Vera, senza punto turbarsi, si avvicinò allo specchio, e si aggiustò la sciarpa e i capelli. Compiaciuta di vedersi così bella, diventò ancora più fredda e più tranquilla.
***
In salotto, continuava la conversazione.
— Ah, cara mia! – disse la contessa, – anche nella mia vita non son tutte rose. Non vedo io forse che con la vita che meniamo non si potrà tirarla in lungo? Sempre la stessa storia... Il circolo, e la sua bonarietà... Anche quando si sta in campagna, non ci si riposa. Teatri, cacce e che so io! Ma che serve parlar di me? Dimmi tu piuttosto come hai fatto a riuscire. Io ti ammiro. Annetta, io non mi fo capace come tu, alla tua età, possa correre di qua e di là, a Mosca, a Pietroburgo, da tutti i ministri, da tutti i sopracciò, e sbrigartela come se niente fosse... Un vero miracolo! Sentiamo dunque, com’hai fatto a riuscire? Per me, te lo confesso, non sarei buona a muovere un dito.
— Ah, bambina mia! – rispose la Drubezkoi. – Faccia Dio che tu ignori sempre quel che vuol dire rimaner vedova, senza appoggio, e con un figlio adorato. Tutto s’impara... Sapessi tu che scuola è stata per me il mio processo! Quando mi occorre vedere uno di cotesti pezzi grossi, scrivo due righe: «la principessa tale desidera vedere il signor tale», e vado io stessa due volte, tre, magari dieci, fino a che non la spunto. Pensino di me quel che vogliono, non mi preme.
— Sicchè, a chi ti rivolgesti per Boris?... Fatto sta che tuo figlio è già ufficiale della Guardia, mentre il mio Nicola è sempre sottufficiale. Nessuno si è dato attorno per lui. Chi hai pregato tu?
— Il principe Basilio. Fu amabilissimo, sai. Subito consentì, e ne parlò all’imperatore, – disse con orgoglio la Drubezkoi, dimenticando completamente l’umiliazione cui s’era esposta per raggiungere il suo scopo.
— E di’ un po’, è invecchiato il principe Basilio? Non lo vedo, da quando si recitavano le commedie in casa Rumianzow. Si sarà scordato di me... Eppure, figurati, un tempo mi faceva la corte.
— Sempre lo stesso, amabile, galante. L’alta posizione non gli ha fatto girar la testa. «Mi duole, cara principessa, di non poter fare gran cosa per voi... Comandate». No, no: è un uomo eccellente, un parente modello. Ma tu sai, Natalia, quanto bene voglio a mio figlio; non so che farei per vederlo felice... E intanto, se sapessi le mie circostanze... Il mio disgraziato processo si mangia ogni cosa, e non fa un passo avanti. Figurati, cara, che non ho niente, il puro niente, e non so come fare l’uniforme al povero Boris... (Qui cavò il fazzoletto e si mise a piangere). Mi ci vogliono cinquecento rubli, e non ne ho che venticinque... L’unica mia speranza è sul conte Cirillo Besuhow... Se non vorrà aiutare il suo figlioccio, se non gli assegnerà una pensione, addio speranze, addio fatiche: non avrò modo di fargli l’uniforme... Spesso mi viene in mente... sarà peccato, ma non c’è rimedio,... mi viene in mente che il conte, così ricco com’è, non sa che farsene della vita,... mentre il povero Boris vi si affaccia appena, ed ha tutto l’avvenire davanti...
— A Boris però lascerà qualche cosa.
— Dio lo sa! Son così egoisti questi signoroni!... Ma io ci vado subito insieme con Boris, e gli dico chiaro e tondo come stanno le cose. Dicano di me quel che vogliono, qui si tratta della sorte di mio figlio! Addio, cara... Sono le due... Voi pranzate alle quattro... Farò in tempo, non dubitare.
Fatto chiamare il figlio, si avviò con lui verso l’anticamera.
— Addio, addio, prega il Signore che m’aiuti!
— Andate dal conte Cirillo, cara? – domandò il conte, sbucando dalla sala da pranzo. – Se lo trovate un po’ meglio, dite a Piero che lo aspetto qui a pranzo. Un tempo, veniva sempre qui, faceva il chiasso coi bambini. Fate il possibile, perchè venga... Vedremo come il mio Taras si coprirà di gloria... Dice che un pranzo simile non ci fu mai, nemmeno dal conte Orlow.
— Caro Boris, figlio mio, – disse la Drubezkoi, mentre la carrozza della contessa Rostow, traversata la strada coperta di paglia, li portava nell’ampio cortile del palazzo Besuhow, – mio caro Boris, fa di essere gentile, riguardoso. Il conte Cirillo, in fin dei conti, ti è compare, e da lui dipende il tuo avvenire. Tienilo bene a mente, caro; sii amabile, affettuoso, come tu sai essere...
— Se avessi saputo che ci si doveva abbassare fino all’umiliazione, – rispose il figlio con freddezza, – forse... Ma oramai ho promesso, e farò tutto per amor vostro.
Non badando alla carrozza fermatasi di fuori, il solenne portinaio sbirciò madre e figlio, che s’inoltravano difilato nel vestibolo vetrato fra due file di statue, diè un’occhiata significativa al vecchio mantello della signora, domandò di chi cercassero, delle principessine o del conte, e saputo che di questo trattavasi, disse che Sua Eccellenza stava peggio e non riceveva anima viva.
— Andiamo via, – disse Boris in francese.
— Figlio mio, – pregò la madre sfiorandogli la mano con la mano, come per calmarlo o per fargli animo. Boris tacque, e senza togliersi il mantello, la guardò.
— Sentite, brav’uomo, – si volse la Drubezkoi al portinaio, – io so che il conte Cirillo sta male... Gli è per questo che son venuta. Sono sua parente... Non lo disturberò... Mi basta vederlo un momento... Fatemi annunziare, ve ne prego. Il portinaio , di assai mala grazia, diè una strappata al campanello delle scale.
— La principessa Drubezkoi col figlio, – gridò ad un cameriere che si affacciava di sopra in calze attillate e scarpini.
La mamma, aggiustandosi le pieghe della veste ritinta, si guardò in un ampio specchio veneziano incastrato nella parete, e con le scarpe scalcagnate montò risoluta il tappeto delle scale.
— Ricordati, figlio mio, che m’hai promesso! – pregò toccandogli di nuovo la mano.
Boris, con gli occhi bassi, la seguiva.
Entrarono in una sala, contigua alla camera dell’infermo.
Nel punto stesso che madre e figlio stavano per domandare ad un cameriere da che parte dirigersi, una porta si aprì, e il principe Basilio, in veste di velluto, con sul petto una sola decorazione, uscì accompagnando un bell’uomo dai capelli neri. Era questi il famoso dottor Lorrain.
— Sicchè, è proprio così? – domandò il principe.
— Errare humanum est, – rispose il dottore, barbugliando e pronunciando le parole latine alla francese.
— Sta bene, sta bene...
Accortosi della Drubezkoi col figlio, il principe Basilio accomiatò con un inchino il dottore, e senza dir parola andò loro incontro, interrogando con lo sguardo. Il figlio osservò, nè potè non sorriderne, come la fisonomia materna si atteggiasse immediatamente al più profondo dolore.
— Ah, principe, in che tristi congiunture ci tocca incontrarci!... Ebbene, come va il nostro caro ammalato? – domandò ella, senza punto badare allo sguardo freddo e insolente fisso su lei. Boris s’inchinò rispettoso. Il principe, non rispondendo al saluto, si volse alla Drubezkoi e fece un movimento di testa e di labbra, che esprimeva la nessuna speranza per la salute dell’infermo.
— Davvero dite? – esclamò la Drubezkoi. – Ah, che cosa terribile! Non ci posso pensare... Questi è mio figlio... Ha voluto di persona ringraziarvi.
Boris tornò ad inchinarsi.
— Credete, principe, che il cuore d’una madre non dimenticherà mai quanto faceste per noi.
— Son lieto di avervi reso un piccolo servigio, cara signora, – disse il principe, aggiustandosi la gala e assumendo un’aria di protezione. – Voi, giovanotto, cercate di servir bene, di farvi onore... Son lieto, lietissimo... Siete qui in licenza?
— Aspetto un ordine, eccellenza, per presentarmi alla nuova destinazione, – rispose Boris, senza risentimento pel tono secco del principe nè desiderio di legar discorso, ma così calmo e rispettoso che il principe lo guardò fiso.
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