Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Guerra e pace. Ediz. integrale: краткое содержание, описание и аннотация

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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Lo studente e l’ufficiale, bei giovani entrambi, erano coetanei, ma non si somigliavano punto. Boris era alto, biondo, di lineamenti corretti e delicati. Nicola, di mezzana statura, coi baffettini neri che gli spuntavano, era l’incarnazione della franchezza, dell’impeto, dell’entusiasmo. Entrando in salotto, s’era fatto rosso, volendo pur dire qualche cosa, e non sapendo che. Boris invece, senza punto turbarsi, narrò scherzosamente della sua antica amicizia con la signorina Mimì, la quale in soli cinque anni era orribilmente invecchiata, avea perduto il naso ed avea parecchie tacche sulla testa. Ciò dicendo, diè un’occhiata a Natalia; e la ragazza si voltò in là guardando al fratellino che si gonfiava tutto per non scoppiar dalle risa, e poi scappò via più che di corsa. Boris non si scrollò e non rise.

— Voi, mamma, volevate andar via, mi pare? faccio venire una vettura? – domandò, volgendosi alla madre.

— Sì, va, va, – rispose quella.

Boris uscì con passo tranquillo e seguì Natalia; il ragazzo grasso corse loro dietro, indispettito che lo avessero disturbato nelle sue occupazioni.

IX

Dei giovani, senza contare la signorina Caraghin e la figlia maggiore della contessa (che avea quattro anni più della sorella e già si conteneva da grande), rimasero in salotto Nicola e la nipotina Sofia. Sofia era una brunetta piccina, sottile, dallo sguardo dolce ombreggiato da lunghe ciglia, dalla treccia nera e folta che in due giri la incoronava, dal colorito olivastro del viso, del collo, delle braccia magre, ma ben disegnate e muscolose. Con la mollezza dei movimenti, la flessuosità delle piccole membra, e una certa sua espressione di furberia sorniona, facea pensare ad un grazioso micino che col tempo sarebbe divenuto una gatta stupenda. Alla conversazione comune partecipava, per amor di convenienza, con un sorriso; ma, senza volerlo, volgeva gli occhi al cugino che dovea partir per l’armata, con tale infantile, ingenua adorazione, che quel suo sorriso non poteva proprio ingannar nessuno. Si vedeva che il micino se ne stava cheto e raccolto, pronto a spiccare un salto e a fare il chiasso col cugino, non appena avessero potuto insieme sgattaiolarsela dal salotto.

— Sì, cara, – disse il conte alla Caraghin accennando al suo Nicola; – Boris l’amico suo è stato promosso ufficiale, e Nicola, per non staccarsi da lui, pianta l’Università, abbandona me povero vecchio e va a fare il militare. Proprio come vi dico, cara signora. E dire che il suo posto all’Archivio era bell’e pronto! Ecco che vuol dir l’amicizia...

— Ma la guerra, dicono, è già dichiarata, – osservò la Caraghin.

— Da un pezzo lo dicono... Tutte chiacchiere... Ecco, cara mia, che vuol dir l’amicizia, – ripetette il conte.

— Ma no, l’amicizia non ci ha che vedere, – proruppe Nicola con impeto, quasi respingesse una calunnia. – Gli è che io sento in me prepotente la vocazione alla carriera militare.

La cugina e la signorina Caraghin lo gratificarono d’un sorriso di approvazione.

— Abbiamo oggi a pranzo Schubert, il colonnello degli ussari, che si trova qui in licenza. Il colonnello se lo piglia con sè e me lo porta via. Che fare? – disse il conte, scrollando le spalle e sforzandosi di celiare sopra un argomento che lo affliggeva assai.

— Io v’ho già dichiarato, babbo, – disse il figlio, – che se la cosa vi dispiace, resto qui. Ma io so di sicuro che a nulla son buono, meno che al servizio militare: non sono un diplomatico, non sono un magistrato, non so nascondere i miei sentimenti.

E qui sbirciava con una certa civetteria le due ragazze.

La gattina, ficcandogli gli occhi addosso, parea pronta a tutti i momenti a spiccare il salto e a sfogare tutta la sua natura felina.

— Via, via, non serve scaldarsi! – lo ammonì il padre. – Tutta colpa di quel Bonaparte, che fa girare i cervelli... Un tenente, che mi diventa imperatore, oh che si scherza? Non si sa mai, è una fortuna che può capitare a tutti.

I grandi presero a discorrere di Bonaparte. Giulia, la figlia della Caraghin, si volse al giovane Rostow.

— Che peccato non avervi incontrato giovedì in casa Archarow! – disse sorridendo teneramente. – Mi son tanto annoiata senza di voi!

Il giovane, solleticato nel suo amor proprio, le sedette accanto e impegnò subito con lei un animato colloquio, senza punto notare che quell’animazione trafiggeva come un coltello il cuore geloso delle piccola Sofia, la quale intanto, fattasi di bragia, si sforzava di sorridere. Un tratto, lo guardò. Sofia lo fissava con occhi appassionati e pieni di sdegno; poi, trattenendo a fatica le lagrime, si alzò ed uscì dal salotto. Tutto il fuoco di Nicola si spense. Alla prima pausa del discorso intavolato, egli si alzò conturbato in viso e scappò via in cerca della ragazza.

— Come son trasparenti i segreti della gioventù! – sospirò la Drubezkoi, accennando a Nicola che usciva. – Cugini e cugine, si sa!

— Sì, – disse la contessa, dopo che fu scomparso il raggio di sole penetrato nel salotto col sorriso di quei giovani e quasi rispondendo ad una domanda che nessuno le faceva ma che assiduamente la tormentava; – quante pene, quanti affanni, per godere alla fine di vederli grandi! E anche adesso, davvero, ho più paura che contentezza. Paure, sempre paure! È quella l’età più pericolosa per le ragazze e pei giovanotti.

— Tutto dipende dall’educazione, – notò la Caraghin.

— Sì, è vero. Finora, grazie a Dio, fui sempre l’amica dei miei figli, e godo della loro piena fiducia... (Come accade a molti genitori, si figurava che i figli non avessero per lei segreti). So che sarò sempre la miglior confidente delle mie figliuole, e che Nicola, se pure ne farà delle sue... si sa, è giovane ed ha un carattere tutto fuoco... non rassomiglierà mai a cotesti scapestrati di Pietroburgo.

— Sì, bravi, eccellenti ragazzi, – confermò il conte, il quale risolveva qualunque questione intricata col trovar tutto eccellente. – E intanto, vedete, s’è incaponito ad entrar negli ussari. Che volete, cara signora!

— Ma che amore quella vostra figlioletta! Accensibile come la polvere...

— Già, come la polvere... Ha preso da me... E che voce! tuttochè mia figlia, scommetto che farà la cantante. Sarà una seconda Salomoni. Abbiamo preso per lei un maestro italiano.

— Ma non è forse troppo presto? Dicono che a quell’età la voce si sciupa.

— Eh, no, vi pare!... E dove mi mettete le nostre madri, che si maritavano a dodici e tredici anni?

— Fatto sta ch’è già innamorata di Boris! – disse la contessa, volgendo un sorriso alla madre di Boris. – Ed ecco, vedete, se io stringessi i freni, se le proibissi una cosa o l’altra, Dio sa che mi farebbero alla chetichella... Adesso invece, io so tutto, parola per parola. Tutte le sere, corre da me e mi racconta ogni cosa. Può anche darsi che a questo modo io la guasti; credo però che sia il migliore. La grande invece l’ho tenuta ristretta.

— Sì, io ho avuto tutt’un’altra educazione, – disse Vera, la figlia maggiore, sorridendo. Era una bella ragazza, eppure quel sorriso, non che renderla più avvenente, le diè un’espressione sforzata ed ingrata. Era buona, intelligente, istruita, bene educata; aveva un simpatico metallo di voce; parlava a proposito e con giudizio... Eppure, chi sa perchè, tutti la guardarono, quasi stupissero di quelle sue parole, e tutti, dal più al meno, si sentirono a disagio.

— Sempre così coi primogeniti, – disse la Caraghin. – Ci si stilla il cervello, si sta loro addosso, si vuol farne qualche cosa di straordinario.

— Eh, eh, cara signora, non serve nasconderlo! La contessa mia moglie, – osservò il conte, – è più che stata addosso alla nostra Vera. Dopo tutto, n’è venuta fuori una ragazza eccellente, – soggiunse, volgendo a Vera un’occhiata di approvazione.

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