«Ciò non ci esime dal cercare di salvarlo in ogni modo. Ma temo che il suo sistema neurologico ne risentirà anche se riusciremo a strapparlo alla morte. Faccia preparare la camera operatoria.»
«Ricevuta la lettera di Minhea, mi recai a vedere il film Dracula non appena venne proiettato in Italia. Non ricordavo alla perfezione i tratti di Blasko, ma di certo l’attore che interpretava Dracula gli assomigliava molto. Scrissi le mie impressioni a Minhea, e gli dissi anche di essere molto preoccupato: il mio amico mi aveva confessato di aver scritto la sua ultima lettera dalla cella di un carcere. Non mi tranquillizzava molto il fatto che Minhea mi avesse assicurato che il reato per cui era stato arrestato non era grave e che entro pochi giorni sarebbe stato di nuovo libero. Inoltre, non mi aveva detto di che reato si trattasse. Purtroppo mi attendeva una brutta sorpresa», disse Alberto Sciarra incamminandosi lungo la linea ferroviaria che correva a poca distanza dal centro abitato di Cortina d’Ampezzo.
«Non appena la mia lettera mi venne restituita, corredata da una breve nota del direttore del Plaza di New York, ebbi un cattivo presentimento», aveva quindi continuato, rivolto a Asher Breil.
«Il direttore manifestava tutta la sua apprensione: non aveva più notizia del principe Petru da oltre un mese. Non c’era tempo da perdere: dovevo correre a New York, sperando che non fosse già troppo tardi.»
Il Conte Biancamano era un bastimento di circa venticinquemila tonnellate di stazza. Era stato costruito sei anni prima nei cantieri inglesi Beardmore per conto della compagnia di navigazione italiana del Lloyd Sabaudo. La nave era caratterizzata da una poppa tonda e alta sulla linea di galleggiamento, dove era stata collocata una sfarzosa sala da ballo di forma circolare. A bordo regnava l’eleganza più raffinata e il servizio era impeccabile: il Conte Biancamano era la nave che l’aristocrazia europea e i magnati americani privilegiavano proprio per l’esclusivo trattamento riservato ai passeggeri.
«Mi lasciate qui a difendere la cassa, marchese Sciarra della Volta?» aveva chiesto Kimberly con un’espressione ironica dipinta in volto.
«Lungi da me relegare a un ruolo di così scarso spessore la mia suffragetta», aveva risposto Alberto, facendosi vento con due biglietti di prima classe. «Era da tempo che dovevo andare in America per lavoro. Ho pensato bene che potevamo prenderci un po’ di vacanza entrambi, anche se non si tratterà di un vero e proprio periodo di riposo. La sparizione di Minhea mi preoccupa davvero molto.»
«Sono felice che tu abbia deciso di portarmi con te. E ancor più dal momento che non te lo avevo chiesto. Credi che l’ex ufficiale ungherese, quello che oggi è diventato un famoso attore, sia coinvolto nella scomparsa di Petru?»
«Non so, anche se quella sarà senza dubbio una delle piste che dovremo seguire, se vogliamo arrivare alla verità.»
Stati Uniti d’America, 1931
Béla Lugosi si allontanò dal cantiere della sua villa in costruzione sulle colline di Hollywood. Ormai vestiva sempre di scuro e i suoi abiti ricordavano quelli di scena. L’automobile con autista lo attendeva sul viale.
Non appena salì a bordo, il suo segretario-agente si diede da fare per ricordare all’attore l’elenco dei molti impegni che lo attendevano: le luci della ribalta richiedevano il loro prezzo e l’ungherese aveva sempre meno tempo per sé.
«Non ritengo sbagliato», aveva detto il segretario, «che voi, signor Lugosi, prendiate parte a periodici incontri con la numerosa comunità ungherese sia a Hollywood che nelle piazze che visiterete per promuovere la pellicola: così facendo, vi accattiverete le simpatie dei vostri connazionali, e inoltre ogni immigrato in terra americana guarderà con benevolenza un grande attore che non dimentica le proprie origini.»
«Mi sembra una notevole perdita di tempo», aveva commentato Béla.
«Tutt’altro che una perdita di tempo, signor Lugosi. Vi ricordo che un vostro connazionale ha dato il nome alla Fox e che la popolazione americana è costituita al settantacinque per cento da immigrati che vivono qui da meno di una generazione. Dobbiamo cercare di promuovere in ogni campo la vostra immagine: l’immagine di Dracula il Vampiro.»
Alla realizzazione della villa di Lugosi avevano preso parte, oltre ai più affermati architetti, i migliori esperti di effetti speciali di Hollywood: il progetto prevedeva scenografie degne di un film dell’orrore.
La casa confinava da un lato con un precipizio sul quale si affacciavano le finestre lunghe e strette che caratterizzavano l’intero edificio. Lungo i muri perimetrali si aprivano solo quattro finestre per ogni lato: un numero irrisorio, rispetto alle enormi dimensioni della villa. Una volta ultimata, la casa sarebbe stata ricoperta di edera e, al posto di un parco luminoso, nell’ampio giardino sarebbero state collocate delle sculture di marmo bianco, molto simili alle lapidi di un macabro camposanto abbandonato. L’uscio era in ebano e il batacchio aveva la forma di un vampiro in metallo pregiato con le ali da pipistrello dispiegate. Nessuno sarebbe mai stato ricevuto da Dracula oltre l’ingresso, che era presidiato da otto colossali armature. Negli anni, sulla villa, così come sulla vita privata di Béla Lugosi, sarebbero sorte incredibili leggende: anche queste facevano parte del personaggio. Un personaggio che si recava alle prime delle sue pellicole sdraiato in una bara di legno pregiato, portata a spalla da servitori orientali sordomuti.
Dagli appunti raccolti da Asher Breil
a Cortina d’Ampezzo, 1967
Le sfarzose sale del Conte Biancamano avevano ospitato poche volte Alberto Sciarra della Volta e la sua signora nel corso della traversata: il nobile italiano preferiva alla mondanità le passeggiate all’aperto. Adorava lasciarsi cullare dalle onde lunghe dell’Atlantico e ammirare lo sconfinato paesaggio dell’oceano, seduto su una delle sedie di teak del ponte di prima classe.
Sbarcare a New York per i coniugi Sciarra fu come mettere piede su un altro pianeta: la città gli apparve scintillante, caotica e grandiosa. Persino il lungo bancone in marmo bianco del Plaza era di dimensioni impensabili rispetto agli standard europei. Tutto sembrava gigantesco in quella metropoli: lungo Fifth Avenue, una ventina di blocchi prima del Plaza, avevano superato un enorme cantiere.
Il tassista aveva risposto alle loro domande spiegando: «Lì sta nascendo l’edificio più alto del mondo: l’Empire State Building. Oltre quattrocento metri di altezza di acciaio, cemento e vetro. Al mondo non esiste niente di simile!»
Il direttore dell’hotel Plaza, dove anche Alberto e Kimber avrebbero preso alloggio, si strinse nelle spalle: «Non sappiamo davvero che fine abbia fatto il principe Petru, signor Sciarra. Quasi due mesi or sono è scomparso dall’hotel senza lasciare alcun messaggio. Il signor principe era una persona… ehm… singolare, ma estremamente corretta».
«Potremmo vedere il suo appartamento?» chiese Alberto.
«Certamente, signor Sciarra. È ancora tutto in ordine, e noi continuiamo a sperare che vi faccia ritorno al più presto. Il principe Petru era persona assai previdente ed era sua consuetudine anticipare l’affitto di anno in anno. Per quanto riguarda la direzione di quest’hotel, l’appartamento sarà a disposizione esclusiva del principe almeno sino alla fine di quest’anno. Allo scadere di questo periodo, se non avremo più avuto sue notizie, consegneremo gli averi del signor principe ai suoi parenti, che ci auguriamo voi vorrete cortesemente indicarci, generale Sciarra.»
«A quanto so Minhea non ha fratelli né sorelle, ma uno stuolo di cugini che si occupano di amministrare i vasti possedimenti della famiglia in Romania. Vi farò sapere, direttore, nel malaugurato caso in cui non dovessi riuscire a ritrovare il mio amico scomparso.»
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