Robert Jordan - Il Drago Rinato

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Robert Jordan

Il Drago Rinato

Dedicato a

James Oliver Rigney, Sr.

(1920-1988)

M’insegnò a seguire sempre il sogno e a viverlo, una volta raggiunto.

Il suo sentiero sarà molteplici sentieri. Chi potrà conoscere il suo nome? Egli nascerà fra noi molte volte, sotto molti aspetti, come già nacque e come sempre nascerà, per infinite volte. Affilata lama d’aratro sarà il suo avvento, rivolterà in solchi le nostre vite, ci strapperà da dove giacciamo in silenzio. Egli è colui che spezza legami; colui che forgia catene. Colui che crea futuri; colui che cambia forma al destino.

dai Commentari sulle profezie del Drago di Jurith Dorine, Destra della regina di Almoren 742 d.F., Epoca Terza

PROLOGO

Fortezza della Luce

Pensieroso, Pedron Niall lasciò vagare lo sguardo nella sala privata delle udienze, senza realmente vederla. Ai suoi occhi, gli arazzi sbrindellati, un tempo stendardi dei suoi nemici, si confondevano con i pannelli di legno scuro che coprivano pareti di pietra di notevole spessore perfino lì, nel cuore della Fortezza della Luce. L’unica sedia — massiccia, dall’alto schienale, quasi un trono — era per lui invisibile quanto i tavolini sparsi che completavano l’arredamento. Dalla sua mente era svanito perfino l’uomo dal manto bianco che, in ginocchio sull’intarsio a forma di sole raggiato nelle larghe assi del pavimento, frenava a stento l’impazienza, anche se pochi l’avrebbero trascurato con altrettanta noncuranza.

L’uomo, Jaret Byar, aveva avuto il tempo di lavarsi, prima d’essere condotto alla presenza di Niall, ma mostrava sull’elmo e sulla corazza l’opacità e le ammaccature dovute al viaggio e all’uso. I suoi occhi, scuri e infossati, splendevano di luce febbrile nel viso magro da cui pareva avessero raschiato ogni brandello di carne superflua. Byar non portava spada — a nessuno era permesso portare armi, in presenza di Niall — ma pareva sul punto di scattare in un impeto di violenza, come segugio in attesa d’essere sguinzagliato.

Le braci ardenti nei due lunghi focolari alle estremità della stanza tenevano a bada il freddo del tardo inverno. A dire il vero, quella era una comune stanza da soldati, dove ogni mobile era fatto a regola d’arte, ma senza esagerate raffinatezze... a parte il sole raggiato: alla nomina, ogni Lord Capitano Comandante dei Figli della Luce vi trasferiva il proprio arredamento. L’intarsio raffigurante il sole raggiato, fatto con oro ricavato da monete, era stato consumato da generazioni di postulanti, sostituito, di nuovo consumato. Quell’oro sarebbe bastato a comprare nell’Amadicia un qualsiasi possedimento e relativa patente di nobiltà. Per dieci anni, Pedron Niall l’aveva calpestato senza pensarci due volte, proprio come non badava al sole ricamato sul petto della veste bianca.

Finalmente riportò lo sguardo sul tavolino ingombro di mappe, documenti, rapporti: fra le carte, c’erano anche tre disegni arrotolati. Con riluttanza ne prese uno a caso: tutt’e tre mostravano lo stesso soggetto, anche se disegnato da mano diversa.

Pedron Niall aveva pelle sottile come pergamena raschiata, tesa per l’età sopra un corpo che pareva tutt’ossa e tendini, ma non dava la minima impressione di fragilità: nessuno arrivava alla sua carica, se non aveva i capelli bianchi e se non si dimostrava duro quanto le pietre della Cupola della Verità. Tuttavia, a un tratto fu consapevole della tensione dei tendini sul dorso della mano che reggeva il disegno e della necessità di agire in fretta. Il tempo cominciava a mancare. Il suo tempo: e lui doveva fare in modo che fosse sufficiente.

Si costrinse a srotolare per metà il foglio di pergamena, quanto bastava a vedere la faccia che gli interessava. Il disegno a gessetti, ora un po’ sbavato per il trasporto in bisacce da sella, raffigurava un giovanotto dagli occhi grigi e dai capelli rossicci. Il giovane pareva d’alta statura; a parte capelli e occhi, avrebbe potuto girare in qualsiasi città senza destare commenti.

«Questo... questo ragazzo si proclama il Drago Rinato?» borbottò Niall.

Il Drago. Al pensiero, rabbrividì, per l’inverno e per l’età avanzata. Lews Therin Telamon era chiamato il Drago, quando aveva condannato alla pazzia e alla morte ogni uomo in grado d’incanalare l’Unico Potere. Erano trascorsi più di tremila anni, da quando l’orgoglio degli Aes Sedai e la Guerra dell’Ombra avevano decretato la fine dell’Epoca Leggendaria. Tremila anni: ma la profezia e la leggenda mantenevano vivo il ricordo... almeno nella sostanza, se non nei particolari, andati perduti. Lews Therin: il Kinslayer, l’Assassino del proprio sangue. L’uomo che aveva dato inizio alla Frattura del Mondo, quando dei pazzi in grado d’attingere al potere che muove l’universo avevano livellato montagne e sprofondato nei mari antiche nazioni, quando l’intera faccia della terra era stata cambiata e i superstiti erano fuggiti come animali selvatici di fronte all’incendio. La Frattura era terminata soltanto alla morte dell’ultimo Aes Sedai maschio, quando i resti sparpagliati della razza umana avevano cominciato la ricostruzione dalle macerie... dove macerie restavano. Era impressa a fuoco nel ricordo, grazie alle storie che le madri raccontavano ai figli. E la profezia diceva che il Drago sarebbe nato di nuovo.

Byar fraintese lo spirito del borbottio di Niall e lo considerò una domanda. «Sì, lord Capitano Comandante» rispose. «Si è proclamato. Migliaia di persone si sono già schierate a suo favore. Nel Tarabon e nell’Arad Doman, già in guerra fra loro, è scoppiata la guerra civile. Si combatte per tutta la piana di Almoth e a Capo Toman: tarabonesi contro domanesi contro Amici delle Tenebre che vogliono il Drago... almeno, si combatteva, finché l’inverno non ha raffreddato gran parte degli ardori. Non ho mai visto la guerra diffondersi così rapidamente. Come fiamme di lanterna scagliata in un fienile. Forse la neve le ha soffocate un poco, ma col ritorno della primavera divamperanno ancora più furiose.»

Niall lo interruppe. Già due volte si era fatto raccontare la storia. In parte l’aveva appresa da altre fonti e su alcuni aspetti ne sapeva più di Byar; ma ogni volta che l’ascoltava, si sentiva di nuovo pungolato. «Geofram Bornhald e mille Figli sono morti» disse. «Per mano delle Aes Sedai. Ne sei sicuro, Figlio Byar?»

«Sicurissimo, lord Capitano Comandante. Dopo una scaramuccia sulla strada per Falme, ho visto due streghe di Tar Valon. Ci sono costate più di cinquanta uomini, prima che le riempissimo di frecce.»

«Sei sicuro... proprio sicuro... che fossero Aes Sedai?»

«Il terreno eruttava sotto i nostri piedi» confermò Byar, deciso e convinto. Non era il tipo che possedesse molta immaginazione: la morte fa parte della vita dei soldati, in qualsiasi modo si presenti. «A cielo sereno, i fulmini hanno colpito i nostri ranghi. Quale altra spiegazione può esserci?»

Niall annuì, torvo. Dalla Frattura del Mondo non erano più esistiti Aes Sedai maschi, ma le donne che si fregiavano tuttora del titolo erano già una brutta gatta da pelare. Parlavano tanto dei loro Tre Giuramenti: non dire parola che non fosse vera, non fabbricare arma con cui un uomo ne uccidesse altri, usare l’Unico Potere solo contro gli Amici delle Tenebre o la Progenie dell’Ombra. Ma ora avevano mostrato che quei giuramenti erano in realtà menzogne: Niall aveva sempre saputo che nessuno avrebbe desiderato il potere di cui le Aes Sedai disponevano, se non per sfidare il Creatore... e questo significava servire il Tenebroso.

«Non sai niente di coloro che si sono impadroniti di Falme e hanno ucciso metà d’una mia legione?» domandò.

«Il lord Capitano Bornhald disse che si chiamano Seanchan» rispose Byar, impassibile. «Disse che sono Amici delle Tenebre. E la sua carica li mise in rotta, anche se quelli lo uccisero.» S’infervorò. «C’erano molti profughi di Falme. Tutti coloro con cui ho parlato sono stati d’accordo nel dire che gli stranieri si erano dati alla fuga. Per merito del capitano Bornhald.»

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