Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Legati in catene l’uno all’altro, i nobili e i possidenti di Tirgoviste, con ancora indosso i loro vestiti migliori, si mossero simili a un serpente variopinto che si snoda per diverse centinaia di metri. Ai loro lati, la guardia personale di Dracula, composta da uomini tanto valorosi e abili quanto spietati, sorvegliava i prigionieri.

La lunga marcia verso Arges di quel corteo di persone fino a poco prima allegre e spensierate e improvvisamente gettate nella più cupa disperazione era appena incominciata. Molti di loro morirono durante il cammino. Quelli che giunsero a destinazione lavorarono per anni trattati come animali per erigere, sopra un picco inaccessibile, il castello di Vlad Dracula. Inerpicandosi lungo un sentiero ripido che sfidava i fianchi della montagna i forzati costruirono, pietra dopo pietra, un rifugio inespugnabile: una fortezza maestosa e severa che nulla aveva a che vedere con il lusso e la comoda eleganza dei castelli transilvani dei boiari.

Da quella rocca Vlad III Dracula, voivoda di Valacchia, avrebbe messo in atto la seconda parte del suo piano: sbarrare il passo ai turchi invasori, a coloro che gli avevano fatto trascorrere l’infanzia e l’adolescenza in prigionia.

57

Settembre 2004

«Merda!» esclamò Deuville, gettando sul tavolo la comunicazione ufficiale con cui Cassandra Ziegler veniva sospesa dal servizio a tempo indeterminato in attesa dei risultati della commissione d’inchiesta. «Glakas non ha perso tempo, Cassandra. Mentre voi atterravate a New York, io ricevevo questa lettera. Mi immagino già che cosa leggeremo domani: ‘Un alto funzionario del Federal Bureau of Investigation scorrazza in giro per il mondo con il Giusto in nome di Dio’. I giornali avranno di che parlare per mesi.»

Cassandra non poté far altro che allargare le braccia. Si sentiva completamente impotente.

Fu Oswald a parlare: «Comunque io sono certo che Deidra Blasey e il Giusto non siano la stessa persona.»

«Certo, dottor Breil, questa sarebbe la soluzione ideale ai nostri problemi», disse ancora il direttore dell’FBI. «Peccato che la CIA abbia collezionato prove che sembrano inconfutabili, prima tra tutte il fatto che la Blasey era sempre nelle vicinanze di tutti i luoghi dove sono avvenuti gli attentati del Giusto. Ha avuto modo anche lei di constatare quanto ormai si sia ridotto il numero dei sospettabili…»

«Ha utilizzato il termine corretto, Deuville: sospettabile. Ma da quando un sospettabile deve per forza essere colpevole? Fino a oggi abbiamo considerato solo la possibilità che il Giusto fosse da rintracciare tra i ranghi delle forze armate americane. E se invece non si trattasse di un militare? E nemmeno di un cittadino americano? Capite bene che il raggio delle ricerche si aprirebbe di nuovo. Inoltre sarebbe impossibile seguire ogni cittadino indagato nel corso dei suoi spostamenti.»

«Che cosa vuol dire con questo, Oswald?»

«Che è presto per fasciarci la testa.»

La segretaria personale di Deuville bussò alla porta.

«Chiedo scusa, signori», disse la donna entrando nell’ufficio del direttore. «È arrivata questa lettera per lei, dottoressa Ziegler. Mi è stato detto di consegnargliela con la massima urgenza.»

Cassandra osservò l’anonima busta e l’indirizzo stampato nel carattere Times New Roman presente in ogni programma di scrittura. Ancor prima di aprirla aveva riconosciuto il mittente. L’unico particolare, non del tutto irrilevante, era che il sospettato numero uno, colonnello Deidra Blasey, in quel momento era rinchiuso in un carcere federale di massima sicurezza.

«Chissà dove ti trovi in questo istante, mentre io sto sgobbando per te, Oswald Breil», disse tra sé Sara Terracini, seduta dinanzi allo schermo sin troppo familiare del suo computer…

Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.

Adesso molte cose mi appaiono nel loro aspetto reale. Non so se ciò che provo si possa definire paura: è una sensazione diversa da quella che mi attanagliava nella cabina di pilotaggio di un caccia supersonico. In quella occasione ero arbitro e padrone del mio destino e del mio aereo. Adesso non so da dove proverrà l’attacco né quali armi avrò a disposizione per difendermi.

Tutto è cominciato quando il conducator mi ha invitato per una nuova battuta di caccia. Quel giorno ci eravamo recati a poca distanza da Bucarest, sul lago di Snagov, a ventinove chilometri dalla capitale. Qui giunti ci appostammo. Dovevamo aspettare il passo di anatre e di altri uccelli che sostano nei pressi di laghi e stagni. Come al solito accettai un fucile da caccia, sapendo che non lo avrei usato: ci avrebbe pensato Ceausescu a riempire il paniere. Ero certo che il conducator si sarebbe comportato con i volatili come aveva fatto con i maestosi orsi dei Carpazi.

A differenza delle altre volte, in cui la caccia era per me un pretesto per lunghe chiacchierate con Ceausescu, ero rimasto da solo nel capanno vicino alla riva. L’accompagnatore e Ceausescu mi avevano suggerito di non abbandonare la postazione, se non volevo rischiare di venire impallinato.

Quando li vidi salire su un piccolo motoscafo disobbedii alle raccomandazioni e lasciai il capanno di frasche. Al molo era ormeggiata una barchetta a remi: salii a bordo senza esitare. L’isola era poco distante.

Cominciai a remare avvolto dalla sottile coltre di nebbia che si stendeva sopra il lago.

Una volta a terra mi diressi verso il monastero di Snagov, fatto costruire da Vlad Dracula l’Impalatore: lì, in una cappella poco vicino, si dice riposino le spoglie del condottiero valacco.

Mi nascosi in una nicchia all’interno della cappella. Dal mio nascondiglio ebbi modo di osservare i particolari della cerimonia.

«Ho giurato fedeltà al vincolo indissolubile e segreto che mi lega agli altri cavalieri del Drago, e ho sempre prestato fede al mio giuramento.» Con queste parole la donna inginocchiata terminò il suo discorso.

«Con l’autorità che mi deriva dall’essere gran maestro dell’Ordine, ti sono grata per ciò che hai fatto, che Dio sia con te», disse Elena Ceausescu, appoggiando la spada sulla spalla della donna genuflessa dinanzi a lei.

L’altra a questo punto si alzò e io riuscii a vederla in volto: era la stessa persona con cui avevo trascorso ore di passione infuocata in una mansarda nel centro di Bucarest, Jenica Mantu. Elena Petrescu, invece, teneva tra le mani un cofanetto antico. Con gesti solenni lo consegnò al conducator, rimasto in disparte per tutta la durata della cerimonia. Nicolae Ceausescu lo aprì. Dal mio nascondiglio non riuscii a scorgere il contenuto, ebbi però modo di vedere l’anello che aveva preso. Lo riconobbi immediatamente: si trattava dell’Anello dei Re.

«I tuoi genitori naturali, anni addietro, hanno fatto sì che questo forziere giungesse integro sino a me. Per questo saremo eternamente grati a te e a loro, anch’essi membri dell’Ordine. Tutti voi avete fatto molto per la nostra nazione», disse Ceausescu rivolto a Jenica Mantu. Quindi il conducator fece cenno a Jenica di abbandonare la chiesetta.

Rimasto solo con la moglie, il conducator riprese a parlare: «Adesso è mio dovere riconsegnare il tesoro all’eroe che ne è l’unico proprietario».

Così dicendo Ceausescu nascose l’antico cofanetto, trattenendo però l’Anello dei Re e l’antico papiro, in una nicchia segreta.

Avevo visto abbastanza: era tempo di tornare indietro se non volevo venire scoperto.

Risalii in barca e mi diressi verso la terraferma. La nebbia si era infittita. Nella foschia udii il motore fuoribordo dell’imbarcazione di Ceausescu mentre questa mi stava oltrepassando.

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