Radu, il fratello che aveva condiviso con Dracula la prigionia e che si era rifiutato di seguirlo nella fuga, si era perfettamente adattato ai costumi dei turchi. I due sultani che si erano avvicendati dal giorno del suo arrivo a palazzo non gli avevano mai fatto mancare nulla, nemmeno quelle attenzioni particolari a cui si diceva che Radu il Bello non fosse insensibile.
Facendo leva sulla ferocia che Dracula mostrava anche nei confronti dei suoi stessi sudditi, alcuni infiltrati al soldo di Mehmed fecero serpeggiare il tarlo della rivolta tra i nobili locali che, sempre più numerosi, presero a inneggiare a Radu come loro signore. La situazione capitolò in breve tempo.
Dracula era solo. Ogni richiesta d’aiuto era rimasta inascoltata anche dai suoi più fedeli sudditi.
«Solo pochi anni fa è stato recitato in ogni chiesa cristiana il Te Deum , e le campane da Roma a Parigi hanno suonato a festa in mio onore come segno di ringraziamento solenne per aver respinto gli invasori infedeli. Oggi mio cugino Stephen di Moldavia si è alleato con Radu contro di me. Non credo manchi molto alla fine, moglie mia», aveva detto Vlad Dracula asciugando una lacrima sul volto della donna.
Poco fuori dal maniero di Poenari, costruito tempo addietro dai nobili resi schiavi, le truppe nemiche si andavano radunando per l’assedio.
Contingenti turchi nell’autunno avevano nuovamente varcato il Danubio e avevano affiancato gli insorti sotto il comando di Radu.
Vlad III Dracula sapeva che la sua resistenza sarebbe durata poco.
Il figlio di Vlad aveva appena due anni e cominciava a muovere i primi passi. Il bambino sorrise al padre: un sorriso spensierato che non riusciva a mascherare la straordinaria somiglianza con Dracula. Il principe, guardandolo, tradì un’espressione di cui nessuno avrebbe mai detto fosse capace: i suoi occhi di ghiaccio parvero per un momento percorsi da un moto d’amore. Vlad III Dracula si tolse la catena d’oro che portava al collo. Forzò una maglia e vi inserì l’Anello dei Re, prima di richiudere la catena e di cingerla al collo del bambino.
Quindi tornò nella sala del castello, dove i suoi generali lo aspettavano per preparare con lui un piano di fuga. Lì rimase per tutta la giornata, sino a che un servo non lo andò a chiamare: sua moglie, in preda alla disperazione, si era suicidata gettandosi da una torre del maniero. Il 1462 volgeva alla fine e l’inverno si annunciava rigido e cupo.
Doveva tentare a ogni costo la fuga, doveva salvare la vita di suo figlio.
I ferri vennero inchiodati al contrario sotto gli zoccoli dei cavalli: chiunque avesse visto le loro tracce sulla neve appena scesa non avrebbe mai pensato che si trattasse di fuggitivi, bensì di un contingente che si era recato al castello per dar manforte al principe.
Protetti dalle tenebre, Dracula e una dozzina dei suoi erano usciti da un passaggio segreto che sbucava fuori dalle mura. Una volta elusa la sorveglianza del nemico, sarebbero fuggiti in direzione di Brasov: in quella città, infatti, era accampato col suo esercito il re d’Ungheria, Matthias. Il re non gli avrebbe negato il suo aiuto.
Il principe cavalcava il suo destriero tenendo stretto tra le ginocchia il figlio.
I cannoni del castello spararono una salva contro le milizie di Radu. Era una mossa che faceva parte del piano di Dracula per distogliere l’attenzione degli assediami dai fuggitivi. I musulmani risposero al fuoco come indiavolati: i proiettili caddero un po’ ovunque, anche molto vicino al gruppetto dei fuggiaschi. Il cavallo montato da Dracula si imbizzarrì, si drizzò sulle gambe posteriori cercando di disarcionare il cavaliere, quindi si lanciò in un galoppo che nemmeno un esperto fantino come il principe poté fermare. Quando finalmente Vlad riuscì a domare l’animale, si accorse con sgomento che il bambino non si trovava più tra le sue gambe e che i legacci con cui lo aveva assicurato si erano spezzati.
Dracula percorse a ritroso la via: del piccolo non trovò traccia. Dovette abbandonare le ricerche quando, giunto nei pressi del castello, notò che era in corso un attacco da parte degli assediami e che pattuglie di militari turchi stavano setacciando la zona in cerca di eventuali fuggitivi. Non poteva correre il rischio di venire catturato: sarebbe tornato a cercare suo figlio con i rinforzi che Matthias gli avrebbe senz’altro concesso.
Ma l’accoglienza che attendeva Vlad fu ben diversa dalle aspettative del principe.
«Devo tornare sui miei passi, maestà, ritrovare mio figlio e cacciare gli invasori dalle terre cristiane», disse Dracula rivolto al re, una volta che fu al suo cospetto.
«Le mie truppe devono restare a presidiare i confini del paese. Su quanti uomini puoi contare, Vlad?»
«Non più di qualche centinaio», rispose Dracula.
«Potrei fornirti un piccolo contingente di mercenari slovacchi, comandati da un certo Jisk di Brandys. È un uomo a me fedele e un valoroso.»
«Qualunque cosa, maestà. Per me l’importante è conoscere quale destino ha incontrato il mio piccolo.»
Il drappello si arrestò dinanzi a un precipizio che sbarrava il percorso.
Gli uomini di Dracula e i carri vennero calati nella gola.
Il principe si accorse troppo tardi di essere rimasto solo sulla rocca: intorno a lui c’erano soltanto i mercenari che il re gli aveva messo a disposizione.
«Ho l’ordine di arrestarti, Vlad Dracula», disse con aria grave il comandante dei mercenari Jisk di Brandys.
Dracula aveva tentato una reazione, e almeno cinque avversari erano caduti sotto i colpi della sua spada, prima che i soldati avessero il sopravvento su di lui.
L’uomo camminava con il capo chino, cercando di scaldare con il proprio fiato le mani gelide e deformate dai calli.
La notte era illuminata dai colpi di cannone che piovevano sul castello.
«Poco importa alla campagna delle lotte tra i potenti: il grano va seminato in inverno e raccolto in estate, qualunque sia il principe di turno», mormorava tra sé il contadino, con la saggezza della gente semplice.
Il pianto, flebile come un lamento, arrivò sino alle sue orecchie.
Si fermò e si mise in ascolto. Quindi si mosse verso un cespuglio, rovistò per qualche minuto nel sottobosco. Il pianto si era fatto più vicino. Si fermò di nuovo ad ascoltare.
Il bambino era sdraiato tra l’erba. Mostrava una vistosa ferita sulla fronte, probabilmente conseguenza di una brutta caduta che gli aveva fatto perdere i sensi. Il piccolo era vestito con abiti caldi e costosi: forse anche per quello era riuscito a sopravvivere ai rigori della notte.
Il brav’uomo si chinò e lo prese in braccio, quindi lo tastò per verificare che il corpo del bambino non presentasse altre ferite.
L’Anello dei Re infilato nella catena catturò l’attenzione del contadino: non erano molti i bambini che potevano permettersi tali abiti e certi gioielli.
Quella stessa mattina era circolata la voce che il principe Dracula e suo figlio fossero riusciti a fuggire nel corso della notte. L’uomo nutriva più di un sospetto sull’identità di quel bambino. Il contadino si fece il segno della croce: quello era un segnale di Dio. Se qualcuno avesse reclamato il piccolo, lui lo avrebbe restituito.
«Altrimenti», disse rivolto al piccolo, come se potesse comprenderlo, «ho già quattro figli: le mie bestie e i miei campi riusciranno a dar da mangiare anche a un quinto. Che tu sia il benvenuto, Iosua. Sì, ti chiamerò Iosua.»
E si avviò verso casa.
Settembre 2004
Oswald stava leggendo ad alta voce l’ultima missiva ricevuta.
Le loro riunioni, dopo che Cassandra Ziegler era stata sospesa, non si svolgevano più nei lussuosi e ovattati uffici dell’FBI. La saletta di un ristorante o una stanza d’albergo erano tutto ciò a cui potevano aspirare per confrontare opinioni e fare programmi. Anche le loro possibilità di azione si erano notevolmente ridotte: Oswald e Cassandra, ora, erano due privati cittadini e nulla di più.
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