Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Marco Buticchi

L’anello dei re

Per Albino

PROLOGO

«Benvenuto nella mia casa! Entrata libera e franca!»

Non ha accennato a venirmi incontro, ma è rimasto immobile, come una statua di ghiaccio…

Bram Stoker, Dracula

New York, marzo 2002

La metropoli aveva reagito all’attentato come sempre faceva nelle situazioni più critiche, quasi si trattasse di un essere vivente dotato di una ferrea forza di volontà.

Anche in quell’occasione, mentre la sorvolava a bassa quota, New York gli apparve come un’immensa creatura che ogni giorno a fatica si sveglia, frenetica esplode di vita e poi si riaddormenta, mentre qua e là sul suo corpo compaiono, simili a dolorose piaghe, macchie intrise di paura.

In realtà, la città altro non era che uno sconfinato agglomerato di palazzi e umanità alle prese con i problemi sempre più incalzanti del sovraffollamento e del terrorismo.

Osservandola dall’alto, sembrava suddivisa in tanti compartimenti stagni: se a un crocevia si stava consumando un dramma, solo pochi isolati più avanti regnava la calma più assoluta e la vita scorreva normalmente, tra le vetrine illuminate e gli sguardi frettolosi dei passanti.

Questi e altri pensieri occupavano la mente del colonnello Baedeker mentre faceva compiere al caccia una nuova e più ampia virata, spostandosi lungo la riva sinistra dell’East River.

L’ufficiale diede un rapido sguardo alla scena sottostante, giusto il tempo necessario per rendersi conto che i missili aria-aria lanciati dal suo F15 erano andati a segno annientando la minaccia venuta dal cielo. Baedeker abbandonò le sue meditazioni e si concentrò sui freddi termini con cui avrebbe stilato un rapporto di servizio che sarebbe parso assai poco credibile: «Un elicottero non recante alcuna sigla di identificazione, dopo aver violato una zona interdetta al volo, ha esploso un missile aria-terra in direzione dell’ingresso del palazzo delle Nazioni Unite. Accertata la palese ostilità del velivolo, allo scrivente colonnello Baedeker, in forza al 12° stormo caccia della USAF, non è rimasto null’altro da fare se non abbattere il velivolo. Con assoluta certezza, l’attacco ha provocato danni alle persone oltre che alle cose».

I flap, abbassati per aumentare la portanza e impedire al jet di entrare in stallo, lo scuotevano con un leggero ma intenso tremore. Baedeker si accertò che le forze dell’ordine, là sotto, avessero preso in mano la situazione: due elicotteri della polizia sorvolavano ora la zona, mentre i lampeggianti dei mezzi di soccorso baluginavano attorno al Palazzo di Vetro. Il colonnello spinse allora sulle manette e si allontanò dal luogo dell’attentato.

Il panico si era diffuso nel momento in cui un elicottero da turismo, che volava a bassa quota, aveva lanciato un missile all’indirizzo dell’ingresso principale del palazzo delle Nazioni Unite.

Erano state colpite alcune auto di servizio che sostavano dinanzi alla pensilina in attesa dei passeggeri. Molte persone erano rimaste ferite, alcune in modo grave: i loro corpi giacevano inerti a terra, con i vestiti ridotti a brandelli, bruciacchiati e insanguinati. Si trattava per lo più degli autisti delle vetture.

I delegati e gli ospiti che avevano partecipato all’assemblea plenaria dell’ONU erano stati risparmiati dall’esplosione: buona parte di coloro che erano usciti dal palazzo al momento dell’attentato erano ancora in piedi. Alcuni, comunque, stavano dirigendosi verso le ambulanze immediatamente accorse, sorretti dai soccorritori.

Tutto faceva pensare che si fosse trattato di un’azione terroristica isolata, priva di un particolare bersaglio: un vile attacco che avrebbe potuto causare un numero ben più alto di vittime, se non fosse intervenuto prontamente uno degli ufficiali che dal giorno dell’attentato alle Torri pattugliavano il cielo di New York a bordo dei loro caccia. Baedeker stava per diventare un eroe.

Nessuno, però, poteva immaginare che un’altra esplosione, nel giro di pochi minuti, avrebbe sconvolto quella stessa scena. Tra i feriti che stavano salendo sulle ambulanze si trovava un uomo singolare: un uomo di piccola statura, ma la cui tempra d’acciaio, in molte precedenti occasioni, lo aveva reso protagonista di azioni che avevano garantito la sopravvivenza dell’intera umanità.

Il velivolo ostile era stato abbattuto pochi minuti dopo che era stato diramato l’allarme e l’intervento del caccia aveva impedito che l’elicottero lanciasse una seconda salva dei suoi micidiali ordigni esplosivi, causando danni ancor più gravi.

Anche in questa circostanza, la prontezza di riflessi di Oswald Breil era stata determinante per salvare la sua e altre vite.

Un osservatore attento avrebbe notato la scarsa naturalezza nell’andatura dell’individuo che proveniva dalla Quarantatreesima. Certo, col caos che regnava in quei momenti dinanzi al palazzo delle Nazioni Unite sarebbe stato difficile trovare qualcuno disposto a prestare attenzione a particolari insignificanti come il modo di camminare di una delle tante persone che affollavano la zona. La gente, prima fuggita in preda al panico, ora tornava a piccoli gruppi sul luogo dell’attentato, simile a uno stormo di corvi che si posi nuovamente sull’albero non appena spenta l’eco dello sparo. L’uomo, che camminava con passo veloce, si confondeva con i molti dirigenti, gli impiegati, i portaborse che popolano i dintorni di ogni palazzo governativo. E, come questi, cercava di guadagnare un posto in prima fila lungo la striscia di nastro giallo che un poliziotto solerte stava stendendo per delimitare il prato antistante il Palazzo di Vetro.

L’elicottero, o meglio, quello che ne era rimasto, ardeva al centro del prato, a breve distanza dalla Peace Bell, vicino ai monconi delle aste e alle bandiere lacerate.

Uno dei pulmini Mercedes che venivano utilizzati per gli spostamenti dei delegati e degli ospiti, colpito dal missile, rispondeva con sbuffi di vapore e sibili sinistri ai primi getti delle autopompe dei vigili del fuoco.

Le ambulanze sostavano pochi metri più lontano con i portelloni spalancati, in attesa di caricare i feriti.

L’uomo dalla camminata singolare si chinò sul nastro giallo che delimitava la scena. Qualcosa emetteva bagliori dorati e risaltava sul verde del prato. Qualcuno, in quei convulsi momenti, doveva averlo smarrito. L’uomo protese la mano come per accarezzare l’erba soffice. Aveva dita lunghe, sottili e nervose, che afferrarono un piccolo oggetto di metallo, levigato dal tempo e dall’uso. Il pollice e l’indice ne percorsero i bordi e ne seguirono la forma circolare, i polpastrelli tastarono incisioni e rilievi: l’antico anello d’oro rotolò nella tasca della sua giacca.

Quindi le dita si strinsero attorno ai confini spigolosi e meglio conosciuti di un secondo oggetto, ne accarezzarono il pulsante d’innesco, e controllarono l’antenna del telecomando.

Intanto, la gente si andava assiepando curiosa, commentando l’accaduto.

Il primo camion regia di una televisione era giunto da pochi istanti e già gli operatori facevano roteare le telecamere, cercando di cogliere il maggior numero di particolari di quella che veniva definita «diretta del crimine».

L’uomo dalle dita sottili si strinse nelle spalle. «Se è lo spettacolo quello che cercano… non mi resta che accontentarli», disse tra sé mentre azionava il telecomando nella tasca della giacca.

I boati sincronizzati delle microesplosioni non giunsero distinti, ma si unirono in un’unica fragorosa detonazione. I vetri della stanza che era saltata in aria, al dodicesimo piano del Palazzo di Vetro, si dispersero come gocce di pioggia, ricadendo nella zona di prato sottostante appena delimitata dalla polizia.

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