Robert Jordan - Il Drago Rinato
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Si mosse verso Rand, come per spingerlo verso Callandor ; ma Rand alzò le mani... era colmo di Saidin , il dolce flusso del Potere, il nauseante disgusto della contaminazione... e impugnava una spada di fiamma rossa, una spada col marchio dell’airone sulla lama infuocata. Assunse la prima delle posizioni imparate da Lan e passò da una all’altra, come se danzasse. Il taglio della seta. L’acqua scorre a valle. Vento e pioggia. La lama di fuoco nero cozzò contro quella di fuoco rosso, con una pioggia di scintille, con il fragore di metallo incandescente fatto a pezzi.
Con movimenti sciolti, Rand tornò in posizione di guardia e cercò di non mostrare l’incertezza che all’improvviso avvertiva: anche sulla lama nera c’era un airone, così scuro da risultare quasi invisibile. Già una volta aveva affrontato un avversario che impugnava una lama marchiata a quel modo, di semplice acciaio, ed era sopravvissuto a stento. Sapeva di non avere diritto al marchio dei mastri spadaccini: l’airone era sulla spada avuta dal padre... e quando lui pensava a una spada nel proprio pugno, pensava a quella. Una volta aveva abbracciato la morte, come gli aveva insegnato il Custode; ma questa volta, lo sapeva, la morte sarebbe stata finale. Be’lal era migliore di lui, più forte, più rapido. Un vero mastro spadaccino.
Il Reietto rise, divertito, mulinando la lama; il fuoco nero ruggì, come rinfocolato dal rapido passaggio nell’aria. «Un tempo eri spadaccino più abile, Lews Therin» disse, beffardo. «Ricordi quando prendemmo quell’umile giocattolo chiamato spada e imparammo a uccidere con esso, come gli antichi tomi dicevano che un tempo aveva fatto l’uomo? Ricordi almeno una di quelle battaglie disperate, almeno una delle tue terribili sconfitte? No, naturalmente. Non ricordi niente, vero? Questa volta non hai appreso abbastanza. Questa volta, Lews Therin, ti ucciderò.» Divenne ancora più beffardo. «Forse, se prendi Callandor , farai durare la tua vita un po’ più a lungo. Un poco.»
Avanzò lentamente, quasi per dare a Rand il tempo di girarsi, di correre a impugnare Callandor , la Spada Intoccabile. Ma Rand aveva ancora forti dubbi. Solo il Drago Rinato poteva toccare Callandor. Lui aveva lasciato che lo chiamassero il Drago Rinato, per svariati motivi che a quel tempo parevano non dargli scelta. Ma era davvero il Drago Rinato? Se fosse corso a toccare Callandor , nella vita reale e non in sogno, avrebbe incontrato un muro invisibile, mentre Be’lal era libero di colpirlo alle spalle?
Affrontò il Reietto, con la spada che conosceva, la spada di fuoco creata da Saidin. E fu spinto indietro. Con La foglia cadente parò La seta bagnata. Con Il gatto danza sul muro parò Il cinghiale corre a valle. Il fiume erode la sponda gli costò quasi la testa e fu costretto a rotolare di lato, senza molta eleganza, mentre fiamma nera gli strinava i capelli, e a rialzarsi per parare La pietra cade dalla montagna. Metodicamente, deliberatamente, Be’lal lo spinse indietro, in una spirale incentrata su Callandor.
Tra le colonne echeggiarono grida, urla, clangore d’acciaio; ma Rand udì appena. Ora lui e Be’lal non erano soli, nel Cuore della Pietra. Uomini in corazza ed elmo affrontavano con la spada sagome confuse e velate che saettavano fra le colonne e vibravano colpi di punta servendosi di corte lance. Alcuni soldati formarono quadrato: frecce scagliate dalla penombra li colpirono alla gola, al viso. I soldati morirono senza abbandonare la formazione. Rand quasi non s’accorse dello scontro, anche quando le vittime cadevano a qualche passo da lui. La sua battaglia era disperata, richiedeva la massima concentrazione. Sentì un liquido tiepido colargli lungo il fianco. La vecchia ferita si era riaperta.
A un tratto inciampò, perché non aveva visto un cadavere per terra: giacque supino sul pavimento di pietra, con la schiena sopra l’astuccio del flauto.
Be’lal alzò la spada di fuoco nero, ringhiando. «Prendila! Prendi Callandor e difenditi! Prendila, o ti uccido subito! Se non la prendi, ti uccido!»
«No!»
Perfino Be’lal sobbalzò al tono di comando di quella voce femminile. Arretrò fuori portata dell’arco descritto dalla spada di Rand e girò la testa; con una ruga fissò Moiraine che avanzava a passi decisi tra la mischia, occhi fissi sul Reietto, senza badare alle grida dei morenti.
«Credevo che tu fossi già sistemata per bene, donna» disse Be’lal. «Non importa. Sei soltanto un piccolo fastidio. Una mosca. Una zanzara. Ti chiuderò in gabbia con le altre e t’insegnerò a mettere al servizio dell’Ombra i tuoi miseri poteri» concluse, con una risata sprezzante, e alzò la mano libera.
Moiraine non si era fermata, non aveva rallentato. Era a non più di trenta passi da lui. Quando Be’lal mosse la mano, alzò anche lei le mani.
Il Reietto mostrò un istante di sorpresa ed ebbe il tempo di gridare: «No!»
Una barra di fuoco bianco, più ardente del sole, schizzò dalle mani dell’Aes Sedai: una verga incandescente che bandì ogni ombra. Davanti a essa, Be’lal divenne una sagoma di particelle tremolanti, puntini che danzarono nella luce per meno d’un battito di cuore e si consumarono ancora prima che il suo grido svanisse.
Mentre la barra svaniva, nella sala scese il silenzio, rotto solo dai gemiti dei feriti. Lo scontro era cessato di colpo; uomini velati e uomini in corazza erano rimasti ugualmente come intontiti.
«Su di una cosa aveva ragione» disse Moiraine, gelida e serena come se stesse in un prato. «Devi prendere Callandor. Intendeva ucciderti per strappartela, ma ti appartiene per diritto di nascita. Sarebbe molto meglio che tu sapessi più cose, prima di stringerne l’elsa, ma ormai sei arrivato a questo punto e non c’è più tempo per imparare. Prendila, Rand.»
Riccioli di fulmini neri si arricciarono intorno a lei. Moiraine urlò, mentre la sollevavano, la gettavano a terra, la mandavano a scivolare come sacco sul pavimento e a fermarsi contro una colonna.
Rand fissò il punto da dove erano arrivati i fulmini. Lassù, vicino alla cima delle colonne, c’era un’ombra più intensa, una tenebra che rendeva chiare come cielo di mezzodì tutte le altre ombre; da quella tenebra due occhi di fuoco erano puntati su di lui.
Lentamente l’ombra discese, si risolse in Ba’alzamon, vestito di nero assoluto, come il nero dei Myrddraal. Eppure quel nero non era così intenso come l’ombra incollata a lui. Ba’alzamon rimase sospeso in aria, a due spanne dal pavimento, e guardò Rand, con rabbia feroce. «Due volte in questa vita ti ho offerto la possibilità di servirmi da vivo» disse. Dalla sua bocca schizzarono fiamme e ogni parola parve rombo di fornace. «Due volte hai rifiutato e mi hai ferito. Ora, da morto, servirai il Signore della Tomba. Muori, Lews Therin Kinslayer. Muori, Rand al’Thor. Per te è l’ora di morire! Prendo la tua anima!»
Mentre Ba’alzamon protendeva la mano, Rand si rialzò e si lanciò disperatamente verso Callandor , ancora scintillante a mezz’aria. Non sapeva se l’avrebbe raggiunta, se avrebbe potuto toccarla, ma era sicuro che rappresentasse la sua unica possibilità.
Il colpo di Ba’alzamon lo raggiunse mentre saltava, lo colpì internamente, uno strappo e un accartocciamento, liberò qualcosa, cercò di strappare via una parte di lui. Rand urlò. Si sentì sul punto di crollare come sacco vuoto, rovesciato come un guanto. Il dolore al fianco, la ferita ricevuta a Falme, era quasi benvenuto, una cosa a cui aggrapparsi, un promemoria di vita. Serrò convulsamente la mano. Sull’elsa di Callandor.
L’Unico Potere lo inondò, torrente incredibile, e si riversò da Saidin nella spada. La lama di cristallo brillò più intensamente del fuoco di Moiraine. Era impossibile guardarla, impossibile capire che fosse ancora una spada: si vedeva solo la luce che gli brillava in pugno. Rand lottò contro il flusso, contro l’implacabile marea che minacciava di portarlo via, di portare via la sua reale essenza, ondeggiando in equilibrio sul punto d’essere disperso come sabbia di fronte a un diluvio improvviso. Con infinita lentezza l’equilibrio si consolidò. Rand aveva ancora l’impressione di trovarsi in bilico, scalzo su di una lama di rasoio sospesa sopra un baratro senza fondo, tuttavia qualcosa gli diceva che non poteva aspettarsi situazione migliore. Per incanalare una tale quantità di potere doveva danzare con gli stessi movimenti precisi con cui eseguiva le figure della scherma.
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