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Marco Buticchi: Le pietre della Luna

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Marco Buticchi Le pietre della Luna
  • Название:
    Le pietre della Luna
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    1997
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    88-304-1408-5
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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Le pietre della Luna: краткое содержание, описание и аннотация

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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Mi era rimasto un solo giavellotto, ma mi sarebbe comunque mancato il tempo per un altro lancio. Lo presi dalla faretra, era il più pesante: la gittata sarebbe forse stata inferiore, ma un giavellotto pesante garantisce una precisione maggiore e può essere letale in qualsiasi parte del corpo colpisca. Mossi la spalla destra, caricando il braccio. Feci tre passi veloci in avanti, prendendo la mira, e inarcai il corpo come un arco di legno di sandalo. Il giavellotto sibilò nell’aria, passandomi accanto all’orecchio, poi iniziò la sua parabola in direzione del nemico. Non lo persi mai di vista; lo vidi ridiscendere con la precisione del falco. Incontrò il corpo del germano a pochi passi dal cavallo del mio signore. Il barbaro sembrò incespicare.

Vidi la punta di ferro trapassargli la coscia in una parte non coperta dal corto gonnellino di maglia. Cadde, lasciandosi sfuggire un urlo di rabbia più che di dolore. Soltanto in quel momento Marzio sembrò accorgersi dello scampato pericolo. Osservò un attimo l’uomo che si dibatteva a terra, con l’asta che trapassava una gamba conficcandosi nell’altra. Io ero lontano, come affascinato da quel volo magico, quasi non del tutto cosciente del fatto che a guidare l’arma era stata la mia mano. Ma mi sembrò che Marzio sollevasse lo sguardo verso me, riconobbi distintamente un accenno di sorriso sulle sue labbra e un leggero movimento della testa. Poi la mente mi si annebbiò. Ero stato colpito. Non ebbi tempo di provare dolore: l’attimo fu comunque sufficiente a farmi intravedere la soglia della morte.

Mi risvegliai in un giaciglio dell’ospedale del fortilizio. Il dolore alla testa era insopportabile. Il volto bruno del giovane medico che mi stava davanti emerse da un vago alone di foschia.

«Ben tornato dal viaggio nell’Averno, legionario. Hai passato tre giorni e tre notti nel regno dei morti. È stato il tribuno Marzio a dare l’ordine di portarti qui, sebbene le tue condizioni sembrassero disperate.» I modi effeminati non avrebbero mai potuto fare di lui un buon soldato ma, in quanto esperto di ferite e cure, il giovane egizio sembrava sapere il fatto suo. Mi spiegò di avere appreso che un nemico mi aveva assalito alle spalle. «Devi la vita a questa vecchia pelle di lupo», continuò, mostrandomela. Presi dalle sue mani il fedele paramento: la testa dell’animale, proprio nel punto in cui la calotta cranica non era stata rimossa per dare un aspetto più realistico alle fauci, presentava una profonda fenditura. L’osso frontale era del tutto sbriciolato.

«Marzio», continuò l’egizio, «ha chiesto di essere costantemente informato sul tuo stato. Devo correre ad avvertire una delle sue guardie che ti sei finalmente svegliato!» Non mi diede il tempo di ribattere — forse non ne avrei nemmeno avuto la forza — e scappò via. I lamenti dei miei compagni d’armi mi costrinsero a guardarmi attorno. Ero circondato da feriti, molti dei quali adagiati per terra. Lo spettacolo riuscì a incutermi lo stesso senso di angoscia che si prova su un campo dove si è appena conclusa una cruenta battaglia.

Fui costretto a chiudere di nuovo gli occhi. Ero mortalmente stanco, il dolore sembrava comprimermi in una morsa le ossa della testa.

Credo fosse trascorso poco tempo quando una voce pacata e cordiale mi ridestò da quello stato di torpore. Vidi Publio Marzio ai piedi del mio giaciglio, notai l’espressione compiaciuta del suo viso.

«Sei di tempra rocciosa, legionario», disse. «Non avevo dubbi circa la tua guarigione. Come ti chiami?»

«Sono Giunio, signore, Giunio della città di Luna.»

«Sono debitore della vita», riprese Marzio, rivolto al suo seguito e alla piccola folla di convalescenti che stavano seguendo in un silenzio religioso le sue parole, «a questo valoroso soldato. Devo al suo tempismo e alla sua precisione di tiratore se sono ancora il vostro comandante. Per salvare me, ha messo a repentaglio la vita. Dispongo che tu venga promosso al grado di centurione, Giunio della città di Luna. Ti aspetto nel mio alloggio, non appena ti sarai rimesso del tutto.»

Nonostante il ronzio che continuavo a sentire negli orecchi, fui pervaso da un moto di orgoglio e soddisfazione. Le promozioni sul campo erano ormai una leggenda dei tempi delle grandi conquiste imperiali. Il nostro compito si limitava a difendere i confini della romanità, senza troppo concedere alle espansioni né di conseguenza — ciò che più contava — al bottino. Il Reno sembrava diventato il limite invalicabile dei territori dell’impero fin dai tempi di Augusto. Certo, i germani e le altre bellicose popolazioni barbare continuavano a costituire una minaccia, ma, in confronto alle grandi battaglie del passato, le nostre si potevano considerare secondarie scaramucce di confine.

Sarei diventato comandante di una centuria, avrei goduto del privilegio di combattere a cavallo. Ero fermamente convinto che, nonostante la mia giovane età, l’esperienza accumulata mi avrebbe consentito di dimostrarmi un ottimo ufficiale.

Roma odierna.

Sara scosse la testa, stringendo distrattamente una matita tra i denti. Era perplessa. Per la prima volta in vita sua, almeno da quanto ricordava, aveva avuto una notte difficile, tormentata. Aveva sì dormito, ma il suo sonno era stato agitato da sogni di guerrieri, battaglie, epiche gesta, sangue. In ciascuna di esse, nitidissima, perfettamente stagliata sul brulicare di corpi avvinghiati nel combattimento, si levava alta la figura di Giunio. Svegliatasi di buon mattino, in preda a un’agitazione del tutto ignota, si era accorta di avere un solo pensiero. Correre al più presto al suo laboratorio e riprendere il lavoro di trascrizione. Che cos’era successo, ancora, a Giunio e al suo mondo di antichi romani?

Quindi eccola lì, nel silenzio totale dei laboratori ancora deserti, seduta davanti allo schermo del computer. Già il sofisticatissimo scanner aveva interpretato a suo beneficio molte altre sbiadite e collose pagine del primo dei quattro volumi antichi in cui erano state trascritte in italo-spagnolo le gesta del legionario. Nella vicenda entrava in scena un nuovo personaggio, evidentemente destinato ad assumere una notevole importanza.

«Ahi ahi!» ridacchiò tra sé. « Cherchez la femme! » e si sfregò le mani. Le imprese di Giunio della città di Luna si stavano rivelando un vero e proprio romanzo d’avventura. Chissà che cosa intendeva il buon Oswald Breil, dannato omino, ovunque fosse e qualsiasi cosa stesse facendo, quando le aveva comunicato così seccamente che prima di tutto aveva bisogno di *capire*. *Capire* che cosa? Vabbè: *riassumiamo*, si disse. E, caso mai, *integriamo* con giudizio. Ma prima di tutto passiamo alla terza persona. All’opera.

ANNO 821 DE LA FONDA~IONE, lesse sullo schermo. Aperto in un angolo un elementare programma di calcolo preparato da lei stessa la sera prima, procedette in una frazione di istante alla conversione della data: il 68 dopo Cristo.

Roma imperiale. Anno 821 dalla Fondazione.

[68 d.C. (N.D.T.)]

L’Aedes Vestae, il tempio dedicato a Vesta, era situata nel Foro; pochi passi separavano la struttura circolare del luogo sacro dall’Atrium Vestae, la dimora delle vestali. Secondo la tradizione, le candidate erano venti, tutte di famiglia libera, non segnate da difetti fisici e figlie di genitori viventi e non dediti a mestieri ignobili. Le più giovani avevano appena superato i sei anni, le più adulte non superavano i dieci. Clelia, che stava per compierli, era totalmente presa nel suo sacrale ruolo di vergine prescelta per il possibile servizio della dea.

Avrebbero potuto suscitare qualche sorriso intenerito, mentre incedevano con passo solenne, piccolo corteo più simile a una nutrita e compunta scolaresca femminile che a un gruppo di fanciulle elette. Ma, no, nessuno avrebbe mai potuto sorridere: il popolo riconosceva in loro la volontà divina; chi stazionava nei pressi del Foro osservava il loro corteggio con spirito di sacra venerazione.

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