Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
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- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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Poi la portò in dono a Excelsius, perché ne fosse il Re e signore in perpetuo, e per prima cosa gli mostrò dove fossero l’input e l’output del suo nuovo regno, e come programmarvi le guerre, spegnere le ribellioni, incassare le tasse, e gli insegnò i punti critici e gli stadi di transizione di quella società micro-miniaturizzata — in altre parole, i massimi e minimi dei golpe e delle rivoluzioni — e spiegò così bene ogni cosa, che il Re, vecchio esperto di tirannie, capì subito le istruzioni, e senza esitare, sotto gli occhi stessi del costruttore, provò a emanare qualche proclama, muovendo nel modo corretto le manopole di controllo, a forma di aquile imperiali e di leoni reali.
I proclani annunciavano lo stato di emergenza, la legge marziale, il coprifuoco, e una leva speciale. Dopo che nel regno fu passato un anno, che per il Re e per Trurl equivaleva a meno di un minuto, con un atto di grande magnanimità — ossia con pochi tocchi sulle leve di comando — Excelsius condonò una pena di morte, congedò i soldati di leva e si degnò di annullare lo stato di emergenza… e subito un enorme grido di gratitudine, simile allo squittio di un topolino preso per la coda, si levò dalla scatola, e attraverso il suo coperchio, curvo come una lente d’ingrandimento, si poté vedere, sulle strade polverose e lungo il greto dei pigri fiumi che riflettevano le poche nubi del cielo, la felicità della gente, che lodava l’insuperabile benevolenza del sovrano.
E così, anche se all’inizio il dono di Trurl gli era parso un insulto, poiché il regno era troppo piccolo, poco più di un giocattolo per bambini, il monarca vide che, grazie allo spesso coperchio-lente, tutto quello che c’era all’interno finiva per sembrare grande; forse capiva anche, confusamente, che la dimensione, in quel caso, non era importante, perché i governi non si misurano in metri e in chilogrammi, e le emozioni sono sempre le stesse, sia quando siano i giganti, sia quando siano i nani a provarle… e così ringraziò il costruttore, anche se un po’ rigidamente. Chissà, forse avrebbe preferito farlo arrestare e torturare a morte, per stare più tranquillo: così avrebbe soffocato sul nascere ogni pettegolezzo sul volgare stagnino ambulante che aveva donato un regno a un grande monarca.
Excelsius era abbastanza intelligente, comunque, per capire che sarebbe stato impossibile, perché sarebbe stato più facile per un branco di pulci impadronirsi del cane di cui erano ospiti che per l’esercito reale impadronirsi di Trurl. Così, con un altro cenno del capo e senza alcuna cordialità, prese la scatola contenente il regno e la portò nella sua umile capanna da esule.
E mentre all’esterno i giorni abbaglianti si alternavano alle notti buie, in accordo con il ritmo di rotazione dell’asteroide, il Re — riconosciuto dai suoi sudditi come il più grande del mondo — regnò diligentemente, ordinando questo, vietando quello, punendo, premiando… continuando a instillare nei suoi minuscoli sudditi la massima fedeltà per la Corona, una sorta di venerazione per il loro Re.
Quanto a Trurl, fece ritorno a casa e riferì all’amico Klapaucius, non senza orgoglio, come avesse messo a frutto le sue capacità di costruttore per soddisfare le aspirazioni autocratiche di Excelsius tutelando, al tempo stesso, le aspirazioni democratiche dei suoi ex-sudditi, ma Klapaucius, invece di complimentarsi con lui, lo guardò con aria di rimprovero.
«Ho capito bene?» chiese, infine. «Mi hai dato a quel despota brutale, a quello schiavista nato, a quel sadico torturatore, un’intera civiltà da dominare e tiranneggiare per sempre? E mi parli delle grida di gioia suscitate da una provvisoria sospensione di alcuni dei suoi crudeli decreti? Trurl, come hai potuto fare una cosa simile?»
«Tu stai scherzando!» esclamò Trurl. «Senti, l’intero regno sta in una scatola di 70 centimetri per 50 per 60… è solo un modello…»
«Un modello di che?»
«Che cosa intendi dire, ’di che’? Di una civiltà, naturalmente, a parte il fatto che è cento milioni di volte più piccolo».
«E come puoi sapere che non esistano civiltà cento milioni di volte più grandi della nostra? E se ci fossero, la nostra sarebbe solo un modello? E che importanza possono avere le dimensioni? In quel tuo regno-scatola, il viaggio dalla capitale a uno degli angoli non richiede parecchi mesi… per i suoi abitanti? E non soffrono, non conoscono la fatica del lavoro, non muoiono?»
«Un momento» obiettò Trurl. «Sai bene che tutti quei processi avvengono perché li ho programmati, e di conseguenza non sono genuini».
«Non sono genuini? Intendi dire che la scatola è vuota, e che le sfilate, le torture e le decapitazioni sono solo un’illusione?»
«Non sono un’illusione, perché sono reali, anche se unicamente come fenomeni di statura microscopica, da me prodotti lavorando sulla materia che li compone» spiegò Trurl. «Il fatto è che tutte quelle nascite, quegli amori, atti d’eroismo e tradimenti sono soltanto piccoli moti di gruppi di elettroni nei circuiti abilmente disposti da me, grazie alla mia capacità di creare sistemi non lineari…»
«Basta con queste vanterie, non un’altra parola!» ribatté Klapaucius. «Sono processi che si auto-organizzano o no?»
«Certo che si auto-organizzano!»
«E hanno luogo tra nubi infinitesimali di cariche elettriche?»
«Lo sai anche tu: è così» rispose Trurl.
«E gli eventi fenomenologici della nascita, della morte, delle battaglie sono generati dalla concatenazione di variabili reali?»
«Certo».
«E non siamo anche noi, se ci esaminiamo fisicamente, meccanicisticamente, statisticamente e meticolosamente, nient’altro che piccoli movimenti di nubi di elettroni? Cariche positive e negative disposte nello spazio? E la nostra esistenza non è il risultato di collisioni subatomiche e il gioco reciproco di particelle, anche se noi percepiamo questi movimenti molecolari come paura, desiderio o meditazione? E quando sogni a occhi aperti, che cosa c’è nel tuo cervello, se non un’algebra binaria di circuiti chiusi e aperti, un continuo spostamento di elettroni?»
«Via, Klapaucius» protestò Trurl «paragoneresti la nostra esistenza a quella di un modellino di regno chiuso in una scatola di vetro? No, davvero, la cosa è andata troppo oltre! lo ho voluto soltanto costruire una simulazione di stato, un modello cibernetico perfetto, niente di più!»
«Trurl! La nostra perfezione è la nostra maledizione, perché attira su ciascuna nostra impresa un’infinità di conseguenze imprevedibili!» disse Klapaucius, con voce ferma. «Se un imitatore imperfetto, volendo infliggere dolore, si costruisse un rozzo idolo di legno o di cera, e poi gli desse un’approssimativa somiglianza con una creatura senziente, la sua tortura della statua sarebbe una ben squallida presa in giro!
«Ma considera un’intera serie di successivi perfezionamenti! Considera il secondo scultore della serie, che costruisce una bambola con un registratore nella pancia: una bambola che geme sotto i suoi colpi; poi considera una bambola che, quando viene percossa, implora di avere pietà di lei: questa non è più una semplice statua, ma un sistema omeostatico; infine, considera una bambola che piange, una bambola che perde sangue, una bambola che teme la morte, anche se desidera la pace che solo la morte può offrire!
«Non vedi che, se l’imitatore è perfetto, lo è anche l’imitazione, e l’apparenza diventa vera, la finzione diventa realtà! Trurl, tu hai preso un numero incommensurabile di creature capaci di soffrire e le hai lasciate per sempre nelle mani di un perfido tiranno… Trurl, hai commesso un crimine orrendo!»
«Sofismi!» gridò Trurl, alzando il tono di voce perché sapeva che l’amico aveva ragione. «Gli elettroni non si muovono soltanto nel nostro cervello, ma anche nei circuiti di amplificazione di un giradischi, quando legge un disco fonografico; eppure questo non dimostra niente, e certo non offre una base per simili analogie ipostatiche! I sudditi di quel mostruoso Excelsius muoiono effettivamente, quando sono decapitati, e piangono e combattono e s’innamorano, perché è così che ho fissato i parametri, ma è impossibile dire, Klapaucius, che sentano qualcosa nel processo: gli elettroni che si muovono nelle loro teste non hanno niente da dirci a questo proposito!»
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