Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Guerra e pace. Ediz. integrale: краткое содержание, описание и аннотация

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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— Abitate con vostra madre?

— Abito in casa della contessa Rostow, eccellenza.

— Il conte Elia Rostow, sapete, che sposò Natalia Scinscin, – spiegò la Drubezkoi.

— Sappiamo, sappiamo. Non ho mai capito come Natalia si decise a sposare quell’orso. Un balordo ridicolo. E giocatore, dicono, per giunta.

— Brav’uomo però, – notò la Drubezkoi, con un sorriso che riconosceva la giustezza dell’accusa e domandava pietà pel povero vecchio. – Ma che dicono i dottori?

— Magre speranze!

— Ed io che avevo tanta voglia di ringraziare ancora una volta lo zio per tutti i beneficii di cui ci ha colmati, me e Boris... È suo figlioccio, sapete.

Il principe aggrottò pensoso la fronte. Capì subito la Drubezkoi ch’egli temeva di provare in lei una concorrente nel testamento del conte Besuhow, e si affrettò a rassicurarlo.

— Se non fosse per la mia sincera devozione allo zio... Io conosco il suo carattere, nobile, equanime; ma, pur troppo, solo le nipoti gli stanno accanto,... e son così giovani... E dite, principe (e qui abbassava la testa e la voce), ha compiuto gli estremi doveri?... Come son preziosi questi ultimi minuti! Certo, se proprio sta così male, bisognerà apparecchiarlo... Noi donne, principe, sappiamo come si dicono certe cose. È indispensabile che io lo veda. Per doloroso che sia l’ufficio, io mi vi sobbarco, tanto sono assuefatta a soffrire.

Il principe capì anche questa volta che non era facile sbarazzarsi della Drubezkoi.

— Purchè non gli faccia troppa impressione il vedervi, cara signora Anna. Aspettiamo fino a stasera. I dottori prevedono una crisi.

— Ma non si può aspettare, principe, in momenti simili. Si tratta, pensateci, della salvezza dell’anima. Ah! com’è terribile il dovere di un cristiano...

Da una porta che metteva nelle camere interne venne fuori una delle principessine nipoti del conte, triste e fredda in viso e con una vita lunghissima in proporzione delle gambe.

— Ebbene? come va? – domandò il principe Basilio.

— Sempre lo stesso... Come volete che sia altrimenti... con tutto questo strepito...

E squadrava la Drubezkoi come una sconosciuta.

— Ah cara, ed io che non vi riconoscevo! – esclamò costei, sorridendo e accostandosi a lei. – Sono arrivata or ora, disponete pure di me, vi aiuterò ad accudire lo zio. Mi figuro quanto, quanto avrete sofferto! – soggiunse alzando gli occhi al cielo.

La principessina, muta e seria, uscì per un’altra porta. La Drubezkoi si tolse i guanti, sedette in una poltrona in posizione di combattimento e chiamò a sè il principe Basilio.

— Senti, Boris... Io vado dal conte, dallo zio... Tu intanto va da Piero, e non ti scordare d’invitarlo a nome dei Rostow... a pranzo, beninteso. Che credete, principe, ci andrà?

— Ci andrà di sicuro. Ed io, per dirvela, sarò lietissimo che mi liberiate di questo giovinotto. S’è installato qui, e il conte nemmeno una volta ha domandato di lui.

Fatto cenno ad un cameriere, questi condusse Boris per una scala interna alle camere occupate da Piero.

XIII

Sempre incerto sulla carriera da prendere, Piero era intanto stato mandato via da Pietroburgo per dato e fatto della sua scandalosa condotta. La storia dell’orso e del commissario era vera, ed egli vi avea partecipato. Arrivato a Mosca da pochi giorni, si era fermato, come al solito, in casa del padre. Tuttochè sicuro che di quella storia si fosse avuto sentore e che il circolo femminile del conte se ne sarebbe giovato per metterlo in cattiva luce, entrò di primo acchito negli appartamenti paterni. Salutò le principessine raccolte in salotto, due occupate a ricamare, la terza a leggere. Era costei, quella medesima dalla vita lunga; le altre, minori di età, rubiconde e graziose, distinguevansi solo perchè il labbro superiore della più giovane era ornato di un neo che le accresceva vezzo. Piero fu accolto come uno spettro o come un appestato. La prima delle sorelle smise di leggere e lo fissò con occhi spaventati; la seconda assunse la medesima espressione; l’ultima, quella dal neo, di carattere gioviale, si curvò sul telaio fingendo di osservare il disegno, per nascondere un risolino provocato forse dalla scena divertente che stava per seguire.

— Buon giorno, cugina... Che è? non mi riconoscete?

— Vi riconosco invece anche troppo.

— Come va il conte? Mi è permesso vederlo?

— Il conte soffre fisicamente e moralmente, e voi pare, avete fatto il possibile per accrescere i suoi tormenti.

— Ma, dico, è permesso vederlo?

— Se avete in animo di ucciderlo, di finirlo con un colpo, vedetelo pure. Olga, va un po’ di là; guarda se il brodo per lo zio è pronto, – soggiunse per mostrare che esse erano occupate a curar lo zio, mentre Piero non pensava che ad amareggiarlo.

Olga uscì. Piero stette un po’ ad osservare le due sorelle, poi si accomiatò con un inchino.

— Sicchè, torno in camera mia. Quando sarà possibile vederlo, me lo farete sapere.

Mentre s’allontanava, sentì squillare la franca risata della sorella col neo.

Il giorno appresso arrivò il principe Basilio, e prese alloggio in casa del conte. Fatto chiamar Piero, gli disse:

— Caro mio, se intendete condurvi qui come a Pietroburgo, finirete molto male. Non ho altro da dirvi. Il conte sta male, molto male. Quanto a vederlo, è inutile pensarci.

Dopo di che, Piero non fu altrimenti disturbato, e passò tutto il giorno in camera sua.

Boris lo trovò che passeggiava in lungo ed in largo, tratto tratto arrestandosi per far gesti minacciosi contro una parete, come se volesse passar da parte a parte un nemico invisibile. Lanciava sguardi di fuoco di sopra agli occhiali, tornava a passeggiare, scrollava le spalle, allargava le braccia, articolava frasi smozzicate.

— L’Inghilterra fu! – diceva con fiero cipiglio e accennando col dito a qualcuno. – Pitt, traditore della nazione e del diritto delle genti, è condannato a...

Non formulò la condanna. Si sentiva tutt’uno con Napoleone, ed avea già traversato il Passo di Calais e preso Londra d’assalto, quando si vide davanti un giovane e bell’ufficiale. Avea lasciato Boris quattordicenne e non se ne ricordava punto; ma, con la sua naturale e pronta cordialità, gli porse subito la mano e gli sorrise.

— Vi rammentate di me? – domandò Boris con tranquilla affabilità. – Son venuto con la mamma a trovare il conte, ma pare che non stia punto bene.

— Sì, così pare. E cercano di non disturbarlo, – rispose Piero, sforzandosi di raffigurare il suo interlocutore.

Boris si accorse di non esser riconosciuto, ma non stimò necessario di nominarsi e seguitò a guardar Piero con la massima calma.

— Il conte Rostow, – disse dopo un lungo silenzio, – vi aspetta oggi a pranzo.

— Ah, il conte Rostow!... Sicchè, voi siete Elia suo figlio. Figuratevi che a prima vista non vi riconoscevo. Vi ricordate le nostre corse fra i monti con madama Jacquot?

— V’ingannate... Io sono Boris, figlio della principessa Anna Drubezkoi. Elia è poi il nome di Rostow padre. Il figlio si chiama Nicola. Quanto a madama Jacquot, non l’ho mai conosciuta.

Piero agitò le mani e la testa, come assalito da vespe o zanzare.

— Che diamine mi succede! che imbroglio!... Un nugolo di parenti a Mosca... Sicuro, voi siete Boris... Adesso ci conosciamo e non c’è più pericolo di equivoci. Ebbene, che ne pensate voi della spedizione di Boulogne? Un brutto quarto d’ora passeranno gl’Inglesi, se Napoleone passa il canale. Per me credo che la spedizione sia più che probabile. Se quel maledetto Villeneuve non avesse ciurlato nel manico coi suoi cinquanta vascelli!...

Boris non sapeva nulla del campo e della spedizione di Boulogne, giornali non ne leggeva, e il nome di Villeneuve gli suonava per la prima volta all’orecchio.

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