Marco Buticchi - Le pietre della Luna

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Tre misteriose statuette d’oro risalenti alla Roma del I secolo d. C., un enigma archeologico che gli studiosi hanno inseguito per secoli tra indizi confusi, testimonianze remote, sparizioni e ritrovamenti. Ma perché, adesso, anche i servizi segreti delle grandi potenze sono così interessati a questa vicenda? E quali sono i fili nascosti che collegano il passato delle Pietre al loro presente? Un vertiginoso slalom di avventure tra l’antica Roma e i giorni nostri, tra galeoni spagnoli e navicelle spaziali, tra agenti del Mossad e affascinanti scrittrici.

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«Ma erano comunque troppi: a) per potere stare tranquilli, b) per poterli far scomparire senza che le tracce riconducessero a lui. Doveva legarli ancora di più a sé, minacciandoli di rendere pubblica l’azione indegna di cui erano stati complici. Morirà Sansone, deve aver più o meno detto, ma con lui moriranno tutti i filistei. E quelli hanno abbozzato, accettando la sua proposta. Quale?

«Rustom padre, una mente evidentemente fervida, si è inventato un’associazione segreta — forse l’aveva già creata, su questo punto non si può avere nessuna certezza — e li ha iscritti tutti quanti di forza, vincolandoli al silenzio e alla solidarietà reciproca, ma, di fatto, mettendoli uno contro l’altro. Dopo di che, sempre fervido, ha iniettato nelle casse dell’associazione diversi milioni di dollari presi dal tesoro ex Sachs, assicurando a tutti carriera, ricchezza e silenzio.

«Ma non soltanto per loro, visto che anche i figli primogeniti sono vincolati a far parte della Lobby e continuano a godere dei privilegi dei padri, oltre che a tenersi d’occhio a vicenda. E ad assicurare il reciproco silenzio. Morto Rustom, l’associazione segreta è quindi sopravvissuta, anche se rimane tuttora da scoprire chi ne sia il nuovo capo. Ci arriveremo, spero. Per adesso sono riuscito a identificare la maggior parte dei soci originari e dei loro discendenti. Ma, arrivato a questo punto, ho cominciato a sentire forte il peso della responsabilità di conservare questo segreto tutto per me».

Il premier israeliano posò gli occhiali sul tavolo e si strinse la testa fra le mani: «Vada avanti con le indagini, Oswald. Intanto io valuterò se sia il caso di rendere note queste informazioni al mondo. Devo quanto meno consultarmi con il presidente degli Stati Uniti e con il capo del governo britannico».

Dopo un vigoroso cenno di assenso, Oswald fece per alzarsi. Era sicuro fin dall’inizio che avrebbe ricevuto quella risposta, ma si sentiva profondamente sollevato per essersi potuto scaricare dalle spalle la responsabilità di un segreto così grave.

Isola del Cavallo. Anno 849 dalla Fondazione di Roma.

[96 d.C. (N.D.T.)]

Il secondo figlio di Giunio nacque quando il primogenito, Marzio, aveva cinque anni. Mentre la levatrice aiutava Clelia a metterlo al mondo, Giunio era nei pressi della cava, preso nelle operazioni di varo della loro prima oneraria. Il commercio delle lastre di granito era cominciato su piccola scala, con sporadiche offerte ai villaggi delle coste vicine che provvedevano al trasporto con mezzi loro, ma era andato via via crescendo. Avevano volutamente scelto di sfruttare una cava piuttosto lontana dal loro villaggio, in modo che gli equipaggi delle navi che venivano a caricare non andassero a curiosare tra le case, spesso decorate con immagini od oggetti di culto cristiano.

Erano ormai sull’isola da circa sei anni: la popolazione era quasi raddoppiata e i bambini scorrazzavano felici. Clelia era una compagna insostituibile e una madre dolcissima, sempre presente e premurosa.

Giunio però non aveva mai dimenticato l’impegno preso con suo padre. E anche sua moglie accennava di quando in quando alla solenne promessa pronunciata mentre il padre gli moriva tra le braccia, nella speranza che il tempo avesse sanato le ferite.

«Intendi sempre prestare fede al tuo voto?» gli chiese senza preamboli una sera.

«Ho un debito verso Menenio — gli devo la morte di tante persone — e un credito nei confronti del tesoro dei romani, sicché prima o poi sarò costretto a far fede al debito e a reclamare il credito. Me lo impone la coscienza. Ma stai tranquilla, abbiamo ancora tempo, non ho fretta di compiere la mia vendetta e non lo farò di sicuro prima che i nostri figli siano diventati grandi.»

«Ho paura, Giunio. Ogni giorno mi sveglio con il terrore di vederti partire. Ti scongiuro, marito, rinuncia. Accontentiamoci di questa esistenza tranquilla, che abbiamo fatto tanta fatica a conquistare», replicò Clelia con voce velata dall’ansia.

Fu forse la prima volta che Giunio perse la calma con lei. «Proprio tu mi parli di mancare a un voto?» sbottò. «Pensi dunque che debbano rimanere impuniti i responsabili della morte di tante persone care, gli artefici delle odiose trame che ci hanno disonorato e costretto alla clandestinità, i ladri dei sacri lasciti dei miei avi?»

«E noi?» ribatté lei animosamente, stringendosi al petto i figli. «Noi non ti siamo cari? Non sei legato a noi da un vincolo quasi ugualmente sacro? Abbandonarci non significherebbe niente?»

Le parole gli arrivarono diritte al cuore, con un profondo senso di malinconia. Guardò il volto spaurito di Marzio e il fresco sorriso che scavava due tenere fossette nelle guance del piccolo in braccio a Clelia. Non trovando risposta migliore, cercò una scusa per troncare la discussione: «Andiamo a casa, Clelia. Domani mattina devo raggiungere il molo di buon’ora, per dirigere le operazioni di carico di una nave arrivata questa sera».

Quel pomeriggio aveva lasciato presto la cava, e non aveva ancora visto l’oneraria che aveva dato fondo in rada.

Il mattino seguente Valeriano si presentò a casa sua poco dopo il sorgere del sole. Si occupava con successo degli aspetti tecnici di questa loro nuova attività. «Il mercante romano proprietario della nave ha espresso il desiderio di conoscere il capo della nostra comunità», gli disse. «Credo che abbia intenzione di organizzare una serie di collegamenti periodici per trasportare il nostro granito in tutto l’impero. È meglio che parli personalmente con lui, Giunio.»

Il piccolo Marzio lo raggiunse sulla soglia e, strattonandolo per la tunica, non lo lasciò finché non accondiscese a condurlo con sé al molo.

Lungo la strada Giunio alternò i giochi con il bambino ai discorsi di lavoro con Valeriano. Ma non appena ebbe aggirato lo sperone di roccia che precludeva la visuale sulla baia, provò un tuffo al cuore, fatto di angoscia e presentimento. All’àncora, nell’acqua cristallina della loro isola, dondolava pacificamente una nave che lui stesso aveva progettato, l’ammiraglia della flotta appartenuta un tempo a Marzio. Anche da quella distanza riconobbe immediatamente Dario, in piedi sulla banchina, ed ebbe la netta sensazione di essere stato a sua volta visto, prima che fosse riuscito a nascondersi dietro la roccia.

È incredibile come i profondi e sacri istinti siano in grado di modificare qualsiasi indole: in un altro momento avrebbe messo mano alla spada senza esitare un attimo a battersi contro colui che riteneva l’esecutore materiale dell’omicidio di Marzio. In quel momento, invece, le sue mani strinsero il figlio nel cui nome aveva voluto perpetuare il ricordo del suo signore assassinato.

Il saggio Valeriano capì subito e gli si accostò. «Credo che quell’uomo ti abbia visto», disse. «Non ha più distolto lo sguardo dal punto in cui eravamo. Chi è?»

«Dario, uno schiavo che ho salvato da una miserabile morte in miniera e che invece, una volta conquistata la mia fiducia e quella del nostro signore, sospetto si sia macchiato del più orribile dei tradimenti.»

«Torna a casa con tuo figlio, Giunio. Con quell’uomo posso parlare io. Inventerò una scusa, dirò che hai avuto un malessere e non sei potuto venire a riceverlo.»

La faretra con i giavellotti era posata in un angolo della stanza, accanto alla spada. Dal momento in cui era sbarcato sull’isola, Giunio aveva fatto ricorso alle armi soltanto per andare a caccia di animali selvatici. Clelia lo guardò afferrarle angosciata, senza parlare.

«Devo andare, amore mio, è inevitabile. Devo farlo per il bene di noi tutti», le spiegò. «Temo che quell’uomo mi abbia riconosciuto e, se è così, tra pochi giorni arriveranno i soldati. A centinaia. Per distruggere tutto ciò che abbiamo creato. La nostra piccola nave è più agile e veloce. Ho già detto a Valeriano di ritardare le operazioni di carico il più possibile. Quando Dario arriverà a Ostia, incontrerà la mia lama prima di potermi denunciare.»

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