Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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Quel tenore di vita non influiva sulle sue finanze: le cospicue rendite di cui disponeva non risentivano in alcun modo delle spese sostenute per vivere a New York.

Minhea salì nella suite numero 799, all’ottavo piano del palazzo la cui elegante architettura si rifaceva a quella dei castelli francesi.

La vista su New York era straordinaria. Sotto di lui, all’angolo tra Fifth Avenue e la Cinquantanovesima, il traffico di pedoni, auto e mezzi pubblici scorreva senza sosta. Forse, tra quella gente indaffarata, camminava anche il motivo della sua ossessione… la sua ossessione.

Minhea allungò una mano sotto il letto e ne estrasse una bottiglia di vetro chiaro piena a metà di una bevanda dal colore paglierino.

Il diciottesimo emendamento alla costituzione degli Stati Uniti era in vigore dal 1919 e vietava la diffusione, la fabbricazione, la vendita e il trasporto dei liquori che presentavano più dello 0,5 per cento di alcol.

Minhea benedisse il giovane cameriere italiano del Plaza e le sue amicizie con i contrabbandieri di whisky.

La bevanda scese lungo l’esofago provocandogli un piacevole bruciore. Ancora un sorso, ancora uno e la mente si annebbiò: i contorni dell’ossessione si fecero meno distinti, le ferite meno dolorose.

Petru aveva incominciato a bere circa due anni prima: aveva cercato rifugio nell’alcol nel tentativo di attenuare il senso di frustrazione per l’insuccesso della sua ricerca di Blasko e dell’Anello dei Re.

Minhea guardò ancora alla finestra, in direzione del Central Park. Fece appello a quanto rimaneva della sua lucidità e sedette allo scrittoio: l’amico Alberto Sciarra non avrebbe mai dovuto venire a conoscenza della sua debolezza.

Stati Uniti d’America, 1927

Molto lontano da New York, ma sempre in territorio statunitense, la persona che Minhea Petru stava cercando si apprestava a compiere un rito a cui non si dedicava più da tempo.

Nella stanza occupata da Béla Blasko, all’Hollywood Hotel, c’era una cassaforte murata nella parete dinanzi al letto. Al suo interno era riposto il cofanetto antico. Lugosi era stanco, aveva appena terminato una lunga e tediosa apparizione da caratterista in un film in costume. Aveva preso l’Anello dei Re dal portagioie, lo aveva infilato all’indice e la mente era corsa ai sogni di gloria che, dopo quasi sei anni dal suo arrivo a Los Angeles, andavano assumendo l’aspetto di illusioni.

Il trillo del telefono era risuonato tra le mura confortevoli, anche se modeste, dell’Hollywood Hotel.

Poco dopo il portiere bussava alla porta.

«Signor Lugosi», aveva detto oltre l’uscio chiuso, «ha telefonato il Central Casting Office, chiede se domattina può essere da loro molto presto. Hanno un ruolo importante da proporle.»

Al mattino Lugosi si era svegliato di buon’ora e si era recato all’appuntamento.

Con una certa apprensione, per lui che ancora non parlava alla perfezione l’inglese, aveva realizzato che la sua parte non sarebbe stata quella di recitare in una pellicola cinematografica muta, bensì sul palcoscenico di un teatro con tanto di monologhi nel corso dei quali sarebbe stato impossibile ripetere la scena.

Lugosi aveva accettato: si trattava del primo incarico importante che gli veniva offerto e il personaggio che avrebbe dovuto interpretare lo esaltava.

Sarebbe stato Dracula, nella riduzione teatrale di Deane tratta dall’omonimo romanzo di Bram Stoker.

53

Egrigoz, Asia Minore, 1447

Il sultano Murad aveva convocato Dracula e suo fratello Radu nella stanza del trono. I due ragazzi avevano rispettivamente sedici e nove anni.

«Dovete essere forti», aveva detto Murad dopo averli fatti sedere sui cuscini ricamati. «Purtroppo ho in serbo per voi una brutta notizia. Vostro padre Vlad Dracul è rimasto vittima di una congiura. La stessa sorte è toccata a vostro fratello Mircea.»

Radu, essendo prigioniero del sultano dall’età di pochi mesi, non aveva praticamente conosciuto i genitori e il venire a sapere di quella morte lo lasciò piuttosto indifferente. Vlad, invece, sentì il mondo crollargli addosso: il suo sogno ricorrente, quello di vedere il padre che lo liberava dalla prigionia, sfumava per sempre. La speranza che per una decina d’anni aveva alimentato ogni suo pensiero naufragava in un mare tempestoso e pieno di incertezze. Che cosa ne sarebbe stato di loro? I turchi li avrebbero uccisi?

L’unica soluzione, a quel punto, pareva essere la fuga.

Murad era adagiato tra le braccia di una delle sue innumerevoli concubine. Lo strumento che gli aveva consentito di tenere sotto controllo la popolazione dell’Est europeo gli era stato sottratto: Vlad II Dracul era stato un fedele alleato e aveva contribuito alla realizzazione di buona parte dei piani del sultano nell’Europa orientale. Ma la fedeltà del principe valacco ai turchi aveva provocato odi e rancori, sfociati nella congiura che aveva messo fine alla vita di Dracul nei pressi di un antico monastero, nelle paludi di Balteni.

A poco erano importate agli ex alleati cristiani le motivazioni che aveva addotto Vlad II a sua difesa: due dei suoi figli in ostaggio presso il sultano non avevano costituito un motivo sufficiente per salvargli la vita. Invano il principe aveva detto agli aguzzini che la pena per la disobbedienza al sultano sarebbe stata la decapitazione di Dracula e di Radu. L’ordine di sbarazzarsi dello scomodo voivoda di Valacchia proveniva dall’alto. Era stato il principe ungherese János Hunyadi a ordire la trappola in cui Dracul era caduto e aveva altresì incoraggiato i nobili di Tirgoviste a eliminare anche il figlio maggiore, il valoroso Mircea.

In questa maniera il principato ribelle sarebbe tornato sotto l’ala protettrice ungherese.

Murad non era un uomo impulsivo, voleva valutare, conoscere, capire per avere saldamente in pugno la situazione. Aveva esaminato a fondo la questione, quando chiamò uno dei suoi comandanti.

«Liberate Dracula», disse il sultano, con un tono che non ammetteva repliche. «Agevolate il suo rientro in Transilvania e fate sì che abbia tutto l’aiuto necessario per detronizzare il principe fantoccio della dinastia Danesti che Hunyadi ha voluto mettere sul trono della Valacchia.»

Mentre Vladislav Danesti era impegnato a combattere le orde musulmane a sud del Danubio, gli giunse la notizia che il giovanissimo Dracula si era insediato sul trono con un’azione fulminea, il cui successo era stato determinato dall’appoggio di un folto contingente di turchi al suo servizio.

La permanenza di Dracula a palazzo durò però due soli mesi: rientrato in forze, Danesti costrinse Vlad Dracula a fuggire presso un cugino nella Moldavia settentrionale.

Per rientrare in possesso del trono, Danesti era stato costretto a un repentino cambiamento di fronte: il fedele servitore di Hunyadi si era schierato contro il suo re e aveva ordito congiure nei confronti degli ungheresi, spalleggiato dai turchi.

Vlad Danesti non era un grande stratega: alcune delle sue campagne militari si erano tradotte in sonore disfatte, ma era capace di alleanze e tradimenti improvvisi, se solo questi avessero fatto comodo ai suoi interessi.

Dracula e il cugino Stephen avevano appena terminato le lezioni di lettura e scrittura con i monaci. Sulla città di Suceava, sede del principato di Moldavia, era scesa una fitta coltre di neve.

«Sono solo contro tutti, cugino mio», disse Dracula guardando Stephen con i suoi occhi neri e penetranti.

«Non dire così, Vlad. La nostra casa è la tua casa. Mio padre Bogdan ti vuole bene come a un figlio.»

«Lo so bene. Ed è per questo motivo che mi spiace di non riuscire a comportarmi come un figlio o come un fratello.»

«Che cosa vuoi dire?»

«Il corpo di mio padre e quello di Mircea reclamano vendetta. E io vivo tra le mura sicure del vostro palazzo.»

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