problema umano, che tanto lo affanna. «Un senso di leopardiana tristezza (altri ha scritto) tien sospeso l’animo di questi due personaggi al cospetto della vita e della morte; e li rende inetti ad ogni azione decisiva». Quando il principe Andrea è ferito sull’altura di Pratzen, alla vista di Napoleone, fino allora stato l’eroe dei suoi sogni, che passa a cavallo, cade ogni vana illusione antica, cade l’imagine dell’eroe, del trionfatore, in confronto del cielo stellato sopra il suo capo, «pensando alla nullità della grandezza, alla inanità della vita, di cui nessuno comprende la ragione, e alla inanità, ancora maggiore, della morte, il cui significato rimane occulto e impenetrabile ai viventi.»
Ma già l’apostolo fin da questo momento è sulla via di Damasco; e l’animo è preparato a quello che sarà il suo rinnovamento spirituale. Il principe Andrea è il fratello in ispirito e il precursore di Nekliudow di Resurrezione. Se ancora quello non sa, come questi, farsi popolo, solo la virtù silenziosa e semplice, solo l’«azione inconsapevole» porta, già per l’autore di Guerra e Pace , i suoi frutti di vita. Il conte Piero, eroe e personificazione del Tolstoi medesimo, esprime già il suo ideale democratico e popolare nel desiderio di essere soldato, semplice soldato; nella sua repugnanza per tutto quello che è artificiosa opera di cultura, di raffinamento individuale, onde è trasfigurata e falsificata la vita. E mentre questi si affatica in vano a risalire verso la originale ed essenziale sua semplicità, un’altra persona del romanzo, il milite Karatajew, il muijk soldato, ha già conseguito senza fatica questo ideale di serenità e di amore per quella rinunzia ad ogni forma di riflessa cultura che è come un’eco lontana del Rousseau, e del canto della strega nel Fausto goethiano.
Die hohe Kraft der Wissenschaft der ganzen Welt verborgen!
Und wer nicht denkt, dem wird sie geschenkt, er hait sie ohne Sorgen.
Ora qui accade notare lo strano ed inatteso incontro del Tolstoi col Nietzsche. Anche questi aveva col suo spirito aristocratico denigrato Socrate come rappresentante di quell’abito di riflessione sopra gl’istituti pubblici e i valori tradizionali ed antichi, e manifestazione di quella cultura adulta e consapevole che dissolve le primordiali e originali energie creatrici nella vita dei popoli. Vogliono entrambi radiare dalla vita tutte le formazioni riflesse e razionali della civiltà; e riescono per diverse vie a negare la storia, la quale conosce queste crisi degli antichi ordini civili come un momento necessario e fecondo di nuove e vitali generazioni, di nuove forme di cultura e di nuovi valori umani. Ma dove il Nietzsche vuol risalire alle primitive e libere energie dell’individuo violento e dominatore, il Tolstoi annunzia e bandisce il regno di Dio sulla terra nell’intero adempimento dell’ideale cristiano di mansuetudine, di semplicità e di pace fra gli uomini.
Questo bisogno in lui di scendere fra gli umili e vivere fra essi, è già in Guerra e Pace, come negli altri suoi scritti di questo tempo, e formerà il fondamento di tutta la sua ulteriore predicazione di apostolo e di censore aspro ed inesorabile di tutto il sistema della vita civile, del costume, dell’ortodossia religiosa, della scienza, e dell’arte occidentale, la grande pervertitrice e contaminatrice delle anime. Se non che anche per tutto questo ultimo periodo della sua opera di apostolo e di moralista, e pur dopo il mirabile libro di Resurrezione , si ripeteva da molti contro di lui ch’egli non avesse saputo o potuto mai accordare colla sua dottrina la vita; che nonostante i generosi propositi di rinunzia egli non fosse riuscito a lasciare le sue terre di Iasnaia Poliana; che, insomma, fra lo scrittore e l’uomo fosse mancato quell’unità morale e quella coerenza fra l’ideale e il reale, che per virtù dell’esempio trasforma il dottrinario in apostolo, e rende possibile una grande chiamata d’anime ad una unica fede e ad un’opera comune.
Ora, quello ch’ei non aveva mai potuto fare in vita, cioè il comporre questo doloroso disaccordo, parve voler conseguire coll’ultimo suo gesto eroico poco prima di morire. Quest’ultimo e sublime atto del suo dramma, le cui segrete ragioni ci ha testè rivelate il figlio di Tolstoi, fa di lui quasi un vero Re Lear, che, fuggito dalla sua casa e in mezzo ai rigori delle steppe algenti e delle deserte lande della Russia, parve gridare nella suprema ora di sua vita, come il vecchio e canuto Re britannico: «tempesta, vuota i tuoi fianchi: versa i tuoi torrenti di acqua e di fuoco... orrendo tuono, che tutto riempi di terrore, annulla questo mondo: rompi tutte le forme della natura, e disperdi tutti i germi che fanno l’uomo malvagio». Nell’ultima ora di sua vecchiezza gagliarda come rovere robusta, questo grande seppe trovare l’accordo eroico fra il pensiero e la vita. L’uomo dalle due vite, la vita mondana e la spirituale, la vita dell’arte e quella dell’anima religiosa, l’uomo rigenerato nell’opera di una nuova fede, volle essere esempio salutare all’umanità dolorante e dilacerata da tante forze che la traggono in contrarie parti. La fiamma lungisplendente ed inestinguibile ch’egli aveva accesa colla sua arte, aveva bensì egli voluto convertire in una umile lampada votiva d’una catacomba cristiana lucente nell’agape sacra, colla sua predicazione evangelica, che volle essere una parola universale di fratellanza e di pace. Ma ecco ad un tratto la fiamma antica dare un guizzo ultimo di vita prima che la gran luce si spegnesse per sempre.
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