Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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La porta si aprì.

Alberto balzò in piedi e si diresse verso l’uomo che si trovava sulla soglia, accompagnato da un infermiere.

Sciarra strinse l’antico compagno d’armi tra le braccia: sul cranio rasato spiccava una cicatrice che andava da una tempia all’altra. Altri segni di ferite in altre parti del corpo stavano a testimoniare la violenza che doveva aver subito nell’urto contro il camioncino del latte.

Sciarra abbracciò Minhea. «Amico mio, amico mio caro…» disse l’italiano commosso.

Non vi fu risposta.

Le parole che Kimberly aveva pronunciato quella mattina gli risuonavano nelle orecchie come una premonizione: Minhea Petru non stava vivendo, stava vegetando in uno stato di profondo torpore.

56

Transilvania, 1456

Il caldo non accennava a calare, nemmeno nelle limpide serate estive illuminate dal cielo stellato. E fu proprio osservando il cielo che gli astronomi annotarono sui loro registri l’apparizione di un insolito corpo celeste: una cometa di incredibile luminosità le cui due code, una rivolta a oriente e l’altra a occidente, occupavano gran parte della linea dell’orizzonte. In quei giorni, era il giugno del 1456, Vlad Dracula III saliva al trono di Valacchia.

L’avvistamento di una cometa produce negli uomini reazioni opposte: c’è chi l’avverte come presagio di disgrazia e c’è invece chi saluta l’apparizione astrale come il migliore degli auspici.

Il neoprincipe di Valacchia era convinto che fosse un augurio con cui il cielo aveva voluto salutare il suo insediamento. Dracula commissionò addirittura il conio di una moneta che raffigurasse da un lato l’aquila valacca, dall’altro una stella con la doppia coda che attraversava il cielo.

I catastrofisti, invece, associavano la comparsa dell’astro infuocato con la morte del re Hunyadi, in conseguenza della quale si erano susseguite aspre lotte di successione tra i discendenti del sovrano e gli Asburgo. Ladislas, figlio maggiore di Hunyadi e buon amico di Dracula, era stato ucciso nel corso di questa faida che aveva insanguinato il territorio ungherese, rendendo ancor più vulnerabili le porte dell’Occidente ai tentativi di invasione dei turchi.

«Riesumate la salma!» La voce di Dracula si levò alta e fiera.

Il volto del voivoda di Valacchia aveva perso i tratti della giovinezza: a venticinque anni si doveva essere uomini. Dopo essersi emancipato dal giogo del sultano turco, era stato il re ungherese a completare l’educazione del giovane che aveva voluto alla sua corte.

Dracula aveva la carnagione olivastra e gli occhi a mandorla, segno di una qualche contaminazione orientale tra gli antenati della sua dinastia. Gli occhi erano scuri, ma osservandoli con attenzione — sempre ammesso che si fosse stati capaci di sostenere il suo sguardo — si sarebbero notati dei riflessi color cobalto: il colore del mare più profondo. Non era alto, ma robusto e forte. Portava baffi lunghi e ben incerati. Vestiva in maniera elegante, secondo la moda dei ricchi boiari della Valacchia e della Transilvania. Raramente si concedeva un sorriso. Il suo volto impenetrabile avrebbe presto rappresentato l’effigie della paura per chiunque avesse tentato di sbarrargli la strada.

«Riesumatela!» ripeté il principe.

I presenti si segnarono con la croce, mentre la bara — quattro assi di legno inchiodate — veniva aperta.

Lo spettacolo che si presentò era raccapricciante: il corpo di Mircea, fratello di Dracula, giaceva a faccia in giù. Le unghie avevano graffiato il legno della cassa, nel vano tentativo di aprirsi un varco. Nelle orbite oculari erano ancora conficcati i ferri aguzzi con cui era stato accecato. Il voivoda aveva avuto conferma al dubbio che gli rodeva la mente: suo fratello era stato seppellito vivo, dopo atroci torture.

Dracula si inginocchiò di fianco alla salma: «Dio abbia pace per la tua anima, fratello, e guidi la mia mano vendicatrice».

Il principe si era fatto un’idea chiara su come erano andati i fatti e chi dovessero essere considerati i responsabili dell’assassinio di Mircea e della morte di suo padre.

La mano di Dracula accarezzò il legno della bara, vicino al teschio ancora ricoperto dalla fluente capigliatura del valoroso Mircea. Quindi gli occhi del principe si soffermarono sull’oggetto che stava cercando. L’antico anello d’oro mandava sinistri bagliori al dito indice dello scheletro. La mano di Vlad si strinse sul simbolo dell’antico potere. Dracula infilò l’Anello dei Re nell’indice della mano destra e rimase per qualche secondo a osservarlo, pregustando il sapore della vendetta.

Tirgoviste era in festa: il principe appena eletto aveva voluto che tutti i notabili prendessero parte ai festeggiamenti. I boiari avevano accolto di buon grado l’invito: sia per loro che per le corporazioni mercantili, essere in buoni rapporti con il sovrano equivaleva a godere di notevoli vantaggi. Non erano da meno le alte sfere ecclesiastiche: il metropolita e i vescovi della regione presenziavano al gran completo al banchetto. Tutti si erano parati a festa per l’importante occasione. I boiari portavano vesti variopinte e adorne di ricchi ricami, mentre le dame, al loro fianco, lasciavano intravedere preziosi gioielli fra i drappeggi degli abiti. Tutti volevano mostrare di appartenere a una classe sociale potente e agiata: i nobili erano giunti nei giardini dove avrebbe avuto luogo la festa a bordo di lussuose carrozze, poi, via via, a seconda del ceto sociale, il corteo aveva visto ridursi l’eleganza degli abiti e lo sfarzo dei mezzi di trasporto.

Dracula osservava con sguardo freddo e distaccato i preparativi e rispondeva con brevi gesti del capo o delle mani ai saluti degli ospiti.

La festa ebbe inizio nel corso della mattinata: la carne degli agnelli cotti alla brace si sposava perfettamente con i vini prelibati che Dracula aveva ordinato fossero serviti. Durante il pranzo il principe fu visto ancor più cupo del solito: non parlò quasi con nessuno dei commensali, ma spesso si appartava per conferire con il comandante della sua guardia.

Terminato il banchetto, i bambini presero d’assalto i giochi che erano stati allestiti per loro, mentre gli adulti si abbandonarono alle danze, accompagnati dai musici che avevano allietato l’intera cerimonia.

Dracula non si unì a loro. I suoi occhi scuri scrutavano il profilo dei Carpazi oltre i quali il sole stava tramontando.

Fu sufficiente un segno della mano del principe per dare inizio alla vendetta pianificata con cura.

Gli uomini di Vlad uscirono dalla boscaglia che confinava con i giardini nei quali era in corso la festa. Tra lo stupore dei presenti si avventarono contro alcuni tra gli invitati. La guardia di Dracula piantò in profondità nel terreno dove, sino a poco prima, si erano svolte le danze, dei pali acuminati. Quindi vennero condotti dinanzi ai pali i nobili e i possidenti più anziani di Tirgoviste, colpevoli di aver tradito il padre di Vlad e di aver fatto assassinare il fratello Mircea.

«Questa è la fine che ho preparato per voi: non solo mi avete privato dei più cari affetti e ordito congiure contro la mia famiglia, ma avete riservato a mio fratello, il nobile Mircea, una morte atroce. Ora proverete anche voi ciò che significa morire fra atroci tormenti, dopo essere stati beffati dal tradimento.»

Vlad abbassò una mano e i poveretti vennero conficcati sulle punte dei pali protese verso l’alto.

«Quanto a voi», continuò Dracula rivolto ai sudditi più giovani che, assieme a donne e bambini, erano stati rinchiusi all’interno di un recinto sorvegliato dai soldati, «quanto a voi, la vostra colpa è quella della complicità e della mancanza di carattere che vi ha lasciati imperturbabili di fronte a crimini tanto brutali. Espierete i vostri peccati divenendo complici della mia imbattibilità: sarà grazie alla vostra mano d’opera che edificherò la mia inespugnabile dimora. E ora, in marcia!»

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