PERÒ INTANTO MI HAI FATTO VENIRE L’ACQUOLINA IN BOCCA, vide scorrere sullo schermo. COME SI CHIAMA QUEL RISTORANTE A TRASTEVERE? ANTICA RESA? PRENOTA PER DUE A NOME MIO, ANCHE SE DOVRAI RIMANERE SUL VAGO CIRCA LA DATA. A PROPOSITO, DALLE TUE PARTI DOVREBBERO ESSERE LE UNDICI E UN QUARTO DI SERA. TEMO CHE TU NON ABBIA ANCORA CENATO. BEVI UN BICCHIERE DI QUEL BRUNELLO ALLA MIA SALUTE, PER FAVORE. SEI STATA IMPAGABILE E NON HO MODO DI RINGRAZIARTI. MA VEDRÒ DI FARLO. TI VOGLIO BENE. OSWALD.
Sara scosse la testa, le sue labbra carnose si schiusero in un sorriso. Tornò a chinarsi sulla tastiera: ANTICA *PESA*, DOTTOR BREIL. HAI IN MENTE UNA «PESA»? ADESSO IMMAGINALA ANTICA, INTENTA A PESARE ASSI DI GRANO, O STATUE D’ORO. ANTICA COME QUEI MILLENNI DI APPASSIONANTE STORIA. HAI IN MENTE ROMA? UN PO’ A NORD DI GERUSALEMME. PATRIA DI GIUNIO DELLA LUNA E SIGNORA. MA NON CREDERE DI CAVARTELA CON UN IMPROBABILE INVITO A CENA A LUME DI CANDELA, CON CONTORNO DI QUALCHE AVANCE GALANTE. SAPREI BENE COME RESISTERTI. MI ASPETTO SE NON ALTRO UN RESOCONTO DETTAGLIATO ANCHE DA PARTE TUA. CHE COSA DIAVOLO STAI COMBINANDO, DA QUELLE PARTI? VABBÈ: TI VOGLIO BENE ANCH’IO, MALEDIZIONE. BUONE FERIE SULLA TUA ISOLA SPERDUTA. SHALOM.
E, digitate queste ultime parole, picchiò con decisione sui tasti CTRL e Q, accompagnando il gesto con un sonoro: «Buonanotte!»
Quindi sollevò la cornetta e compose un numero interno. Dall’altra parte del filo, Toni rispose quasi istantaneamente. Chissà se aveva una casa, se gli capitava mai di andare a dormire. Macché: era ancora lì a riordinare le sue bacinelle di acidi e pulire gli strumenti. Finiti i quattro volumi del frate, si era immediatamente precipitato su altre cartacce incartapecorite come se fossero la più squisita delle leccornie. Però sembrava stremato anche lui.
«Chiudiamo bottega, Marradesi?» gli chiese. «Qui si sta facendo notte, tanto per cambiare. Che cosa ne diresti di una pizza? Paghi tu.»
Il suo vecchio compagno di tante battaglie accettò di buon grado.
Sara premette il pulsante di spegnimento generale. Un fruscio annunciò il meritato riposo delle macchine. Si alzò dalla sedia, sgranchendosi ostentatamente le gambe.
Fuori faceva caldo, un vero caldo da estate romana, ma moderato dal soffio di un delizioso ponentino. Magnifico. Prese Toni Marradesi sotto braccio e aprì il volto in un sorriso.
«Piccolo uomo… grande Diavolo… l’Isola Che Non C’è…» stava pensando con un sentimento indefinibile, a metà tra l’ammirazione cieca e il risentimento verso l’amato soldo di cacio da cui si era lasciata schiavizzare. Le tornarono in mente le indicazioni di Peter Pan per raggiungere l’Isola: «Prima stella a destra, poi diritti fino al mattino…»
Baciò Toni Marradesi sulla guancia, d’impulso, senza preavviso e senza curarsi della sua espressione allibita. Soltanto per ringraziarlo di esistere.
Non poteva immaginare quanto fosse arrivata vicino al vero con la cantilena di Peter Pan, né quanto qualcosa di molto simile a una stella del primissimo mattino avesse appena finito di angustiare il suo amico Breil. Anzi: tutt’altro che finito.
Strinse il braccio al collega e, canticchiando l’allegro ritornello dell’Isola Che Non C’è, scomparve con lui nella calda notte romana.
Miami. Florida. 14 giugno 1996.
Oswald Breil posò l’ultimo foglio del grosso pacco su cui aveva stampato il file ricevuto per posta elettronica dalla formidabile Sara Terracini. La sua mente fervida stava correndo vertiginosamente. Che bella storia era emersa dal marcescente e impastato blocco di carta su cui l’antenato di Kevin Dimarzio aveva fissato una cronaca di famiglia che risaliva a poco meno di due millenni. Millenovecento anni!
Certo, la storia del popolo di Israele era ben più antica, il suo calendario indicava il 5756, ma lui, personalmente, di quanto sarebbe potuto risalire all’indietro nell’albero genealogico? Non poco, lo sapeva benissimo, le cronache della sua famiglia erano state tramandate con meticolosa cura dalla notte dei tempi come quelle dei Giunio, Marzio, Dimarzio. Ma millenovecento anni!
Chi l’avrebbe mai potuto pensare, guardando Kevin Dimarzio, con la sua aria efficiente e pragmatica di uomo del nostro tempo, tutto proiettato verso il 2000 e l’inarrestabile progredire dell’evoluzione tecnico-scientifica? Era ben strano che, con i mezzi di cui poteva disporre alla NASA e presso gli altri enti statali nordamericani, non avesse mai provato a far decifrare quei documenti, non avesse cercato di risalire al proprio passato remoto. Adesso, purtroppo, non avrebbe più potuto farlo.
Ma, chissà, probabilmente glielo aveva impedito un timore personalissimo, la gravosa coscienza della macchia che, attraverso suo padre, doveva pesargli addosso come un macigno. Perché colpe sue personali non sembravano esistere.
Che sollievo aveva provato nel leggere la sua lettera, che per fortuna Laura gli aveva mostrato nonostante l’esplicito divieto. Mentre aveva sentito un’orribile sensazione di gelo quando, frugando con puntigliosa cura negli archivi elettronici del suo servizio e facendo tutti i controlli incrociati possibili con i dati fornitigli dal povero Ceorsky, aveva scoperto un codice indissolubilmente legato al cognome Dimarzio.
Ma era vero: di quell’imponente cifra, grondante dolore e sangue, Kevin non aveva mai fatto uso. Non aveva mai prelevato un solo centesimo. Evidentemente suscitava in lui un orrore che gli vietava di servirsene. Le informazioni erano precise e non lasciavano dubbi. Kevin Dimarzio si era trovato iscritto a forza, per eredità, tra le file della Lobby di Trafalgar ma, come non aveva mai toccato l’enorme ricchezza lasciatagli dal padre, allo stesso modo non sembrava coinvolto in nessuna delle oscure attività dell’associazione. Era veramente e assolutamente una persona perbene.
Ma quando avrebbero potuto dargliene atto? Kevin era scomparso per sempre, probabilmente ridotto in cenere o altre impalpabili sostanze spaziali dal suo generoso e fortunato tentativo di salvare il pianeta Terra e il genere umano.
E le Pietre della Luna? Perdute, anch’esse. Che straordinario e tenace filo legava quegli antichi liguri allo spazio infinito, all’universo eterno. Si poteva sperare che la leggenda avesse ancora una volta ragione delle avversità, che le Pietre della Luna ricomparissero insieme all’ultimo loro destinatario? No, era una speranza che andava troppo al di là della dura realtà dei fatti.
Doveva parlarne con Laura, farle leggere la sbarazzina ma brillante trascrizione/riduzione dell’antico testo fatta dalla brava Sara Terracini. Ma quanta delicatezza ci sarebbe voluta. Quanta affettuosa cautela.
Con un profondo sospiro, Oswald riordinò il pacco di fogli e lo chiuse in una grossa busta gialla. Non aveva ancora capito se quella lettura gli avesse dato più piacere o amarezza.
Laura cominciava soltanto allora, dopo oltre un mese, a rendersi conto che Kevin non sarebbe mai più tornato. L’intensità del loro breve amore era stata profonda e indimenticabile. Se non avesse avuto coscienza della creatura che le cresceva in grembo, avrebbe forse abbandonato la sua maschera di donna forte cedendo alla disperazione.
Per fortuna era riuscita a trovare un grande aiuto nel lavoro, in cui si era gettata con impeto, consegnando all’editore il nuovo romanzo, che a quanto le prenotazioni e le anticipazioni di stampa lasciavano prevedere sarebbe subito balzato in testa alle classifiche di vendita. C’era poi stata l’analisi, forzatamente ritardata, dei dati sull’effettuabilità e convenienza delle perforazioni petrolifere. E il museo, che aveva bisogno di cure quotidiane.
In quel momento se ne stava appunto occupando. Rimase immobile qualche istante a osservare la teca vuota che un tempo conteneva le Pietre della Luna. Aveva deciso che sarebbe rimasta così, senza nessun reperto in esposizione. Forse per rispetto nei confronti dell’uomo che amava, o forse perché sapeva che le avrebbero richiamato alla mente troppi ricordi. Immaginava le magiche statue lassù, in volo chissà dove nello spazio infinito. Affidate all’eternità. Si accarezzò con dolcezza il ventre che cominciava a mostrare i segni della gravidanza.
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