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Marco Buticchi: Le pietre della Luna

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Marco Buticchi Le pietre della Luna
  • Название:
    Le pietre della Luna
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    1997
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    88-304-1408-5
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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Marzio ascoltava con espressione intenta, due dei tribuni stavano dimostrando un vivo interesse. Non così Sestilio, che prese di nuovo la parola. «Bene, così noi ufficiali di grado superiore stiamo qui a farci impartire lezioni da un semplice centurione, un giovane presuntuoso, convinto di poterci indottrinare sulle sue personalissime visioni delle tattiche militari, dimenticando il fatto per lui trascurabile che è proprio grazie a un assetto collaudato nei decenni che l’esercito di Roma ha conquistato il mondo. Non dire eresie, centurione Giunio, e controlla le tue parole.»

Giunio non era abituato a simili modi. Aveva semplicemente espresso un suo punto di vista, non capiva il motivo di tanta sufficienza. Mantenne comunque la calma e riprese: «Non giudicarmi avventato o, peggio, uno smidollato, nobile Sestilio, ma è mia precisa convinzione che un’armata più dinamica e leggera sarebbe capace di portarci a quel risultato a cui aneliamo ormai da molti decenni. La legione si muove come un elefante in catene: ha forza e velocità, nonostante la mole, ma le catene ne limitano i movimenti».

«Dicci, centurione, illuminaci. Siamo tutto orecchi», ribatté Sestilio in un tono fattosi sprezzante.

Imperturbabile, Giunio si rivolse direttamente al comandante: «Marzio», riprese, «chiedo che mi venga affidato un contingente di trecento uomini scelti, insieme con l’autorità di potermi muovere al di fuori degli schieramenti della legione».

Fu con un autentico tuffo al cuore che vide il legato chinare la testa in cenno di assenso. Qualcosa di molto simile a un brivido gli corse nella spina dorsale: non poteva, non doveva fallire la prova.

Le sortite cominciarono a essere intensificate ai primi segni del disgelo. Quando venne approntato l’accampamento estivo e cominciarono i preparativi per le estenuanti manovre di contrapposizione all’esercito nemico, i suoi uomini erano ormai perfettamente addestrati. Giunio aspettava con dissimulata ansia il momento del primo scontro.

I trecento uomini ai suoi ordini avevano lasciato lo schieramento della legione la sera prima. Adesso, distanti quasi mille passi dal terreno della battaglia, potevano sembrare un semplice drappello della retroguardia.

Erano lì quando gli squilli di tromba diffusero nella valle il segnale della battaglia. Ma non era ancora il momento di agire. Il centurione segnalò silenziosamente agli uomini di aspettare, prima di procedere alla mossa accuratamente studiata, piombando sul fianco del nemico. Dopo qualche lungo minuto, valutato che fosse giunto il momento, alzò il braccio. I trecento uomini scattarono come un unico corpo perfettamente coordinato, agile, inarrestabile, letale. L’impatto, tanto più tremendo in quanto imprevisto, fece vacillare lo schieramento dei germani di quel tanto che bastava per romperne il fronte.

La strada per la conquista della Germania si aprì con quella prima, fulminea e schiacciante vittoria.

«Se devo essere sincero», continuava Giunio nelle sue memorie trascritte in italiano spagnoleggiante, «non so quale sia stato il preciso contributo dato al successo dalla manovra del mio contingente. Ricordo soltanto che Marzio mi mandò a chiamare, in un raro momento di pausa tra le battaglie che si susseguivano ininterrotte a mano a mano che avanzavamo. Sembrava che nessuno fosse in grado di opporci resistenza.»

«Siediti, Giunio», gli disse il generale, non appena fu entrato nella sua tenda. Quindi, invitati con un gesto pacato ma perentorio i presenti a lasciarli soli, riprese: «Ho deciso che d’ora in avanti tu debba partecipare a tutte le riunioni dello stato maggiore. È giusto».

«Generale», si schermì il giovane, «il grado che porto non consente un simile privilegio. Sai bene quanto non sia facile per un ufficiale inferiore godere della fiducia di un tribuno o anche soltanto essere ascoltato da lui!» Non era falsa modestia. Giunio sapeva perfettamente che più di uno dei suoi diretti superiori avrebbe osteggiato una qualsiasi presenza estranea nella loro cerchia, e di conseguenza fatto di tutto per rendergli difficile la vita, se non impossibile.

«Voglio parlarti con estrema sincerità, Giunio. Sono diversi anni che sei ai miei ordini. Ti ho osservato, ho avuto modo di apprezzare i tuoi progressi, la tua costanza e il tuo valore. Sai, invece, a chi sono di fatto affidati i nostri uomini?»

Fissò lo sguardo negli occhi del centurione, scosse la testa e riprese: «Lo sai come lo so io, è troppo tempo che vivi nelle tende militari e all’addiaccio, ma te lo ripeterò ugualmente. A cinque giovincelli patrizi, nominati tribuni militari sebbene non abbiano alcuna esperienza sul campo, con la testa piena di presunzione e unicamente in cerca della gloria che possa garantire loro un ruolo politico, tra un paio d’anni, una volta rientrati a Roma. Per questo sento la necessità di avere al mio fianco la tua esperienza e il tuo senso di responsabilità. Considera Sestilio, per esempio: tra meno di un anno rientrerà nella capitale per ricevere un incarico diplomatico, poi si stabilirà definitivamente a Roma, con la carica di magistrato se non addirittura di senatore. Che cosa vuoi che sappia della ferocia della guerra e dello sguardo micidiale del nemico? Quando mai li ha incontrati sul suo cammino?»

«Signore», replicò Giunio con imbarazzo, «non mi è certamente lecito confrontare le mie nozioni con quelle dei miei superiori. Ricopro questo grado soltanto grazie alla tua magnanimità.»

Marzio sollevò con impeto un braccio, quasi volesse scacciare un insetto fastidioso. «La tua preparazione, Giunio, è perlomeno pari a quella di qualsiasi altro dei miei collaboratori, e hai il vantaggio di essere più giovane di molti di loro. Del tuo coraggio non voglio nemmeno parlare. Certo, le origini nobiliari degli altri possono costituire una differenza, ma si tratta di una differenza apparente, non certo sostanziale; l’esperienza che hai fatto sul campo è più che sufficiente per pareggiare i conti.»

«La tua, generale, è la forza del nome che porti. Mentre le mie origini sono delle più modeste: ho visto la luce nelle terre dei liguri, non tra i fasti patrizi di Roma…» interloquì d’impulso il giovane centurione.

Il tono di Marzio cambiò. Il saggio generale assunse un tono a metà tra lo scherzoso e il minaccioso. «Giunio della città di Luna, non è lecito a un centurione interrompere il suo generale, e tanto meno cercare di contraddire le sue decisioni. Roma ha bisogno della tua esperienza. E il mio è un ordine.» Così detto, Marzio batté seccamente le mani due volte, facendo comparire come per incanto uno schiavo sulla soglia della tenda. Recava in mano calzari, elmo e corazza dorati. La toga candida era orlata di porpora, l’ornamento delle uniformi da parata degli alti ufficiali.

«Hai vissuto la gelida notte delle Alpi avendo come sola protezione la pelle di lupo che portavi sulla testa. Ti sei battuto con valore, contribuendo in maniera decisiva alla nostra avanzata. Da questo momento, per i tuoi meriti, decido che tu venga promosso al grado di tribuno militare.»

Il rimescolio nell’intimo di Giunio stava raggiungendo i limiti della tollerabilità. Il giovane stentava a credere a ciò che sentiva. Le sue gesta sul campo di battaglia erano già diventate una leggenda tra gli uomini della legione. Ma soltanto nei suoi sogni più segreti e non svelabili avrebbe potuto immaginare una simile gratificazione. Gli girava la testa, sentì le gambe diventare molli in un modo molto poco confacente a un militare. Qualche istante più tardi, chi lo vide farsi strada tra le tende dell’accampamento con la divisa da alto ufficiale tra le braccia e un sorriso trasognato dipinto in viso poté pensare che il valoroso centurione fosse uscito di senno.

Negli otto mesi che seguirono, i romani dilagarono nel territorio dei germani, e quell’inverno non rientrarono al campo stabile: proseguirono inarrestabili la conquista del nuovo territorio. Marzio vietava ogni forma di violenza gratuita contro la popolazione inerme: soltanto in pochi casi fu costretto a ordinare che qualche villaggio di nemici irriducibili venisse raso al suolo, facendone una terra desolata e inabitabile. Di fatto i suoi soldati agivano da testa di ponte dell’impero; spettava loro spianare la strada alla civiltà di Roma, con le sue leggi e il suo ordine.

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