Joanne K. Rowling
Harry Potter e il principe mezzosangue
A MACKENZIE, LA MIA BELLA FIGLIA
DEDICO IL SUO GEMELLO DI CARTA E INCHIOSTRO
NOTA ALLA TRADUZIONE ITALIANA
La traduzione di un libro tocca corde sensibilissime nel cuore e nella mente dei lettori: si tratta di passare da una lingua all’altra rispettandone «suoni e visioni» e mantenendo intatta la suggestione delle parole. In questo senso, la serie di Harry Potter ha comportato scelte editoriali molto delicate.
In Harry Potter i nomi di persone o di luoghi contengono quasi sempre un’allusione, una parodia, un gioco di parole. Molto spesso è stata mantenuta la forma inglese, perché più evocativa e immediata; altre volte si è scelta una traduzione che ricalcasse il significato dell’originale o privilegiasse l’assonanza; altre ancora un’interpretazione che rendesse la suggestione comica o fiabesca o quotidiana del contesto.
Per i nomi degli insegnanti, ad esempio, la soluzione scelta ha privilegiato un’aderenza al «carattere»del personaggio (quindi la severità di Minerva McGonagall è filtrata nel cognome McGranitt e l’aura di superiore saggezza di Albus Dumbledore si è risolta nel cognome Silente che ci è sembrato più autorevole di tutte le variazioni possibili suggerite dall’originale).
Per i nomi delle Case, la scelta si è basata sul metro linguistico e sull’assonanza, cercando di creare un ambito di fiabesco quotidiano che non a caso appartiene anche alla tradizione italiana (se pensiamo agli animali-simbolo delle contrade senesi ci accorgiamo che Grifondoro, Serpeverde, Tassorosso e Corvonero ci suonano istintivamente conosciuti).
Per il personaggio di Rubeus Hagrid, Custode delle Chiavi e dei Luoghi a Hogwarts, che nell’originale inglese parla in modo palesemente sgrammaticato, si è pensato di rendere questa sua caratterizzazione con un italiano altrettanto sgrammaticato.
Serena Daniele
CAPITOLO 1
L’ALTRO MINISTRO
Era quasi mezzanotte e il Primo Ministro stava seduto da solo nel suo ufficio, a leggere una lunga relazione che gli scivolava via dalla mente senza lasciare la minima traccia. Aspettava una chiamata dal presidente di un paese remoto e, tra il chiedersi quando quel disgraziato avrebbe telefonato e il cercare di allontanare gli spiacevoli ricordi di una settimana lunghissima, faticosa e complicata, nella sua testa non c’era molto spazio per altro. Più cercava di concentrarsi sui caratteri stampati della pagina, più chiara vedeva la faccia maligna del suo avversario politico. Questi era apparso al telegiornale quel giorno stesso non solo per elencare tutte le cose terribili successe nell’ultima settimana (come se ci fosse bisogno di ricordarle), ma anche per spiegare perché fossero, dalla prima all’ultima, colpa del Governo.
Il polso del Primo Ministro accelerò al solo pensiero di quelle accuse, perché non erano né giuste né vere. Come accidenti avrebbe potuto il Governo impedire che quel ponte crollasse? L’insinuazione che non si spendesse abbastanza per i ponti era a dir poco assurda. Quello poi aveva meno di dieci anni, e neanche i migliori esperti riuscivano a spiegare perché si era spezzato in due di netto, precipitando una decina di auto negli abissi del fiume sottostante. E come osavano sostenere che quei due efferatissimi e clamorosi omicidi fossero dovuti a una carenza di personale nella polizia? O che il Governo avrebbe dovuto prevedere l’uragano anomalo nel West Country che tanti danni aveva provocato alle persone e alle cose? Ed era colpa sua se uno dei suoi viceministri, Herbert Chorley, aveva scelto proprio quella settimana per comportarsi in modo così bizzarro da dover passare molto più tempo con la famiglia?
«Un’atmosfera sinistra è calata sul paese» aveva concluso l’avversario, nascondendo a stento un largo sorriso.
E, purtroppo, questo era perfettamente vero. Anche il Primo Ministro lo avvertiva: la gente sembrava davvero più depressa del solito. Perfino il tempo era lugubre; tutta quella nebbia gelida a metà luglio… non era giusto, non era normale…
Passò alla seconda pagina della relazione, vide quanto era lunga e decise che era un’impresa disperata. Stiracchiò le braccia sopra la testa e volse per l’ufficio uno sguardo dolente. Era una stanza piacevole, con un bel camino di marmo di fronte alle alte finestre a ghigliottina, chiuse contro il freddo del tutto fuori stagione. Con un leggero brivido, il Primo Ministro si alzò e andò a guardare la nebbia sottile che premeva contro i vetri. E in quel momento, mentre dava le spalle alla stanza, sentì un lieve colpo di tosse.
Raggelò, naso a naso con il proprio riflesso spaventato nel vetro scuro. Conosceva quella tosse. L’aveva già sentita. Si voltò molto lentamente per fronteggiare la stanza vuota.
«Sì?» disse, cercando di sembrare più spavaldo di quanto si sentisse.
Per un istante si abbandonò all’impossibile speranza che nessuno gli rispondesse. Ma subito una voce replicò, una voce volitiva e perentoria che pareva stesse leggendo un discorso scritto. Veniva — come il Primo Ministro aveva capito già dal colpo di tosse — dall’ometto simile a una rana con una lunga parrucca argentea ritratto in un piccolo, sporco dipinto a olio nell’angolo più remoto della stanza.
«Al Primo Ministro dei Babbani. Necessità di incontro urgente. Si prega di rispondere all’istante. Distinti saluti, Caramell». L’uomo del ritratto guardò il Primo Ministro con aria penetrante.
«Ehm» fu la risposta, «senta… non è un buon momento per me… sto aspettando una telefonata, sa… dal presidente del…»
«A questo si può rimediare» disse subito il ritratto.
Il Primo Ministro ebbe un tuffo al cuore. Era quello che aveva temuto.
«Ma io speravo proprio di parlare…»
«Faremo in modo che il presidente si dimentichi di chiamare. Telefonerà domani sera» concluse l’ometto. «Si prega di rispondere immediatamente al signor Caramell».
«Io… oh… molto bene» balbettò debolmente il Primo Ministro. «Sì, vedrò Caramell».
Si affrettò a raggiungere la scrivania, aggiustandosi la cravatta. Si era appena seduto e aveva appena ricomposto il volto in quella che sperava fosse un’espressione rilassata e imperturbabile, quando alte fiamme verdi si accesero nel focolare vuoto del camino di marmo. Il Primo Ministro rimase a guardare, cercando di non tradire la minima traccia di sorpresa o allarme, mentre un uomo corpulento appariva tra le fiamme, girando come una trottola. Qualche istante dopo ne uscì, calpestando un tappeto piuttosto antico e prezioso, e si spazzolò via la cenere dalle maniche del lungo mantello gessato. Aveva in mano una bombetta verde acido.
«Ah… Primo Ministro» disse Cornelius Caramell, avanzando con la mano tesa. «Sono lieto di rivederla».
Il Primo Ministro non poteva in tutta sincerità dire altrettanto, perciò non rispose. Non era affatto contento di vedere Caramell, le cui occasionali apparizioni, oltre a essere allarmanti in sé, significavano in genere l’annuncio di brutte notizie. Inoltre, Caramell era evidentemente preoccupato. Era più magro, più calvo e più grigio, e il suo volto sembrava stropicciato. Il Primo Ministro aveva già visto quei sintomi nei politici, e non promettevano mai bene.
«Come posso esserle utile?» disse, stringendo brevemente la mano di Caramell e indicandogli la più scomoda delle sedie di fronte alla scrivania.
«Non saprei da dove cominciare» borbottò Caramell. Si sedette e appoggiò la bombetta verde sulle ginocchia. «Che settimana, che settimana…»
«Pessima anche la sua?» chiese il Primo Ministro in tono sostenuto, sperando così di far capire che aveva già abbastanza grattacapi senza il contributo di Caramell.
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