Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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Kevin lo guardava immobile, con un’amara espressione di sconforto, quando si sentì prendere per un braccio. «Vieni via», gli disse Greg Bender. «Non c’è più niente da fare, pensiamo agli altri là fuori.»

Quando rientrarono nella cabina di pilotaggio, il carico di testate nucleari era stato quasi completato. Kevin diede una rapida occhiata agli strumenti e, quando scorse le tracce sul radar, ebbe un sussulto.

«Meteoriti in avvicinamento. Ripeto: meteoriti in avvicinamento. Rientro immediato! Presto, mio Dio, rientrate!» ordinò concitatamente nel microfono.

Era troppo tardi. Il primo oggetto, poco più grosso di una pallina da golf, colpì il tecnico in volo verso la stazione missilistica alla velocità di circa ottantamila chilometri orari. Il corpo dello sventurato venne scagliato con incredibile violenza a oltre un miglio di distanza. La tuta si lacerò in più punti, e, dopo pochi istanti, dell’uomo non esisteva più traccia.

Una sola procedura poteva salvare la navicella e la vita dei suoi occupanti: chiudere la stiva e abbandonare nello spazio chi era fuori. La responsabilità del comando gli avrebbe imposto di agire così, ma Kevin non se la sentì di compiere quel gesto, che avrebbe significato la sua salvezza ma anche la morte sicura del copilota e del tecnico di volo.

La navicella cominciò a scuotersi furiosamente, finché una vera e propria grandinata di piccoli sassi non si abbatté sugli scudi protettivi di prora con una violenza inaudita. Quando la pioggia cosmica cessò, dei due astronauti rimasti nello spazio non c’era più traccia.

Kevin e Greg si guardarono in silenzio. Sapevano entrambi che non avrebbero potuto fare niente per salvare la vita dei loro compagni. Ma, se si fossero accorti in tempo della minaccia che si stava abbattendo su di loro…

«Capcom a Houston. Capcom a Houston.»

«Avanti, Atlantis. Vi sentiamo forte e chiaro.»

«Siamo stati investiti da una tempesta di meteoriti. Passo.»

«Conseguenze, Capcom? Interrogativo. Passo.»

«Abbiamo perso tre uomini e il russo è morto pochi istanti fa. Siamo rimasti soltanto il professor Bender e io.»

La notizia fu seguita da un lungo silenzio, poi la voce dalla base riprese:

«Siete riusciti a portare a termine il caricamento delle ogive? Interrogativo. Avete danni a bordo? Interrogativo. Passo».

«Al momento della disgrazia il caricamento era quasi ultimato. Non so se lo scomparto di carico abbia riportato danni. Mentre i meteoriti ci piovevano addosso, le ali della stiva sono rimaste aperte. Passo.»

«Previsioni circa l’esito della missione? Interrogativo. Passo.»

«Io non ho neanche la più vaga idea di come si faccia a caricare le bombe atomiche nel razzo, né sono a conoscenza dell’efficienza dello Shuttle. Verifico i check up elettronici e vi contatto tra pochi istanti.»

Bender, che non aveva ancora aperto bocca, lo stava fissando con aria decisa: «Ti rendi conto che non portare a termine la missione significherebbe la fine del nostro pianeta, Kevin?» chiese. «Ci è stato affidato un compito d’importanza cosmica, che non consente di arrendersi di fronte a niente, nemmeno davanti all’impossibile.»

«Ma come facciamo a innescare gli ordigni e a caricare le ultime testate nel razzo? Che cosa possiamo usare, una miccia a combustione lenta e una fionda di elastico, per attaccare l’asteroide?» ribatté Kevin, esasperato, mentre una serie di spie si mettevano a lampeggiare sul pannello di controllo.

«Io sono capacissimo di innescare una testata, Kevin. Non dimenticare che sono creature mie. Il problema più grosso è inserire le ultime ogive in Long March 4, ma posso provarci», rispose il professore con la sua solita calma.

«Guarda qui», ribatté Kevin, indicando una spia rossa, «il sistema di chiusura della stiva è danneggiato. Ci vorranno diverse ore perché io riesca a ripararlo, mentre», e guardò l’orologio digitale a lato del complicato cruscotto, «mancano soltanto sedici ore alla finestra aperta sull’asteroide. Non ce la facciamo, Greg, non abbiamo tempo.»

«Posso uscire dalla navicella e compiere le mie operazioni all’esterno. Non vedo problemi, se la stiva rimane aperta», rispose ancora lo scienziato in tono di assoluta sicurezza.

«Sei pazzo, un vecchio pazzo rimbambito», sbottò Kevin. Ma la sua espressione era cambiata di colpo, illuminata da un filo di speranza. «E io sono più pazzo di te, visto che ti do retta. Capcom a Houston. Capcom a Houston», continuò in tono concitato.

«Vi sentiamo forte e chiaro. Avanti, Capcom.» «Adesso facciamo una passeggiata all’aperto e vediamo di rimettere in sesto i petardi. Domani ci aspetta una giornata dura. Chiudo.»

Sulla saletta di comando, a Houston, calò un silenzio di gelo. Le parole del comandante erano scherzose, ma il tono disperato. La missione appariva legata al più esile dei fili, se non condannata. E con essa la Terra.

La lettera continuava:

Penso, Laura, che, costi quello che costi, sarò presto costretto a rivelare al mondo ciò che ho sempre tenuto per me, ma temo che a quel punto possa prevalere un sentimento vecchio come il mondo: l’istinto di sopravvivenza. Diciamo pure la paura, Laura.

Sì, ho proprio detto «paura», amore mio. Non temo la morte, le battaglie aeree, il vuoto degli spazi infiniti, ma mi atterrisce il solo pensiero di dover denunciare il crimine di mio padre, del quale, volente o nolente, con il mio silenzio sono diventato complice. A tutti gli effetti.

Ci penso praticamente da sempre, ma soprattutto da quando hanno attentato alla tua vita. Mi sono sentito riempire di rimorsi, anche se al tempo stesso ho capito quanto eri importante per me.

Tornerò, amore, tornerò per stare con te, per vivere al tuo fianco, ma sappi che mi sentirò Ubero soltanto quando mi sarò sollevato da questo peso che non posso più sopportare. Se però, per qualsiasi motivo, non dovessimo più rivederci, bada bene a quanto ti dico ancora. Guardati dalle persone che hai attorno: anche alcune di loro nascondono segreti terribili. Perdonami se non posso dirti di più.

E ricorda sempre che ti amo.

Kevin

Il testo era concluso da un ultimo foglio, evidentemente aggiunto in tutta fretta subito prima dell’imbarco sullo Shuttle.

p.s. Questa mattina, Laura, mi hai dato la gioia più grande e intensa della mia vita. Abbi cura di nostro figlio durante la mia assenza.

Nel ripiano più alto della libreria nel soggiorno di casa mia troverai un pacco di antichi fogli ingialliti, incrostati tra loro e completamente illeggibili. Dovrebbero essere quattro volumi, ma sono ridotti a un unico blocco, che non ho mai potuto affidare a un centro specializzato di restauro e analisi.

Se, per qualsiasi motivo, non dovessi tornare, abbine cura e, un giorno, consegnali a nostro figlio. Avrei voluto parlartene al mio ritorno, ma la notizia inattesa che mi hai dato questa mattina non consente più un simile ritardo. Rischierei di non parlartene mai. Mentre quegli antichi scritti sono di straordinaria importanza per me e lo saranno anche per nostro figlio. Non so di preciso che cosa contengano; te lo ripeto, non ho mai avuto modo di farli restaurare e interpretare, ma secondo le nostre tradizioni di famiglia vi sarebbe narrata la storia delle nostre origini e, con essa, di tutto ciò che ancora non sai sul passato delle Pietre della Luna.

Sì, Laura, le Pietre della Luna. Ho sempre saputo che cosa fossero, fin dal primo momento che le ho viste. Per questo le guardavo sempre con tanto interesse. E, credimi, parte del gelo che ostentavo nei tuoi confronti era proprio dovuta alla consapevolezza che il fatto che tu ne fossi diventata la depositaria ci univa indissolubilmente e inesorabilmente.

Non ho tempo di spiegarmi meglio, Laura, ma, sempre secondo le nostre tradizioni di famiglia, quel vecchio documento sfatto dovrebbe essere la trascrizione di alcuni rotoli risalenti all’età romana, fatta nel Seicento da un nostro antenato frate. Pare che, tra l’altro, spieghino appunto che cosa sono in realtà le Pietre della Luna, da dove provengono e come sia destino che tornino sempre in nostro possesso, quali che siano le loro vicissitudini. In nostro possesso, Laura. In possesso della mia famiglia. Quindi, mio e tuo. E dei nostri figli, un giorno.

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