Arkadi Strugatzki - È difficile essere un dio

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La repressione impazza ad Arkanar, nel paesaggio si stagliano le forche.
Il Re ha messo al bando tutti gli intellettuali.
Gli studiosi inviati dal pianeta terra, ormai pacifico ed evoluto,  cercano di confondersi tra gli abitanti di Arkanar, studiano, osservano, trasmettono informazioni.
Intervenire? Creare forzatamente nuovi equilibri, nuove alleanze?
Funzionerebbe? Sarebbe giustificabile eticamente?
Com'è difficile essere un dio!

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Intanto, Frate Aba aveva recuperato la calma.

«Mi sembra che lei non si attenga al punto» disse sorridendo. «Cosa ne pensa, Don Reba?»

«Ha ragione, come sempre» rispose lui. «Mio nobile signore, è mai stato a Soan?»

«Sì».

«Perché?»

«Per frequentare l’Accademia delle Scienze».

«Strana occupazione per un giovane della vostra condizione».

«È quello che penso anch’io».

«Ed è in buoni rapporti con il giudice supremo di Soan, Don Kondor?»

Rumata cominciò a diventare sospettoso; la cosa puzzava.

«È un vecchio amico di famiglia».

«Un uomo di grande valore, no?».

«Una persona stimabilissima».

«È al corrente del fatto che Don Kondor fa parte della cospirazione contro Sua Maestà il Re?»

Rumata sporse impercettibilmente il mento.

«Prima lavate i vostri panni sporchi, Don Reba» disse altezzosamente. «Per quanto riguarda noi, la vecchia nobiltà della capitale, tutti questi soaniani e irukani, così come gli arkanariani, sono e saranno soltanto vassalli della corona imperiale!»

Incrociò le gambe e si voltò.

Don Reba l’osservò pensosamente.

«Lei è ricco, Don Rumata?»

«Potrei comprare tutta Arkanar, se solo mi saltasse in mente di farlo. Ma la spazzatura non mi interessa».

Il ministro respirò profondamente.

«Il cuore mi sanguina» disse «al pensiero di essere costretto a recidere un ramo tanto insigne di un lignaggio così famoso e nobile. Sarebbe quasi un delitto, se non fossi spinto a farlo per tutelare gli interessi dello Stato».

«Non si preoccupi tanto degli interessi dello Stato. Salvate la pelle, piuttosto» disse Rumata.

«Ha ragione» rispose Don Reba, e schioccò le dita.

Rumata contraeva e rilasciava i muscoli alternativamente. Il suo corpo apparentemente funzionava di nuovo. Da dietro le tende sbucarono di nuovo tre monaci, con la stessa incredibile abilità che rivelava una grande esperienza.

Circondarono Frate Aba, che continuava a sorridere, e gli afferrarono le braccia, torcendogliele dietro la schiena.

«Ahhh!» urlò lui, con il viso tondo contratto dal dolore.

«Svelti, sbarazzatevene!» ordinò Don Reba.

Il grassone resisteva furiosamente agli uomini che lo trascinavano dietro le tende.

Lo si sentiva urlare e gemere. Poi improvvisamente emise un grido con una voce strana, irriconoscibile, e finalmente tutto tornò tranquillo.

Don Reba si alzò e scaricò cautamente la balestra. Rumata, perplesso, seguiva con gli occhi i suoi movimenti. Don Reba cominciò a camminare su e giù, lentamente, come perso in profonde riflessioni, grattandosi la schiena con la freccia.

«Bene, bene» mormorò, quasi con tenerezza, «perfetto…» Sembrava essersi completamente dimenticato della presenza di Rumata. Continuò a camminare sempre più veloce, facendo roteare la freccia. Poi si fermò di colpo accanto alla scrivania, gettò via la freccia, si sedette, sorrise improvvisamente e disse: «Bene, che ne dite? Nessuno dei due si è difeso molto. Non credo che con voi sarà così facile».

«Già» disse Rumata pensosamente.

«Va bene, allora. Adesso facciamo quattro chiacchiere, Don Rumata. O lei non è Rumata? E forse neppure don? Cosa ne dice?»

Rumata tacque e l’osservò attentamente. L’uomo era pallido, e sul naso aveva delle venuzze rosse. Tremava quasi per l’emozione, come se fosse stato sul punto di applaudire, gridando: «Lo sapevo! Lo sapevo!» «Non sai un bel niente, cane» pensò Rumata. «E anche se scoprissi qualcosa, non ci crederesti mai. Avanti, parla. Ti sto ascoltando».

«Sto ascoltando» disse Rumata.

«Non è affatto Don Rumata» spiegò Don Reba. «Lei è un usurpatore». Lo guardò seriamente negli occhi. «Rumata di Estor è morto cinque anni fa, ed è stato seppellito nella cripta di famiglia. I santi da allora hanno calmato la sua anima ribelle e, con tutto il rispetto, non molto pura. Allora? Confessa o le serve un aiuto?»

«Lo confesso. Mi chiamo Rumata di Estor, e non sono abituato a vedere messe in dubbio le mie parole».

«Ho voglia di seccarti un po’«pensò Rumata. «Attento, si comincia».

«Vedo che dovremo continuare la conversazione altrove» disse Don Reba in tono minaccioso. Il suo volto cambiò espressione. Il sorriso cortese sparì, le labbra si assottigliarono. Era strano, quasi incredibile: perfino la fronte cominciava a contrarsi.

«Sì» pensò Rumata. «È impossibile spaventare un uomo simile». «Soffrite di emorroidi, vero?» gli chiese sollecito.

Qualcosa balenò in fondo agli occhi di Don Reba, ma non batté ciglio. Fece finta di non aver sentito.

«Avete trattato malissimo Budach» continuò Rumata. «È un medico eccellente. O meglio, lo era…» aggiunse.

Per un altro istante, gli occhi del ministro brillarono di nuovo. «Aha» si disse Rumata. «Presumibilmente, Budach è ancora vivo…» Si sedette più comodamente, allacciando le mani intorno alle ginocchia.

«Si rifiuta di confessare» disse Don Reba.

«Che cosa?».

«Di essere un usurpatore!»

«Onorevole Don Reba» disse Rumata, con il tono indignato di un maestro di scuola. «Simili accuse di solito dovrebbero essere sorrette da prove concrete! Lei mi insulta!»

Il viso di Don Reba assunse un’espressione dolce.

«Mio caro Don Rumata» disse «mi perdoni se continuo a usare questo nome, per il momento. In genere, non ho l’abitudine di dimostrare alcunché. La prova viene da là, dalla Torre della Gioia. A questo scopo tengo al mio servizio degli specialisti, esperti e ben pagati, che lavorano con il tritacarne di san Michele, con le armi della forza divina, i guanti del Santo Martire Tata, o, per esempio, il posto a sedere, anzi, la sedia di ferro di Totz. Con questi mezzi possono provare qualunque cosa. Che Dio esiste, o che non esiste. Che gli uomini camminano sulle mani o addirittura sui fianchi. Mi capisce? Forse non lo sa, ma ottenere confessioni è oggetto di una scienza vera e propria. Ragioni un attimo: perché mai dovrei cercare di provare quello che già so?

Inoltre, dopo che avrà confessato non le sarà fatto alcun male…»

«Io non ho paura del male, ma lei sì» lo interruppe Rumata.

Don Reba rifletté un attimo.

«Bene» concluse. «Sembra proprio che dovrò cominciare. Esaminiamo in che modo Rumata di Estor si è distinto nei cinque anni in cui ha soggiornato nel regno di Arkanar. Dopo di che mi spiegherete tutto. D’accordo?»

«Non faccio mai promesse avventate. Ma quello che ha da dire mi interessa».

Don Reba cominciò a frugare nella scrivania, estrasse un fascio di carte e le esaminò aggrottando la fronte.

«Sarà senz’altro al corrente» disse con un sorriso «che in qualità di ministro della Sicurezza Interna ho preso alcuni provvedimenti, nell’interesse della Corona, contro i cosiddetti topi di biblioteca, studiosi e altri elementi inutili e dannosi per lo Stato.

Queste azioni hanno incontrato una strana resistenza. Mentre il popolo intero mi aiutava in un’ondata unanime di patriottismo e lealtà, denunciando i criminali nascosti, organizzando processi sommari, rivelando chi erano gli elementi sospetti che mi erano sfuggiti, allo stesso tempo uno sconosciuto faceva fuggire tutti i criminali più importanti, incorreggibili e detestabili, portandoli oltre confine. In questo modo sono scampati in molti, per esempio l’astrologo empio Bagir Kissenskij; l’alchimista criminale Synda, che, come è stato provato inconfutabilmente, era alleato con il diavolo e i potentati di Irukan; Zuren, quel vile scrittore di libercoli e disturbatore della quiete pubblica; e vari altri di minore importanza. Anche Kabani, il mago pazzo, è riuscito a nascondersi da qualche parte. Uno sconosciuto ha distribuito enormi somme di denaro per impedire al popolo di sfogare la sua giusta ira su quelle spie blasfeme, quegli avvelenatori dei medici personali di Sua Maestà. Qualcuno ha liberato Arata il gobbo, in circostanze tanto incredibili da farci sospettare una volta di più che lo sconosciuto fosse alleato a forze demoniache… Arata, un vero demone, un depravato che avvelena l’anima della nazione, l’istigatore e il capo delle ribellioni dei contadini…»

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