Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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Giunio aveva stampato indelebile nella mente il ricordo di quei momenti terribili. Rivide Marzio esanime a terra, i rotoli della contabilità sparsi a poca distanza dal suo corpo. E Dario! Dario, la prima persona che gli si era fatta incontro quando era uscito dalla stanza dell’assassinato.

«L’hai ucciso tu», continuò puntandogli alla gola la punta della spada. «L’hai fatto, congiurando con i suoi odiosi nemici, soltanto per la tua disgustosa avidità. Come premio, hai avuto le proprietà dell’onesto uomo che hai trucidato. E adesso devi morire.»

«Aspetta, Giunio, fermati. Sono un uomo ricco e potente, ormai. Posso offrirti benessere e impunità», invocò Dario con uno sguardo fattosi supplichevole. «Pensa alla mia famiglia, ai miei figli.»

Famiglia! Figli! Ancora una volta l’astuto fenicio aveva saputo toccare un nervo sensibile. Giunio ebbe un attimo di esitazione, che bastò a Dario per impugnare un pugnale nascosto tra le vesti e balzargli addosso menando un terribile fendente.

Ma ancora una volta l’esperienza del Circo soccorse Giunio, che scansò il colpo con un’abile torsione del corpo. Non trovando il bersaglio, Dario si sbilanciò in avanti oltrepassandolo di slancio, piegato in due. Preso da una gelida risoluzione, Giunio alzò il braccio destro e vibrò un fendente letale.

«Muori, traditore!» esclamò, mentre la lama colpiva il suo avversario alla base della nuca, troncandogli il collo e uccidendolo sul colpo. La vendetta, attesa da anni, era in parte compiuta. Ne assaporò con gusto il sapore aspro.

Miami. Florida. Febbraio 1996.

Oswald Breil ascoltò attentamente quanto diceva Pete Dayle, che lo aveva convocato con Laura a una riunione ristretta. Passati rapidamente in rassegna gli avvenimenti, il dirigente della CIA concluse: «Il nostro compito si esaurisce qui. Puoi tornare alle tue normali attività, Laura. La tua partecipazione all’impresa è stata preziosa, ma il possibile pericolo rappresentato dall’asteroide Speitz-42 non è di pertinenza dei servizi segreti. Ci penserà chi dispone delle conoscenze e dei mezzi adeguati. Per quanto concerne noi tre, considero il caso U115 chiuso e propongo di archiviarlo.»

Proposta perlomeno prematura, considerò Oswald, anche al di là delle sconvolgenti informazioni di cui, dei tre, soltanto lui era in possesso. No, non poteva perdere la preziosa fonte di informazioni dall’interno della NASA rappresentata da Laura. Ma per fortuna fu la stessa Laura a replicare bellicosamente, evitandogli di intervenire.

«Dopo che ho dovuto piantare in asso tutti i miei impegni per quasi un anno, e con una massa di roccia che sembra avere tutte le intenzioni di caderci sulla testa, per non tacere il fatto che sono scampata per miracolo a diversi attentati, tu, Pete, vieni a dirmi che il caso è archiviato? No, per quanto mi riguarda, sono una donna libera, quindi non abbandonerò questo caso fino a quando non troverà una vera conclusione, quale che possa essere, egregio signor Dayle!»

«Be’, che sei una donna ce ne siamo accorti tutti», ribatté seccamente Pete. «Compreso, a quanto pare, il gagliardo colonnello della NASA…»

«I miei affari privati non ti riguardano, Pete!» scattò Laura, sul punto di perdere la pazienza.

Oswald si rese conto che la discussione stava per degenerare e che questo poteva avere effetti disastrosi per i suoi fini reconditi. Aveva praticamente già ottenuto ciò che desiderava: che Laura continuasse a collaborare con la NASA. Lo aveva deciso lei stessa, e nessuno sarebbe riuscito a farle cambiare idea. Ma, soprattutto, lui aveva bisogno di guadagnare tempo per sistemare i pochi tasselli sparsi che ancora rimanevano da scovare.

«Calma, ragazzi, calma», disse pacatamente. «Niente ci vieta di considerare esaurito il primo filone delle indagini, quello riguardante Adolf Hitler e il passato. In effetti», continuò, mentendo con la freddezza di un giocatore di poker, «il poco che siamo riusciti a recuperare dall’ U115 non ci è stato di nessun aiuto per fare luce sul destino del Führer e dei suoi fedelissimi. Ma, a mio modo di vedere», concluse in tono conciliante, rivolto a Pete, «Laura può benissimo continuare a lavorare alla NASA e sviluppare fino in fondo le ipotesi emerse in quella sede. Oltre a tutto, mi sembra di capire che il colonnello Dimarzio ne avrebbe molto piacere.»

Roma imperiale. Anno 849 dalla Fondazione.

[96 d.C. (N.D.T.)]

Il palazzo delle terme dava su una via di intenso traffico nel cuore di Roma. Sempre avviluppato nei suoi panni, Giunio attese la sera in una taverna poco distante, conversando con un occasionale compagno di tavolo, che si spinse fino a rivelargli come tra la popolazione e le milizie serpeggiasse un forte malcontento, motivo di ben più di un moto di ribellione. Popolano abituato a rincorrere tutte le voci, era convinto di riferire cose già note anche al presunto marinaio africano.

Era ormai buio quando Giunio si avventurò su gambe che fingeva malferme all’interno dell’impianto termale. Le ordinate spalliere di lauro gli offrirono un ottimo nascondiglio fino alla chiusura. Quando la tranquillità fu totale, ne emerse ed entrò nel complesso di edifici, puntando senza esitazioni sulla vastissima sala del sudatorio, dove nascose le armi sotto una panca in legno. Quindi cercò un riparo sicuro, dove aspettare il giorno e il momento in cui la struttura pubblica si sarebbe riempita dei notabili della città, tra cui era sicuro che ci sarebbe stato anche Menenio. Era lì, infatti, celato tra i fumi del vapore, che aveva l’inveterata abitudine di gettare i suoi ami e avviare le sue trame.

Nascostosi in un cubicolo dei lavaggi, Giunio dormì alla meglio, svegliandosi alla primissima luce e rimanendo in attesa dell’apertura delle terme. Dal suo nascondiglio poteva tenere perfettamente d’occhio l’ingresso e riconoscere ogni nuovo venuto. Attese e attese, ma, con il passare del tempo, la sua impresa andava sempre più assumendo i toni del fallimento. A pomeriggio inoltrato, Menenio non era ancora comparso sull’ingresso.

Tenendo a freno l’agitazione, Giunio cercò di elaborare un piano alternativo, anche se trovare un altro posto per portare a compimento la sua vendetta gli appariva molto difficile. I tempi erano malsicuri, aveva detto l’uomo della taverna, e i senatori si facevano sempre accompagnare da una nutrita scorta armata.

Fu proprio la scorta a metterlo all’erta. Stava elaborando un’ennesima serie di congetture e ipotesi, quando, poco prima della chiusura, un drappello di soldati si arrestò appena oltre l’ingresso del complesso termale. Dalle loro schiere emerse Menenio, ancora in laticlavio. Al suo fianco, Sestilio stava parlando animatamente. Sentì distintamente il senatore anziano ordinare agli inservienti di sgomberare il salone, invitandoli ad aspettare all’esterno che avesse finito di servirsi dell’impianto. Fu obbedito senza fiatare, dagli inservienti come dagli ultimi frequentatori rimasti nel sudatorio.

Giunio seguì attentamente con lo sguardo i due biechi individui che, rimasti finalmente soli, si dirigevano verso lo spogliatoio. Non li avrebbe persi di vista un istante, in attesa del momento propizio per pareggiare un conto troppo pesante e aperto da troppo tempo.

Cape Canaveral. Florida. Kennedy Space Center.

Aprile 1996.

Il fattore imprevisto, temuto da Kevin Dimarzio e con tanta albagia escluso dagli scienziati della commissione ONU, si era purtroppo verificato. Oltre la scia della cometa Yakutake, completamente nascosto dal suo accecante chiarore, era improvvisamente comparso l’asteroide Speitz-42 su un’orbita completamente diversa da quella calcolata. Come non era riuscito a tenere conto della forza di attrazione della luna, ancor meno Leonard Speitz aveva potuto prevedere la comparsa dell’immensa cometa, con il subbuglio che essa avrebbe potuto provocare nelle traiettorie dei corpi celesti. Né la potevano prevedere gli scienziati, così testardamente ancorati alle loro certezze e decisi a escludere qualsiasi imprevisto. Inutile recriminare. L’asteroide era indubitabilmente, inesorabilmente puntato verso la Terra.

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