Il principe s’inchinò in segno di riconoscenza.
— Tante volte io penso, – proseguì Anna Scherer, dopo un minuto di silenzio, accostandosi al principe e sorridendogli, come per mostrare che ai discorsi politici e mondani sottentravano oramai le espansioni affettuose; – tante volte io penso alla ingiusta distribuzione della felicità nella vita. Perchè mai la sorte vi ha dato due perle di figliuoli,... ne escludo Anatolio, l’ultimo, che non mi piace affatto,... due creature veramente invidiabili? E dire che voi li apprezzate meno di tutti, epperò non li meritate.
— Che volete?... Lavater avrebbe trovato che a me fa difetto il bernoccolo dell’amor paterno.
— Da banda gli scherzi. Io davvero, parlando sul serio, sono scontenta del vostro Anatolio. A dirla fra noi, anche in Corte s’è fatto il suo nome alla presenza di Sua Maestà, e vi si è compatito.
Il principe aggrottò le sopracciglia.
— E che vorreste ch’io facessi! – disse poi. – Sapete benissimo che nulla ho trascurato per la loro educazione, e tutti e due mi son riusciti cattivi. Ippolito almeno è uno sciocco tranquillo; Anatolio è irrequieto: ecco l’unica differenza.
E qui sorrideva con meno naturalezza del solito, mostrando nelle rughette agli angoli della bocca non so che di burbero e di poco simpatico.
— Ma perchè, dico io, un uomo del vostro stampo deve aver dei figli? Se non foste padre, non avrei davvero che cosa rimproverarvi.
— Io sono il vostro schiavo fedele, epperò solo a voi posso confessare in tutta confidenza, che i miei figli sono il peso più grave della mia esistenza. Questa, si vede, è la mia croce. Che farci?
— E come va che non pensaste mai a dargli moglie, al vostro figliuol prodigo? Dicono che le vecchie zitelle hanno la mania dei matrimoni. Per me, non l’avverto ancora questo debole; ma ho in vista una certa personcina, nostra parente, la principessina Bolconski, che è molto infelice in casa di suo padre.
Il principe Basilio non rispose a parole; ma con la prontezza e l’acume dell’uomo di mondo, mostrò crollando il capo di prendere in buon conto quelle informazioni.
— No, – disse poi, non riuscendo a sviare il corso malinconico dei suoi pensieri, – voi forse ignorate che quel benedetto Anatolio non mi costa meno di 40 mila rubli all’anno. E che sarà da qui a cinque anni? Ecco quel che si guadagna ad esser padre. È ricca la vostra principessina?
— Il padre è ricchissimo e avaro. Vive in campagna. Sapete, il famoso principe Bolconski, che fu messo al riposo sotto il defunto imperatore, e che chiamavano il re di Prussia. Uomo intelligente, ma bisbetico e pesante. La poverina è infelicissima. Ha un fratello, quello che da poco ha sposato Lisa Meinen, l’aiutante di Kutusow. Stasera verrà qui.
— Sentite, cara Annetta, – disse il principe, prendendo per mano la sua interlocutrice. – Aggiustatemi questo affare, ed io sarò in eterno il fedelissimo fra i vostri schiavi. Un casato illustre, una buona dote... è tutto quel che mi bisogna.
E con la disinvolta familiarità che gli era propria, baciò la mano della damigella d’onore, la strinse leggermente e la carezzò, sdraiandosi finalmente nell’angolo del divano e volgendo altrove lo sguardo indifferente.
— Aspettate, – disse Anna Scherer, dopo aver pensato un poco. – Stasera stessa ne parlerò a Lisa Bolconski. Chi sa che non mi riesca... Incomincerò con la vostra famiglia a imparare il mestiere di vecchia zitella.
Il salotto di Anna Scherer si andò man mano popolando. Il più alto patriziato di Pietroburgo vi si dava convegno, gente varia di età e di carattere, ma parificata dalla società cui apparteneva. Arrivò la figlia del principe Basilio, la bellissima Elena, venuta a cercare il padre per andare insieme alla festa dell’ambasciadore. Era in abito da ballo con la cifra imperiale. Venne la principessa Bolconski, una personcina che avea fama della più seducente donna di Pietroburgo. Maritatasi l’inverno precedente, avea smesso di frequentare il così detto gran mondo, a motivo del suo stato interessante, e non si mostrava che nelle piccole serate. Venne il principe Ippolito, figlio del principe Basilio, con Mortemar, da lui presentato, l’abate Morio e molti altri.
— Non avete ancora visto o forse non conoscete mia zia? – diceva la padrona di casa agli ospiti, via via che arrivavano. Poi, con la massima serietà, li menava al cospetto di una vecchietta infronzolita sbucata dalle camere interne, li presentava per nome e per titoli, e subito se la svignava. Uno dopo l’altro soggiacevano gli ospiti alla cerimonia dei convenevoli con quel personaggio superfluo, sconosciuto e tutt’altro che interessante. A ciascuno la zia rivolgeva le medesime frasi sulla salute del visitatore, sulla propria e su quella di Sua Maestà che adesso, grazie a Dio, andava migliorando. Tutti i presentati, che per convenienza non davano a vedere nessuna sorta di fretta, traevano un sospiro di sollievo allontanandosi dalla vecchia, col fermo proposito di non accostarlesi più per l’intiera serata.
La giovane principessa Bolconski avea portato il suo lavoro in una sacchettina di velluto ricamato in oro. Il labbro superiore di lei, ombreggiato da una fine peluria, corto anzi che no, lasciava allo scoperto i denti bianchissimi e si abbassava con grazioso sforzo sull’inferiore. Questo difetto, come sempre accade in una bella donna, era stimato un pregio singolare, un carattere spiccato della sua bellezza. Era un piacere contemplare questa giovane madre, riboccante di salute e di vivacità, che con tanta disinvoltura sopportava la sua delicata posizione. Gli uomini attempati, non che i giovani annoiati della vita, dopo scambiate con lei alcune parole, si figuravano volentieri di essersi rifatti a nuovo. Tutti poi, vedendo quel suo luminoso ed assiduo sorriso, lo attribuivano soddisfatti alla propria amabilità e ad una speciale efficacia della propria conversazione.
Dondolandosi un poco, a passettini rapidi e brevi, la piccola principessa girò intorno alla tavola e, senza lasciare la sua sacchettina, si aggiustò le pieghe della gonna, e prese posto sul divano, vicino al bricco argenteo del tè. Checchè facesse, pareva intesa a rallegrar sè stessa e quanti la circondavano.
— Ho portato con me da lavorare, – disse, aprendo la sacchettina e rivolgendosi a tutti insieme. – E voi, Annetta, badate a non giocarmi un brutto tiro. Mi avete scritto che si trattava di una serata intima, alla buona. Vedete come son vestita male.
Così dicendo, apriva le braccia per mostrare il suo elegante abito grigio, ornato di pizzi, con un largo nastro di seta sotto il seno.
— Rassicuratevi, – rispose Anna Scherer, – sarete sempre la più carina.
— Sapete, – si volse la principessa ad un generale, – mio marito mi abbandona per andare incontro alla morte... Ma dite un po’, principe Basilio, perchè mai questa maledetta guerra?
E senza aspettar la risposta, appiccò subito discorso con la figlia del principe.
— Che personcina incantevole questa piccola principessa! – disse piano il principe ad Anna Scherer.
Di lì a poco, entrò nel salotto un giovane massiccio, robusto, rasi i capelli e con gli occhiali. Secondo la moda dell’epoca, portava calzoni chiari, giubba color cannella ed ampia gala allo sparato della camicia. Era questi figlio naturale del conte Besuhow, famoso ai tempi di Caterina e di recente tornato a Mosca. Arrivato testè dall’estero, dov’era stato educato, Piero – chè così il giovane chiamavasi – si mostrava per la prima volta in società. La padrona di casa lo accolse con un mezzo saluto, non senza mostrare in viso una certa apprensione, come alla vista di qualche cosa troppo grande e sproporzionata. Piero infatti era più alto di tutti i convitati; ma quell’apprensione della Scherer era forse originata dallo sguardo intelligente e timido insieme, semplice e perspicace, che distingueva il giovane da quanti altri popolavano il salotto.
Читать дальше