Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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«Grazie, signor Lugosi. In realtà soltanto suo padre è ungherese, non io. Se sarà maschio lo chiameremo Toma, ma io sono convinta che sia una femmina e la vorrei chiamare Jenica.»

«Allora scriverò così: ‘Per Jenica (o Toma?), con affetto, Béla Lugosi’.»

«Ancora grazie!» esclamò la donna, mentre i suoi occhi si soffermavano sull’antico anello d’oro che il principe delle Tenebre di Hollywood portava al dito indice.

Pochi mesi più tardi un fiocco rosa sulla porta del negozio nel quartiere francese di New Orleans informava i clienti che Jenica Bàlaj era venuta al mondo.

Béla Lugosi non aveva prestato grande attenzione alla donna incinta e quell’incontro fu subito dimenticato. Sembrava che l’attore volesse raggiungere al più presto il suo camerino: ad aspettarlo c’era una scatola d’argento, all’interno della quale erano contenuti dei piccoli cristalli di morfina. Da qualche tempo Béla si era rifugiato negli oppiacei: diceva a se stesso che questo era l’unico modo per sfuggire alla tensione della sua frenetica vita.

Ma in realtà si trattava di un alibi: Lugosi non riusciva a rassegnarsi all’idea che, dopo un decennio di trionfi, la sua carriera avesse imboccato la via del declino.

Dagli appunti raccolti da Asher Breil

a Cortina d’Ampezzo, 1967

Minhea Petru si risvegliò all’improvviso, una mattina dell’ottobre del 1949, nel momento in cui la radio diffondeva la notizia della nascita della Repubblica Popolare Cinese.

I medici avrebbero definito quell’inattesa uscita dal suo stato di torpore come un inspiegabile miracolo.

Gli occhi di Petru, rimasti spenti e vuoti per quasi vent’anni, si animarono senza alcun preavviso e, così come ne era uscito, il principe rumeno rientrò nel mondo dei vivi.

Furono necessari altri quattro anni, nel corso dei quali Minhea si applicò con grande costanza in estenuanti esercizi di riabilitazione fisica e mentale, prima di poterlo considerare del tutto ripreso.

«Non so davvero come potrò mai ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me, Alberto. Senza di voi sarei rimasto senza il calore di una famiglia, e forse è stato anche il vostro affetto a farmi tornare alla vita», aveva detto il rumeno rivolto ai coniugi Sciarra. «Credo di essere stato un peso non da poco per te e per Kimberly, e ora è giunto il momento che io lasci libero lo spazio che ho occupato sino a oggi nella vostra esistenza. Ma voglio che sappiate che la mia gratitudine nei vostri confronti sarà eterna.»

«Che cosa vuoi dire, Minhea?» aveva chiesto Sciarra, consapevole che nulla avrebbe potuto impedire a Petru di riprendere la sua strada.

«Voglio dire che in questi ultimi quattro anni ho lavorato sodo con una sola idea nella testa: portare a termine la mia missione. Partirò per l’America con il primo piroscafo.»

Stati Uniti d’America, 1950

La piccola Jenica cresceva sana, forte e incredibilmente bella: fisicamente non assomigliava ai suoi genitori, ma da entrambi aveva ereditato il carattere freddo e determinato.

«Guarda qui: il nostro vecchio rapporto sull’attore ungherese sembra che abbia smosso le acque», aveva detto Teofil alla moglie, passandole un messaggio cifrato che gli avevano appena consegnato.

«Il nostro contatto mi ha detto che il rapporto su Béla Lugosi-Olt-Blasko è stato esaminato da un pezzo grosso del governo rumeno», aveva continuato Teofil. «Sembra che un viceministro sia molto interessato alla carriera dell’attore ungherese. Mi sono state richieste ulteriori informazioni sull’anello che tu gli hai visto al dito. Pare che sia un oggetto antichissimo a cui questo ministro deve tenere molto.»

«In realtà non ci avevo fatto molto caso, allora. E non saprei come reperire altre notizie oltre a quelle che abbiamo già raccolto. Sai anche come si chiama il mio connazionale interessato all’anello?» chiese Bryga Bàlaj rivolta al marito.

«Attualmente riveste il ruolo di viceministro delle Forze armate, ma mi dicono sia un giovane che farà molta carriera all’interno del partito. Si chiama Nicolae Ceausescu o qualche cosa di simile.»

Dagli appunti raccolti da Asher Breil

a Cortina d’Ampezzo, 1967

Quando Minhea Petru varcò la soglia dell’hotel Plaza su Fifth Avenue, nella primavera del 1954, ebbe la sensazione che il tempo si fosse fermato alla mattina di ventitré anni prima, quando era uscito a comprare il liquore nella distilleria clandestina nella Nona. Ma questa volta era risoluto ad arrivare sino in fondo e nulla lo avrebbe fermato.

Un uomo maturo ma dall’aspetto giovanile gli si fece incontro. «Signor principe Petru, lei non sa quanto sono felice di rivederla…»

«Cesare?» chiese Minhea, mentre la finestra dei suoi ricordi gli si spalancava dinanzi agli occhi.

«Sì, signore, sono proprio io. Il giovane cameriere di un tempo. Ho fatto carriera: ora sono il vicedirettore dell’albergo. Sa, signor principe, non riuscivo a darmi pace dopo la sua scomparsa, me ne sentivo quasi responsabile.»

«L’unico ad avere colpa per quanto è accaduto sono io, non certo lei o chiunque altro, Cesare.»

«Grazie, signore, sono felice di darle il bentornato. L’hotel Plaza è lieto di mettere a sua disposizione la solita suite all’ottavo piano, signor principe.»

59

Romania, 1462

Stavano in silenzio, nascosti tra la fitta vegetazione, a poca distanza dalla riva. Simili a un branco di lupi famelici, gli uomini di Dracula osservavano le operazioni di sbarco dell’esercito nemico. E come lupi uscirono dai nascondigli, spronando i cavalli sino a sfiancarli, manifestando il desiderio di uccidere che avevano nel cuore, sguainando le lame lucenti che riflettevano i raggi di un timido sole primaverile.

Le truppe turche avevano utilizzato settanta tra zattere e imbarcazioni leggere per attraversare il Danubio. Lo scontro era inevitabile, Dracula lo sapeva bene e sperava che il re d’Ungheria, Matthias, gli inviasse al più presto rinforzi e truppe fresche. Ma i soldati tardavano ad arrivare e i turchi nel frattempo avevano scavato delle trincee e puntato i loro micidiali cannoni contro le postazioni valacche.

Non c’era tempo da perdere.

«Pronti ad attaccare i turchi non appena sbarcheranno il secondo contingente», aveva detto Dracula ai suoi, indicando le zattere che si accingevano a effettuare un nuovo trasbordo.

Il primo assalto di cavalleria fu devastante: mentre l’esercito del sultano Mehmed II era intento alle operazioni di sbarco, la cavalleria guidata da Dracula si abbatté sugli invasori con una forza dirompente. Almeno trecento turchi furono uccisi in una sola carica, prima che avessero avuto modo di organizzare la loro difesa.

Ci volle qualche tempo perché i musulmani si riprendessero dallo smarrimento, poi si asserragliarono alle spalle del centinaio di cannoni che avevano già trasportato al di là del fiume e misero i pezzi in batteria. Allora i generali turchi ordinarono il fuoco e dispersero la cavalleria assalitrice.

La battaglia lungo le rive del Danubio non durò a lungo: Dracula sapeva bene che, perso l’effetto sorpresa, il suo esercito era estremamente vulnerabile. Fu sufficiente un ordine del principe di Valacchia, e i suoi uomini scomparvero in brevissimo tempo nella foresta. La ritirata di Dracula verso l’interno della Romania era iniziata.

La tecnica della guerriglia era stata usata da Dracula nel corso di tutte le ultime battaglie: il principe era consapevole dell’inferiorità numerica del suo esercito rispetto a quello del nemico, per questo mirava all’annientamento psicologico dell’avversario. I suoi uomini sbucavano all’improvviso dal nulla e colpivano come predatori. Dopo aver causato morte e terrore, così come erano venuti i soldati valacchi scomparivano di nuovo, simili a fantasmi capaci di svanire nel nulla dopo ogni assalto.

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