Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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Francisco Llobet si asciugò le lacrime, senza fare niente per nasconderle. Era felice come non era mai stato e come non aveva mai immaginato si potesse essere. Nessun tesoro al mondo poteva valere quegli attimi di gioia profonda, nemmeno quello perduto con la Santa Esmeralda , che, per non mancare al solenne voto fatto, non avrebbe comunque mai cercato di recuperare.

Baciò la figlia e abbracciò il giovane ufficiale. E di nuovo la commozione ebbe il sopravvento. Cercò ancora una volta di tergersi gli occhi, mentre il suo sguardo offuscato si posava amorosamente sull’unico vero bene che aveva in questo mondo. L’abito bianco volteggiava vaporoso nell’aria.

Frate Pietro gli si accostò e gli batté con forza sulla spalla una mano simile a un maglio.

I due furono raggiunti dal principe azteco, emerso dalla folla dei convenuti in chiesa. Vestiva l’abito regale del suo popolo, l’agile corpo brunito era quasi nascosto dalle piume variopinte.

Il singolare terzetto rimase immobile e sorridente a osservare gli sposi al centro della Plaza de la Catedral. Nessuno di loro, per nessun motivo al mondo, avrebbe mai rivelato il segreto nascosto sul fondo del mare nel ventre della Santa Esmeralda.

«La leggenda», stava tuttavia pensando frate Pietro. «La leggenda…»

Sapeva per antica tradizione che, prima o poi, ineluttabilmente, le Pietre della Luna sarebbero tornate in possesso dei discendenti della sua famiglia. Non potevano rimanere per sempre in fondo al mare, ne era sicuro.

Poi la sua mente corse ai preziosi rotoli, quelli sì irrimediabilmente perduti. Ringraziò Dio di avere avuto la preveggenza e il tempo di tradurli e trascriverli, e soprattutto di avere messo in salvo i quattro volumi.

La memoria dei suoi avi era salva, le tradizioni della sua gente si sarebbero conservate nei secoli. Le osservazioni e cronache personali di cui aveva già costellato la trascrizione, e quelle che avrebbe ulteriormente aggiunto nell’ultima parte, ancora bianca, del quarto volume avrebbero definitivamente chiarito le vicende di Giunio e delle Pietre della Luna.

E chissà, qualcuno, leggendole, avrebbe forse potuto provvedere un giorno al recupero delle antiche statuette. Bisognava soltanto fare in modo che, quando Dio lo avesse chiamato a sé nella Sua infinita misericordia, i parenti rimasti in Europa potessero entrare in possesso dei volumi manoscritti.

Terre dei liguri. Anno 870 dalla Fondazione di Roma.

[117 d.C. (N.D.T.)]

La vegetazione davanti al porticato scendeva fino al mare. Il golfo si chiudeva davanti ai suoi occhi, a quasi quattro miglia di distanza. Poco oltre lo sperone di roccia, lo stretto separava la più grande delle due isole dalla terraferma. Sulla sommità del promontorio, a picco sul mare aperto, sorgeva il tempio dedicato a Venere. Clelia, nonostante l’età, portava i segni di un’indelebile bellezza. Non era cambiata molto da quando l’imperatore Nerva aveva voluto che fosse riabilitata con una solenne cerimonia.

Giunio era un po’ invecchiato e stanco. Lo spirito era rimasto indomito, ma il corpo non poteva non mostrare le tracce delle antiche battaglie, oltre al lungo servizio prestato per oltre un ventennio nel senato del popolo di Roma.

Aveva deciso di ritirarsi a vita privata con la fedele sposa e di trascorrere serenamente gli ultimi anni nelle terre dei suoi avi. Aveva fatto costruire quella villa già da diversi anni. E adesso, finalmente, poteva godere la fresca brezza del mare della sua primissima gioventù.

Clelia gli si accostò. «A che cosa pensi, senatore?» chiese amorevole.

«A niente, moglie. Dopo tanti anni di pensieri a volte persino angosciati ma sempre tumultuosi, mi sto accorgendo con mio stesso stupore che non penso a niente.»

«Stai diventando vecchio, Giunio, e io con te.»

«Ti dispiace, dolcissima amica?»

«Penso che sia una delle sensazioni più belle che si possano provare. Quella di poterti stare accanto mentre il tempo ci porta con sé, a volte leggero, a volte grave e ineluttabile.»

Giunio la strinse a sé, entrambi con lo sguardo perduto sul mare. A riscuoterli vennero le grida di gioia di uno degli schiavi. Il maggiore dei loro figli, il tribuno Marzio, era tornato senza preavviso dal fronte orientale dell’impero.

Irruppe nel loggiato indossando fieramente l’uniforme che il padre conosceva fin troppo bene.

«Padre, madre! Quanto tempo è passato!» esclamò con occhi gonfi di felicità.

Come imponeva la tradizione, il padre scese a prendere dalla cantina un’anfora di vino dolce, consapevole che stava ritualmente ripetendo, a uno a uno, i gesti che compiva suo padre tanti anni prima, ogni volta che lui stesso rientrava da una missione militare. Sorrise tra sé nella protettiva penombra del sotterraneo.

«Marzio», esortò pochi istanti dopo, porgendo al figlio una coppa colma del liquido ambrato. «Che notizie porti dai confini dell’impero?»

Acceso in viso, Marzio si diffuse per ore sulle sue imprese e su quelle dei compagni di tante battaglie, finché sua madre non decise che era tempo di andarsi a coricare e li lasciò, baciandoli entrambi lievemente sulla fronte.

Rimasto solo con il primogenito, Giunio prese dallo stipo segreto i venti rotoli e il cofanetto delle Pietre.

«Sono vecchio, figlio mio. Il tempo non si arresta. Credo sia venuto il momento di consegnarti ciò che la nostra famiglia si tramanda di padre in figlio.»

E, così detto, osservò attentamente la reazione del giovane, l’orgoglio e la felicità di cui si riempirono i suoi occhi alla vista delle Pietre della Luna. Le statuette d’oro gli erano entrate immediatamente nel cuore, così come era stato per suo padre, per il padre di suo padre e per tanti loro avi, di generazione in generazione. Ebbe la certezza che quei sacri oggetti non avrebbero potuto trovare custode migliore.

Infine Giunio indicò i rotoli.

«In questi scritti», concluse, «ho voluto riassumere le vicende della mia vita e di quella di tua madre. Te li affido con orgoglio. Nei momenti di solitudine e di malinconia, quando ti coglierà il timore di avere smarrito la rotta tra le asperità della vita, leggili con attenzione. La storia non ha fine, figlio mio.

«Non ha fine perché si rivolge su se stessa, ripetendosi all’infinito.»

Roma odierna. Giugno 1996.

Sara Terracini si abbandonò sul sedile ergonomico. Gli occhi le dolevano per effetto delle lunghe ore passate anche quel giorno davanti allo schermo. Rovesciò la testa sullo schienale, lasciando che i capelli lo coprissero soffici e sciolti. La macchina davanti a lei aveva appena spedito il suo ultimo messaggio criptato all’amico Oswald. Lo immaginò lontanissimo, perduto negli immediati pressi dell’Isola Che Non C’è, intento però comunque a scorrere quelle pagine, catturato dallo stesso senso di profonda emozione che aveva rapito anche lei.

Che stesse addirittura rimpiangendo la sorta di piacevole prigionia cui l’aveva costretta il diabolico nano? Come in un inarrestabile caleidoscopio continuavano a lampeggiarle nella mente le immagini della vicenda che, più che trascrivere, aveva letteralmente vissuto: gli antichi templi, le battaglie, i protagonisti di quella storia vecchia di quasi due millenni e, probabilmente, prima di lei, non letta da altro sguardo umano per diversi secoli.

La bandierina prese a lampeggiare soltanto pochi istanti dopo che la spedizione elettronica era stata ultimata. Si trovò in linea con Oswald, che sembrava fosse rimasto appostato nell’ombra ad aspettare il gran finale.

È TUTTO? lesse sulla parte bassa dello schermo. Si affrettò a rispondere: SÌ, È TUTTO, COMANDANTE, AGLI ORDINI, OCCORRE ALTRO? NON SO, FORMA DI PARMIGIANO FRESCO, PROSCIUTTO DI SAN DANIELE, OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA, BRUNELLO DI MONTALCINO? Ma abbandonò subito il tono scherzoso, mentre le dita, sulla tastiera, sembravano interpretare il suo stato psicofisico. SONO STANCA, OSWALD, riprese a digitare. QUESTO VIAGGIO NELLA MACCHINA DEL TEMPO MI HA VERAMENTE STRONCATO.

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