Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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Ora, poichè rese alla terra natale le sue spoglie, anche la antica rovere robusta è caduta su quel suo suolo ov’egli gettò, fattosi agricoltore, il seme, e che solcò coll’umile aratro, con gesto ed atto quasi sacerdotale. E poichè come Ivan Illitsch, il protagonista di una delle sue meravigliose novelle, egli accolse la morte invocata come ospite che viene «colle sembianze di severa amica», non come manifestazione della potenza delle tenebre, ma come via e segno di resurrezione, non come un evento che annulla, ma come virtù che trasfigura, potè forse entro di sè, nel silenzio dell’ultima ora, esclamare con un altro dei suoi eroi, Vassil Andreitsch: «vengo, vengo». E gli animi migliori a quel sublime atto, da tutte le parti della terra, concordemente plaudirono: come avevano plaudito ai luminosi sorrisi che l’arte, questa Dea da lui invano repudiata, gli aveva prodigalmente largiti, quando era stata datrice di vita a tante creature del suo genio e a tante pagine, dei suoi libri, immortali.

LA GUERRA E LA PACE

VOLUME I

PARTE PRIMA

I

— Ebbene, principe, Genova e Lucca son divenute appannaggio della famiglia Bonaparte. No, vi prevengo, se mi direte ancora che non avremo la guerra, se vi permetterete di assumere le difese di tutte le turpitudini, di tutti gli orrori perpetrati da quell’Anticristo, – chè per tale lo tengo, in fede mia! – non vi guarderò più in viso, non vi avrò più per amico, non sarete più, secondo voi dite, il mio schiavo fedele. Orsù, sedete: vedo che vi ho spaventato a dovere: sedete e raccontate.

Così parlava nel Luglio 1805 Anna Scherer, damigella di onore ed intima della imperatrice Maria Feodòrovna, accogliendo il grave e impettito principe Basilio, che arrivava per primo alla veglia di lei. Anna Scherer avea tossito vari giorni di fila, afflitta da un fiero crup (parola scozzese allora nuova e da pochissimi adoperata). Nei biglietti diramati la mattina, per mezzo di un cameriere in livrea rossa, era scritto:

«Se voi – conte o principe – non avete di meglio in vista, e se non troppo vi spaventa la prospettiva di spender la serata in compagnia d’una povera inferma, sarò lieta di una vostra visita tra le 7 e le 9 di stasera.

Anna Scherer».

— Oh, oh! che furioso ed ingiusto attacco! – rispose il principe, non che turbato, con una espressione aperta e serena del viso piatto e schiacciato. Indossava l’uniforme gallonato di Corte, calze attillate, scarpini, e decorazioni.

Parlava in quel ricercato francese, nel quale parlavano, anzi pensavano i nostri nonni, con le intonazioni blande, carezzevoli, proprie di un uomo di conto, rotto al mondo e invecchiato nella Corte. Avvicinatosi ad Anna Scherer, curvò davanti a lei la testa calva e profumata, le baciò la mano e tranquillamente prese posto sul divano.

— Come state, prima di tutto? Rassicurate l’amico, disse in un tono di galante sollecitudine, dal quale trapelava anche una indifferenza beffarda.

— Come si può stare, quando si soffre moralmente? Si può forse viver tranquilli in un tempo come questo, quando si ha un po’ di sentimento? – protestò Anna Scherer. – Voi, spero, passerete la serata da me?

— E la festa dell’ambasciadore d’Inghilterra? Oggi è mercoledì. Non posso mancare. Verrà mia figlia a prendermi.

— Credevo che la festa fosse rimandata. Vi confesso che tutte coteste feste e fuochi d’artificio diventano insopportabili.

— Se avessero saputo del vostro desiderio, l’avrebbero di certo rimandata, – disse il principe con un formalismo meccanico da orologio, senza nessuna premura che gli si credesse.

— Via, non mi tormentate. Ma che si è poi deciso a proposito del dispaccio di Novosilzew? Voi, già, sapete tutto.

— Che dirvi?... Si è deciso che Bonaparte ha bruciato i suoi vascelli, e parrebbe che noi s’incominci a bruciare i nostri.

Il principe Basilio parlava sempre lento e svogliato, come un attore che reciti una vecchia parte. Anna Scherer invece, a dispetto dei suoi quarant’anni, era tutta fuoco e scatti. Godeva fama di entusiasta; epperò si mostrava tale, anche a non averne voglia, per non venir meno all’aspettazione della gente. Il suo mezzo sorriso, che mal s’accordava ai non freschi lineamenti, esprimeva, come nei ragazzi viziati, l’assidua coscienza di quel grazioso difetto, del quale ella non voleva, non poteva e non reputava necessario disfarsi.

Ingolfatasi nella discussione politica, Anna Scherer si accalorò fino ad irritarsi.

— Ah! non mi parlate dell’Austria! Può darsi benissimo ch’io non ci capisca niente, ma l’Austria non ha mai voluto la guerra, e non la vuole. L’Austria ci tradisce. Tocca a noi, alla sola Russia, salvar l’Europa. Il nostro benefattore ha coscienza del suo alto mandato, e non vi verrà meno. Questa è la mia fede incrollabile. Una gran parte è serbata nel mondo al nostro imperatore; ed egli è così buono, così nobile, che Dio non lo abbandonerà, e gli farà schiacciare l’idra rivoluzionaria incarnata in questo assassino e masnadiero. Noi, noi soli dovremo riscattare il sangue del giusto... E su chi si potrebbe contare, vi domando io?... L’Inghilterra, col suo spirito commerciale, non capirà mai tutta l’altezza d’animo dell’imperatore Alessandro. Si è rifiutata a sgombrar Malta. Cerca e vuol trovare per forza nelle nostre azioni un secondo fine. Che cosa han detto a Novosilzew?... Niente. Non intendono, no, il disinteresse del nostro imperatore, il quale nulla vuole per sè, e tutto pel bene del mondo. E che hanno promesso?... niente, o, se mai, non manterranno. Quanto alla Prussia, ha già riconosciuto che Buonaparte è invincibile e che tutta Europa è impotente contro di lui... Io non credo nemmeno una mezza parola di Hardenberg o di Haugviz. Cotesta decantata neutralità della Prussia è un tranello bell’e buono. Solo in Dio ho fede e negli alti destini del nostro amato Sovrano. Egli salverà l’Europa!

Tacque di botto, sorridendo del proprio calore.

— Io credo, – disse il principe in tono scherzoso, – che se avessero mandato voi in cambio del nostro simpatico Vinzengherode, avreste strappato d’assalto il consenso del re di Prussia. Che eloquenza!... Ma mi darete del tè?

— Subito. A proposito, aspetto stasera due personaggi molto interessanti: il visconte Mortemar, parente dei Montmorency per via dei Rohan, una delle più illustri famiglie di Francia. Un emigrato, ma di quei buoni... E poi l’abate Morio, sapete, uno spirito serio, profondo. È stato anche ricevuto dall’imperatore.

— Ah, sì? ne sarò lietissimo... E ditemi, è poi vero che l’imperatrice vedova desidera la nomina del barone Funcke a primo segretario presso l’ambasciata di Vienna? Una nullità, a quanto pare.

Il principe Basilio mosse la domanda con affettata noncuranza, benchè fosse quello il vero scopo della sua visita. Ambiva quel posto per il proprio figliuolo, e assai gli cuoceva che altri brigasse presso l’imperatrice in favore del barone.

Anna Scherer chiuse gli occhi a mezzo, come per dire che a nessuno al mondo era dato giudicare delle simpatie e delle intenzioni dell’imperatrice.

— Il barone Funcke è raccomandato all’imperatrice madre dalla sorella di lei, – disse poi in tono dolente e di profonda devozione, come accadevale quante volte ricordasse la sua augusta protettrice. – Sua Maestà si degna mostrarsi assai benevolente verso il barone.

Il principe tacque, simulando indifferenza. Anna Scherer, con la fine destrezza femminile e di Corte, avea voluto punzecchiarlo per la sua temerità nel parlare di una persona raccomandata all’imperatrice; ma subito s’ingegnò di consolarlo.

— A proposito della vostra famiglia, – disse, – sapete che vostra figlia, da che ha preso a frequentare la società, forma l’ammirazione di tutti? La trovano bella come un occhio di sole.

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