Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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«Grazie, maggiore Breil», riuscì finalmente a dire di slancio. «Grazie per tutte le vite che devo al tuo coraggio. Ormai ho perso il conto.»

«Chiamami Bond», replicò lui, allargando ancora di più il sorriso. «Ma, ripensando a ieri, devo considerare che siamo pari. Quindi, grazie a te.»

Così dicendo, Oswald non riuscì a mascherare una smorfia. La brutta ferita, che aveva fratturato diversi ossicini del ginocchio, gli faceva sicuramente male, ma niente al mondo avrebbe potuto distoglierlo dalla perenne abitudine a cercare di sdrammatizzare qualsiasi situazione. Salvare vite faceva parte della sua missione, era il suo lavoro. Essere salvato, rientrava nei fringe benefit del servizio. Essere salvato dalla donna a cui voleva più bene a questo mondo, poi…

Ma aveva alcune cose da dire, che aspettavano ormai da diverse ore.

«Apri quella borsa, Laura», disse, indicandole la cartella posata sul tavolino accanto alla finestra. «C’è dentro una cosa che avrei voluto darti ieri sera, se avessi potuto. È molto interessante.»

«Che cos’è», chiese lei, incerta.

«Un semplice pacco di fogli di stampante, Laura, ma…»

Non poté proseguire, interrotto dalla porta che si apriva di schianto, in un modo assai poco consono a un ospedale. Sulla soglia videro comparire un Ferd Steps quasi irriconoscibile, non soltanto per il modo in cui era bardato, con la cuffia, i guanti e il camice sterilizzati, ma soprattutto per l’espressione agitata del suo viso.

«Generale Steps!» esclamò Laura, stupita. «Che cosa…»

«Signorina Joanson, dottor Breil, vogliate scusarmi, ma non potevo… Dovevo dirvi subito…»

Così detto, il generale cercò di ricomporsi e, quasi si fosse ricordato soltanto in quel momento le regole della buona educazione, tese la mano a stringere quella della donna e poi a fare un cenno di saluto a Oswald.

«Quanto sto per dirvi», esordì finalmente, «si basa semplicemente su un sospetto labile, poco meno di una sensazione epidermica. Con Kevin Dimarzio ho passato alcuni momenti tra i più belli della mia vita, l’ho visto con questi occhi superare situazioni veramente molto difficili, cavarsela in missioni al limite dell’impossibile. È quindi forse per l’ammirazione che provo per lui, per una sorta di fiducia cieca, se non sono mai riuscito a credere alla sua morte. No, non ci ho mai creduto e… e ancora meno ci credo adesso. Ma cercherò di venire al dunque. Non appena l’inchiesta ufficiale si è conclusa, ho chiesto che mi venissero consegnate le registrazioni dei colloqui intercorsi tra l’ Atlantis e la base di Houston.»

Laura lo fissò con uno sguardo bruciante, sentendo che il cuore cominciava ad accelerare i battiti. «Continui, generale, la prego», esclamò.

Ferdinand Steps annuì, quindi infilò la mano destra nel camice che aveva dovuto indossare ed estrasse un disegno schematico della navicella spaziale Atlantis , riprendendo:

«Devo fare un passo indietro. Il 28 gennaio 1986 il Challenger 61-L, comandato da Dick Scobee, esplose a pochi minuti dal decollo sotto gli occhi di milioni di telespettatori. La tragedia innescò una lunga serie di polemiche sulla sicurezza delle missioni dello Shutde e soprattutto sull’assenza di una qualsiasi via di salvezza in caso di incidente.

«Come ricorderete, i voli spaziali sono stati sospesi per più di due anni, nel cui corso i nostri gruppi di ricerca hanno fatto l’impossibile per cercare di mettere a punto un sistema che consentisse all’equipaggio l’abbandono del vettore in difficoltà. Ci sono riusciti, sembra, anche se il collaudo definitivo…

«Insomma: l’ Atlantis STS-74, la navicella su cui Kevin e Bender potrebbero — ripeto: potrebbero - essere morti nell’esplosione nucleare, era la prima a montare la capsula sperimentale di eiezione. Un congegno simile al sedile dei piloti di jet, con la differenza che l’intera zona alloggi viene espulsa verso il basso e lateralmente».

Ammutolito, Oswald si aggrappò alla maniglia per tirarsi faticosamente a sedere, mentre Ferd spiegava il foglio sul letto, per chiarire la sua esposizione indicando i diversi particolari a mano a mano che li accennava: «Questa è la cabina di pilotaggio. E qui, immediatamente sotto, si trovano gli alloggi e le riserve di aria. Alcune cariche detonanti guidate, che agiscono contemporaneamente a un sistema idraulico, sono in grado di espellere l’intera zona alloggi indipendentemente dalla velocità a cui sta viaggiando la navicella.

«Se la procedura avviene nell’atmosfera, la ricaduta a terra dell’equipaggio è frenata dai paracadute automatici. Nello spazio, invece, in assenza di gravità, la velocità di espulsione può portare la capsula di sopravvivenza a diverse decine di miglia dalla nave madre, forse quanto potrebbe bastare per consentire all’equipaggio di sopravvivere anche a un’esplosione nucleare come quella che ha deviato la rotta dell’asteroide».

Laura sentì che le tremavano le mani. Non riusciva più a prestare attenzione. Né a trattenere la domanda che le bruciava in gola dall’inizio. «Significa che Kevin è vivo, generale?» chiese con un soffio di voce.

L’ufficiale assunse un’espressione indecifrabile.

«Preferirei forse poterle rispondere di no con assoluta certezza, dottoressa Joanson», rispose. «Mi creda, è probabilmente meglio essere uccisi da un’esplosione nucleare che sentire le proprie forze spegnersi a poco a poco, abbandonati nel silenzio degli spazi infiniti. Ho ascoltato per giorni le registrazioni degli ultimi momenti del volo, individuando a uno a uno i comandi che ha eseguito Kevin. Ha sicuramente attivato la procedura di emergenza per l’espulsione. Ne sono assolutamente certo. Ma i primi bip del May Day non hanno mai raggiunto la Terra. Questo aveva fatto pensare a tutti, me compreso, che la capsula non si fosse staccata abbastanza dalla navicella, venendo distrutta anch’essa. Ma…»

«Ma?» incalzarono all’unisono Laura e Oswald.

«Come vi ho detto», riprese Step, «non potevo credere che Kevin fosse morto. Ho continuato a pensarci e a riflettere. E finalmente, consultando uno studio sugli effetti dell’esplosione nucleare di Hiroshima, ho avuto quella che mi auguro sia un’illuminazione. A seguito di quella reazione atomica, ogni comunicazione radio, ogni trasmissione elettromagnetica si interruppero.

«E lo stesso fenomeno si è verificato nello spazio, per la durata di oltre sessantotto ore. Così i tecnici della NASA non hanno potuto registrare il segnale di May Day, che invece veniva emesso regolarmente dalla capsula. L’ho scoperto io stesso, poco prima di correre qui, procedendo all’ascolto a oltranza di tutte le registrazione delle molteplici onde radio che hanno attraversato lo spazio nei tre giorni successivi all’incidente. E in questo momento mi sento di affermare con quasi assoluta certezza che la capsula di sopravvivenza dello Shuttle non è stata distrutta dall’esplosione.

«Non è però possibile affermare con altrettanta sicurezza che Kevin e il professor Bender siano sopravvissuti.»

«Che autonomia hanno, e dove pensa possano trovarsi adesso?» chiese concitatamente Oswald.

«A bordo della capsula ci sono viveri, acqua e aria sufficienti a coprire il fabbisogno di un equipaggio di sette uomini per quindici giorni: il tempo medio per consentire di organizzare una missione di soccorso e procedere al recupero dei naufraghi spaziali», rispose Steps. «Quindi, calcolando che sullo Shuttle sono rimasti in due, Kevin e Bender dovrebbero disporre di una cinquantina di giorni di autonomia.»

Oswald non avrebbe voluto dirlo, proprio nel momento in cui aveva visto accendersi un lampo di speranza nello sguardo di Laura, ma non riuscì a trattenere l’amara conclusione.

«Visto che l’incidente è avvenuto ai primi di maggio, questo significa che mancherebbe poco tempo alla fine delle riserve. Circa una settimana.»

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