Stanislaw Lem - Cyberiade
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- Название:Cyberiade
- Автор:
- Издательство:Marcos y Marcos
- Жанр:
- Год:2003
- Город:Milano
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Infine, a causa di tutte quelle letture, ebbe l’impressione che, davanti ai suoi cento occhi, tutto si fosse fatto buio: a gran voce gridò di averne abbastanza, ma le informazioni l’avevano così circondato e avvolto, con le loro migliaia di miglia di nastri di carta, che non poteva più muoversi ed era costretto a leggere di Kipling e di come avrebbe scritto l’inizio del «Secondo libro della giungla» se avesse avuto il mal di pancia, e cosa pensano le balene nubili quando gli anni cominciano ad accumularsi, e uno studio completo del corteggiamento della mosca carnaria, e come riparare un vecchio sacco a pelo militare, e cos’è un passo d’uomo, e perché ci va la maiuscola in acqua di Colonia e non in bagno turco, e il numero record di lividi contati sulla stessa persona.
Poi una lunga lista delle differenze tra àncora e ancora, lèttone e lettone, da non confondere con Roma e toma, e tutte le parole che fanno rima con spinaci, e quali insulti il Papa Um di Pendora scagliò contro l’Antipapa Malum di Forchino, e come si suona l’autopettine a otto note. Disperato, cercò di liberarsi dalle spire della carta, ma all’improvviso dovette fermarsi, perché, anche se ne stracciava quanta più poteva, aveva troppi occhi e non poteva impedire che cadesse, sotto alcuni di essi, qualche notizia o qualche fatterello, e di conseguenza era costretto a leggere limiti e doveri della Polizia dell’Indocina, e perché i Celenteridi di Fluxis dicono sempre di avere bevuto troppo, finché non fu costretto a chiudere gli occhi e rimase a sedere immobile e rigido, sopraffatto da quel grande afflusso di informazioni, mentre il Demone continuava ad avvolgerlo in nuove strisce di carta.
E ancor oggi è seduto laggiù, in fondo al suo mucchio di sacchi e di casse, sommerso da una montagna di carta, e nella penombra della cantina la penna dalla punta di diamante continua ancora a muoversi e a guizzare come una pura fiamma, per scrivere tutto quel che il Demone di Seconda Classe estrae dalla danza degli atomi, nell’aria rancida del vecchio bidone; e così il povero Pugg, schiacciato sotto la valanga di tutte quelle conoscenze, apprenderà dettagli sempre nuovi sui risciò, le pigioni e gli scarafaggi, e anche sul suo destino — quello che è stato qui raccontato — perché anch’esso è scritto in qualche parte del nastro… esattamente come le storie, le leggende e le profezie di tutte le creature dell’universo, e così sarà finché tutte le stelle non si saranno spente. E per lui non c’è speranza di sottrarsi alla lettura, perché questa è la severa condanna che gli hanno inflitto i costruttori per il suo assalto piratesco… a meno che, naturalmente, la penna di diamante che scrive le informazioni non sia costretta a fermarsi perché è finita la carta.
LA SETTIMA FATICA OVVERO COME TRURL, A CAUSA DELLA SUA PERFEZIONE, FINI’ PER OTTENERE IL CONTRARIO DI QUELLO CHE CERCAVA
L’universo è illimitato ma non infinito., e perciò un raggio di luce, viaggiando in qualsiasi direzione, dopo miliardi di secoli finirà per ritornare al punto di partenza, se è abbastanza intenso per farlo; e lo stesso accade per le chiacchiere, che volano da stella a stella e fanno il giro completo di tutti i pianeti.
Un giorno, Trurl sentì magnificare le virtù di due grandi costruttori-benefattori di un lontano pianeta, così saggi ed esperti da non avere uguali; colpito da questa notizia, corse subito da Klapaucius, il quale gli spiegò che non si trattava di due misteriosi rivali, ma di loro stessi, perché la loro fama aveva ormai fatto il giro dello spazio.
La fama, però., ha il difetto di non parlare mai degli insuccessi di una persona, neanche quando gli insuccessi sono dovuti alla sua grande perfezione. E per chi ne dubitasse, ecco la storia della settima e ultima fatica di Trurl — effettuata senza Klapaucius, che era rimasto a casa per certi suoi urgenti motivi di famiglia.
A quell’epoca, Trurl era divenuto estremamente vanitoso e accoglieva come cose normalissime, e addirittura a lui dovute, tutti gli onori e gli attestati di venerazione che gli venivano tributati. Faceva rotta verso nord, sulla sua nave, perché era una regione che non conosceva ancora, e vola
va nel vuoto da un certo tempo, passando accanto a sfere piene dei clamori della guerra e ad altre che avevano ormai raggiunto la pace perfetta della distruzione, quando all’improvviso scorse un minuscolo pianeta, anzi, più un frammento di materia vagante che un pianeta.
Sulla superficie di quel pezzo di roccia, qualcuno correva avanti e indietro, saltando e agitando le braccia in modo assurdo. Stupito da una così totale solitudine e preoccupato da quei selvaggi gesti di disperazione, forse di rabbia, Trurl si affrettò ad atterrare.
Venne ricevuto da una persona di tremenda alterigia, tutta ricoperta di iridio e di vanadio, e con un gran numero di decorazioni che tintinnavano e sferragliavano, la quale si presentò come Excelsius il Tartarico, signore di Pancreonia e Cyspendora; gli abitanti di quei due regni, in un accesso di follia regicida, avevano cacciato Sua Altezza dal trono e l’avevano esiliato su quell’asteroide vuoto, che andava eternamente alla deriva fra le correnti gravitazionali e le onde elettromagnetiche più flebili.
Conosciuta a sua volta l’identità del visitatore, il monarca deposto cominciò a insistere perché Trurl — che dopotutto era una specie di professionista, quando si trattava di buone azioni — lo riportasse immediatamente alla posizione precedente. Al pensiero di un simile rovesciamento, negli occhi del monarca si accese la fiamma della vendetta; con le dita di ferro, strinse l’aria, come se già pregustasse di afferrare per la gola i suoi amati sudditi.
Ora, Trurl non aveva alcuna intenzione di fare quello che gli chiedeva Excelsius, perché avrebbe portato infiniti inali e sofferenze, eppure, allo stesso tempo, desiderava confortare il Re umiliato. Dopo qualche minuto di riflessione, giunse a concludere che, nonostante l’apparente contraddizione, non tutto era perduto, perché era possibile soddisfare la richiesta del Re senza far correre rischi ai suoi ex-sudditi. Così, rimboccatosi le maniche e facendo appello a tutta la sua abilità di costruttore, Trurl fabbricò al Re un intero regno.
Un regno con città, fiumi, montagne, foreste e ruscelli, un cielo coperto di nuvole, soldati pieni di coraggio, cittadelle, castelli e alcove di dame; e c’erano anche mercati chiassosi e pieni di colori che splendevano al sole, giornate piene di lavoro che spezzava la schiena, notti piene di danze e di canti che si protraevano fino all’alba, e l’allegro clangore delle spade.
Inoltre, Trurl si ricordò di mettere, nel regno da lui costruito, una favolosa capitale, tutta marmo e alabastro, con un consiglio di saggi dalle lunghe barbe, con palazzi d’inverno e palazzi d’estate, congiure, cospiratori, fanatici religiosi e falsi testimoni, infermiere e informatori, tiri di magnifici cavalli, piume rosse che si agitavano al vento; poi rallegrò l’atmosfera con fanfare d’argento e ventun cannonate a salve in segno di saluto, vi aggiunse il giusto numero di traditori e di eroi, vi unì un pizzico di profeti e di veggenti, con un messia e un grande poeta ciascuno.
A quel punto si chinò sulla sua costruzione e la mise in moto, effettuando con molta abilità — grazie agli strumenti microscopici di cui si serviva — le ultime correzioni, e alle donne di quel regno diede la bellezza, agli uomini un temperamento cogitabondo e un’aria imbronciata quando bevevano, ai burocrati arroganza e servilismo, agli astronomi un trascinante entusiasmo per le stelle e ai bambini una grande capacità di fare chiasso. E il tutto, una volta montato e messo a punto, stava in una scatola, e neppure una scatola molto grande, ma proprio delle dimensioni giuste per spostarla senza difficoltà.
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